Con le Dat a rischio minori e assistiti
Un contenzioso accaduto a Milano intorno a una bimba di tre anni malata di tumore, spiega bene la differenza tra la legislazione attuale - per cui il bene del minore prevale sulla volontà dei genitori - e quella che si profila con l'eventuale legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento che mettono la vita nelle mani di genitori e tutori.
Più del volere dei genitori vale il bene della figlia. Questa è la sintesi di una vicenda che ha visto coinvolti l’Istituto dei tumori di Milano e la madre di una piccola paziente affetta da tumore al cervello.
La bimba di tre anni è stata sottoposta presso l’Istituto milanese ad un primo ciclo di chemioterapia a luglio che ha portato a risultati importanti: la massa tumorale è stata contenuta e non è cresciuta. I genitori però cercano il parere di altri esperti tra cui il dott. Shlomi Costantin che opera a Tel Aviv. Secondo Costantin il tumore non è così aggressivo come descritto dai colleghi italiani e si può curare con una terapia molecolare. Così i genitori interrompono le cure a Milano e partono alla volta di Israele. I dottori dell’Istituto dei tumori contattano il collega per avere chiarimenti sulla reale efficacia della terapia proposta, ma le delucidazioni di Costantin non soddisfano l’equipe milanese che allora decide di informare la procura e il Tribunale dei minori di Milano. Quest’ultimo ha nominato dei periti al fine di vederci più chiaro e nel frattempo ha permesso ai genitori di ricoverare la figlia dove loro più aggrada ma comunque in un ospedale italiano.
Ciro Cascione, capo della Procura dei Minori, spiega che “la libertà di cura non è discussione, ma il genitore deve avere la consapevolezza delle scelte terapeutiche nell’interesse del bambino. Se, come in questo caso, si esce dai protocolli scientifici riconosciuti, dobbiamo intervenire”.
Se passa il disegno di legge sulle Disposizioni di trattamento in discussione alla Camera, invece i tribunali dei minorenni non potranno più intervenire, anche a fronte di una madre che vuole far curare la figlia minorenne da una maga o da un santone, oppure sottrarla a terapie salvavita o a mezzi di sostentamento vitale quali l’alimentazione, l’idratazione e la ventilazione. Infatti il comma 2 dell’art. 2 del Ddl così recita: "Il consenso informato di cui all'art. 1 è espresso dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore o dall'amministratore di sostegno, tenuto conto della volontà della persona minore di età o legalmente incapace o sottoposta ad amministrazione di sostegno". Qui si legittima l’eutanasia, sia commissiva che omissiva, a danno di minori e incapaci come neonati prematuri o disabili, bambini malati, persone in veglia non responsiva, pazienti affetti da malattie neurodegenerative, disabili mentali, anziani affetti da demenza, etc. Il genitore comanda e il medico dovrà obbedire.
Oggi invece cosa deve fare il medico se il genitore chiede di non iniziare o interrompere terapie salvavita oppure, come nel caso di Milano, vuole seguire una strada terapeutica che secondo letteratura scientifica è inefficace? Il medico non deve acconsentire alla richiesta dei genitori o del tutore. Solo il paziente maggiorenne, cosciente e giuridicamente capace di intendere e volere può sottrarsi alle cure. Questo diritto di rifiuto delle cure non è delegabile, infatti il diritto alla salute è inalienabile. E, al di là del fatto che abbiano ragione i medici di Tel Aviv o quelli di Milano, bene hanno fatto questi ultimi a far intervenire la procura per accertare che gli interessi oggettivi del minore non fossero pregiudicati dalle scelte dei genitori. Questi, insieme a tutori, curatori e amministratori di sostegno per legge devono operare sempre per il bene oggettivo del minore-interdetto. Hanno possibilità di scelta tra le terapie, ma devono scegliere tenendo conto del reale bene del minore o dell’incapace e comunque agendo sempre nell’alveo dell’indisponibilità della vita.
Con il Ddl in esame alla Camera invece abbiamo visto che la decisione sul rifiuto delle cure passerà a genitori e tutore (è stato il caso di Eluana). Il minore-assistito potrà dire la sua, ma l’ultima parola spetterà ai genitori e tutori. E dunque si tratterà di un obbligo meramente consultivo a favore del minore-assistito, non per niente vincolante. La conclusione perciò è la seguente: se i genitori-tutori rifiutassero terapie salvavita o mezzi di sostentamento vitale si concreterebbe una condotta eutanasica oggi qualificata come reato di omicidio ex art 575 cp. e domani, vigente la legge sulle Dat, come diritto di scelta dei genitori e tutori.