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PRAGA

Comunità Politica Europea: a che serve il nuovo forum

Si è tenuta a Praga, capitale della presidenza di turno ceca dell’Ue, ma è ancora un frutto della politica di Emmanuel Macron: è la prima conferenza della Comunità Politica Europea, con 44 invitati che in molti casi non si sopportano fra loro perché i loro Paesi sono in guerra fra loro. Ma è proprio per questo che serve. 

Esteri 07_10_2022
Praga

Si è tenuta a Praga, capitale della presidenza di turno ceca dell’Ue, ma è ancora un frutto della politica di Emmanuel Macron: è la prima conferenza della Comunità Politica Europea. Il nuovo “club” include tutti i Paesi dell’Ue, più (in ordine alfabetico) Albania, Armenia, Azerbaigian, Bosnia, Georgia, Islanda, Kosovo, Liechtenstein, Moldova, Montenegro, Macedonia del Nord, Norvegia, Regno Unito, Serbia, Svizzera, Turchia e Ucraina.

La prima netta sensazione è quella di trovarsi di fronte alla nascita di una nuova entità di cui non si sente il bisogno. Serve un’alleanza europea allargata per fornire sicurezza collettiva al continente? C’è la Nato. Probabilmente lo scopo di Macron è proprio quello di costituire una Nato senza America, vecchia aspirazione francese, ma senza l’ombrello nucleare degli Usa che credibilità ha una coalizione di Stati che non è né coesa, né così potente come l’Alleanza Atlantica? Parrebbe anche di trovarsi di fronte a una sorta di “seconda Ue”, allargata ad altri Stati del continente (e dell’Asia minore) senza attendere che si adeguino agli standard richiesti da Bruxelles. Anche questa è una politica tipicamente francese: escludere il più possibile dal nucleo duro dell’Ue (che più piccolo è, meglio è per Parigi), ma estendere l’influenza sull’area più ampia raggiungibile.

Si tratta dunque di un’Europa allargata come quella del Consiglio d’Europa, senza la Russia, che comunque è stata espulsa dal 22 marzo anche da quell’organismo sovranazionale. Contrariamente al Consiglio d’Europa, il cui ruolo, almeno formale, è quello di guardiano dei diritti umani e della democrazia, la nuova creatura di Macron dovrebbe occuparsi anche di sicurezza. Ed è questo il suo tallone d’Achille perché, come si può ben intuire dall’elenco degli Stati invitati a farne parte, i conflitti sono numerosi: Armenia contro Azerbaigian, Kosovo non riconosciuto dalla Serbia, Bosnia sempre divisa al suo interno, per non parlare dei conflitti latenti e pluri decennali come quello fra Turchia e Cipro e quello fra Turchia e Grecia (che comunque riescono bene o male a coesistere nella Nato). Senza contare poi la tensione politica fra Regno Unito e Ue, che non si può definire “conflitto”, ma non incoraggia alla cooperazione.

La prima conferenza di questa “Comunità” dimostra già tutti i suoi limiti. Alla vigilia non è stato preso alcun impegno per produrre documenti conclusivi, come se un “nulla di fatto” fosse dato già per scontato. E questo nonostante i temi sul tavolo fossero molto importanti: crisi energetica, immigrazione, sicurezza collettiva, il tutto all’ombra della guerra in Ucraina (che ha partecipato, nella figura del presidente Zelensky, in videoconferenza). Vi sono state difficoltà anche a scegliere i posti dove far sedere i capi di Stato e di governo invitati. Recep Tayyip Erdogan è rimasto ben lontano da Svezia e Finlandia, che ancora accusa di dare rifugio ai curdi. La Serbia non riconosce il Kosovo e ciò contribuisce a spiegare perché, anche nelle cartelle stampa, vi fossero i nomi dei rappresentanti invitati, ma non dei loro Paesi.

L’incontro è però servito per gli incontri bi e tri-laterali, informali, a latere. Alle prese con una nuova guerra imminente nel Caucaso, il presidente azero Aliyev e il premier armeno Pashinian hanno potuto incontrarsi, faccia a faccia, allo stesso tavolo di Erdogan. Un risultato notevole, considerando che Turchia e Armenia non hanno rapporti diplomatici sin dal 1993, dai tempi della prima guerra Armenia-Azerbaigian.

A questo, dunque, potrebbe servire la nuova creatura politica: un forum di discussione informale, per ricomporre interessi differenti che vanno dal gas alla Brexit, dai conflitti congelati nei Balcani a quelli ancora caldi nel Caucaso. Difficile, però, pensare che diventi qualcosa di più.