Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
LO PSICOLOGO

Con l'ossessione delle mascherine abbiamo perso l'empatia

«La comunicazione non verbale è determinata dalle espressioni del volto. Con la mascherina è necessario un maggiore sforzo per identificare una determinata emozione e ci permettono di metterci in empatia con l’altro. Quando abbiamo la mascherina indosso una buona fetta della comunicazione viene meno». La Bussola intervista lo psicologo Andrea De Nuccio sulle conseguenze deleterie dell'uso prolungato di mascherine. 

Attualità 30_05_2022

Nell’Italia post-green pass e (forse) post-pandemica, permane l’uso della mascherina in vari luoghi. L’obbligo più stringente rimane quello vigente nelle scuole. In molti iniziano a nutrire dubbi sia sull’utilità effettiva dei dispositivi di protezione individuale, sia sulle conseguenze a lungo termine del loro uso. È ancora presto per dire se, ad esempio, i condizionamenti nella comunicazione non verbale risulteranno dannosi a livello psicologico. Ciò che è sicuramente necessario sono un cambio di passo e una “narrazione” nuova, che cancelli in primo luogo ogni forma di discriminazione. La Nuova Bussola Quotidiana ne ha parlato con Andrea De Nuccio, psicologo e psicoterapeuta di formazione ericksoniana, operativo in provincia di Lecce, ideatore del progetto “Esperienza Psicologica”.

Dottor De Nuccio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva indicato che, quando vengono fate usare le mascherine ai bambini dai 6 ai 12 anni, la necessità di prevenire il Covid deve essere attentamente bilanciata con lo “sviluppo psicosociale”. È stato rispettato questo suggerimento? A riguardo, dopo due anni, a che punto siamo?
È un discorso che vale anche per gli adulti in ambito lavorativo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha previsto misure anche necessarie ma mi chiedo anche quanto siano stati considerati gli aspetti più prettamente sociali e psicologici. Me lo chiedo proprio in qualità di psicologo clinico, psicoterapeuta e formatore. Quello che oggi possiamo constatare è che oggi le richieste di aiuto sul piano psicologico sono sempre più numerose, quindi, a distanza di due anni dall’inizio della pandemia, ci troviamo di fronte a un altro tipo di emergenza, per l’appunto psicologica.

Se ne parla ancora poco ma c’è chi inizia a porsi il problema della comunicazione non verbale e delle espressioni facciali profondamente alterate dall’uso delle mascherine. In che misura questo fenomeno può condizionare la crescita di bambini e ragazzi?
Non se ne parla molto, per il semplice motivo che ancora non vi sono molti studi a riguardo. Quello che possiamo dire, alla luce dell’esperienza clinica è che il risvolto della comunicazione non verbale è stato sicuramente sottovalutato. Mi auguro che questa sottovalutazione non sia avvenuta volontariamente e che, piuttosto, sia stata il frutto dell’ignoranza generalizzata in questo campo. La comunicazione è in primis non verbale ed è determinata dalle espressioni del volto, dai piccoli gesti, dai piccoli movimenti. Con la mascherina è necessario un maggiore sforzo per identificare una determinata emozione. C’è da dire che, a lungo andare, il nostro cervello trova sempre la strada per recuperare le informazioni; di certo abbiamo bisogno di un piccolo sforzo in più. Ci sono neuroni specifici, i neuroni specchio, che ci permettono di metterci in empatia con l’altro. Parlare di empatia significa parlare della capacità dell’essere umano di cogliere dei segnali, anche molto piccoli, apparentemente irrilevanti, eppure molto importanti nella comunicazione. Quando abbiamo la mascherina indosso, quindi, una buona fetta della comunicazione viene meno e l’essere umano dovrà trovare una nuova modalità. Tutto questo avviene in modo naturale, col tempo la persona riesce a riadattarsi.

Quanti eventuali disagi psicologici può procurare questo riassetto della mente?
Voglio essere ottimista e non sottovalutare l’intelligenza umana. Quindi, mi auguro davvero che i cambiamenti degli ultimi due anni non abbiano arrecato danni importanti sul piano della comunicazione, che rimanga la capacità di riconoscere l’azione, di rapportarsi con l’altro, di entrare in empatia con lui. Una vera valutazione si potrà farla tra qualche anno. Varrebbe la pena, quindi, approfondire gli studi in questo campo.

Più in generale, comunque, la pandemia ha determinato dei traumi nelle persone più fragili, in particolare tra i minori…
In psicologia, si parla di disturbo post-traumatico da stress. Trauma è tutto ciò che porta un cambiamento drastico e improvviso. Questa pandemia un trauma l’ha provocato, non possiamo negarlo. Il vero problema, comunque, è stata la narrazione a dir poco catastrofica che abbiamo avuto finora. Si è attribuita un’enorme importanza al discorso sanitario, alla circolazione del virus, ai rischi di contagio, ecc. Molto meno ci si è posti il problema di quello che sarebbe potuto accadere nella mente delle persone, in particolare dei bambini e dei ragazzi. Ci troviamo davanti a tanti casi di ansia generalizzata e di disturbi ossessivo-compulsivi ma non è nulla che sia dovuto di per sé al Covid, alle mascherine o al green pass. Il punto è la narrazione che è stata data di questo momento pandemico. Ognuno deve dare un significato a quel che è accaduto, quindi accettarlo, sia a livello consapevole che inconscio. Quando davvero si arriverà a questo livello di comprensione totale, allora potremo dire che non avremo nulla da temere. Avremo sempre una capacità di adattamento ai nuovi equilibri, però, dovremo lavorare molto su questo. Ricordiamoci sempre che l’uomo è fatto di corpo e psiche, quindi, la salute non riguarda solo il corpo ma tutti gli aspetti psicologici, sociali, lavorativi e anche spirituali che riguardano la vita dell’uomo.

Cosa pensa dell’affermazione del Ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, secondo il quale “le mascherine a scuola hanno un valore educativo”?
Le rispondo con un’altra domanda: che cosa significa “educativo” e che cosa significa “educazione”? Sembra che educare sia un atto unidirezionale, invece richiede uno sforzo a 360 gradi. Anche dal punto di vista educativo, le mascherine hanno avuto il loro ruolo. Ora, però, è importante dare nuovi significati a tutto quello che è accaduto, anche alle tante discrepanze, alle tante omissioni, ai continui bruschi cambiamenti capitati nelle nostre vite.

Una di queste discrepanze, è determinata dal fatto che, a scuola, i bambini e i ragazzi devono continuare a indossare le mascherine, mentre altrove, vedono gli adulti a volto scoperto. Persino il premier Draghi, la settimana scorsa, ha visitato una scuola in Veneto, presentandosi senza mascherina. Questa disparità come può essere vissuta dai minori?
Dobbiamo prestare massima attenzione a queste contraddizioni e metterci nei panni di un bambino o di un adolescente. Ho difficoltà a dare una risposta su come possono vivere queste situazioni. In ogni caso dovremmo preoccuparci di spiegare tutto nella maniera più chiara possibile. Siamo partiti da una narrazione catastrofista, basata sulla paura, in grado di condizionare i nostri comportamenti e siamo andati in questa direzione per molto tempo. Oggi, però, dobbiamo “desensibilizzare” le persone nei confronti dell’evento traumatico, aiutandole a normalizzare. Il lavoro più impegnativo va fatto oggi. Ciò che è accaduto, ormai, non si può cancellare ma dobbiamo imparare a raccontarlo in modo più sano.

Ad esempio, mettendo fine alle discriminazioni anche a scuola? Pensiamo all’esclusione da varie attività nei confronti degli studenti senza green pass, fino a poche settimane fa…
Ragazzi “di serie A” e ragazzi “di serie B” non dovrebbero mai esistere. Nel momento in cui riconosco qualcuno di loro come un ragazzo “di serie B”, sto già mettendo in discussione la sua persona e la sua autostima. Esclusioni, preferenze o divisioni non dovrebbero essere nemmeno pensate. Dove c’è la divisione, c’è la guerra, quindi se non vogliamo la guerra, dobbiamo necessariamente unirci.