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LA CEI APRE

Comunione, proposte per il ritorno alla normalità

Finalmente la Cei apre a una prudente ripresa anche in Chiesa e alla Comunione sulla lingua, ma Milano ha già detto che continuerà a vietarla. Però la nota dei vescovi significa che i diritti dei fedeli devono essere rispettati. E per chi non si fida? Due proposte: una fila ad hoc per chi si comunica in bocca o creare due momenti distinti. Ma dal punto di vista medico non c'è mai stato rischio. 

Ecclesia 30_03_2022

Siamo arrivati finalmente con il 31 marzo alla conclusione dello stato d’emergenza per l’epidemia da Covid-19. Di conseguenza anche la Conferenza Episcopale Italiana ha deciso di adeguarsi, e, dopo uno scambio con il Governo italiano, ha formalmente comunicato «l’abrogazione del Protocollo del 7 maggio 2020 per le celebrazioni con il popolo».

È quanto si legge in una lettera della Presidenza CEI in cui si fa presente che la situazione «offre la possibilità di una prudente ripresa», dopo quasi due anni di misure che hanno segnato la vita liturgica della Chiesa italiana, a ogni livello. Per “prudente ripresa” si intende che la Chiesa italiana ha deciso, indipendentemente dalle indicazioni del Governo, di mantenere determinate regole per le funzioni liturgiche, sotto la definizione di “consigli e suggerimenti”.

Saranno vincolanti? I “servizi d’ordine” li faranno rispettare con rigore zelota? È da vedersi. La CEI fa presente che il DL 24/2022 proroga fino al 30 aprile l’obbligo di indossare le mascherine negli ambienti al chiuso. Pertanto, nei luoghi di culto al chiuso si dovrà almeno per un mese ancora accedere con mascherina. Poi si vedrà. Il distanziamento interpersonale di un metro non è più obbligatorio. Dovremmo quindi vedere panche non più incerottate per impedire di sedersi vicini. Le acquasantiere le si deve continuare a tenere vuote, contro ogni evidenza scientifica. E infine la CEI tocca il punto dolente: la distribuzione dell’Eucaristia, che deve avvenire “preferibilmente nella mano”. Ma la diocesi di Milano ha già messo le mani avanti: un decreto del vicario, infatti, recepisce la nota Cei, ma mantiene la Comunione rigorosamente in mano, segno che il rischio che ogni diocesi vada per conto suo è concreto.

Il termine utilizzato dalla Cei, però, "preferibilmente", apre uno spiraglio di speranza per i tanti fedeli costretti negli ultimi due anni a subire l’obbligo della Comunione sulla mano, che già lo stesso Paolo VI condannò fin dagli anni ‘60 come non opportuno. La situazione sanitaria epidemica aveva offerto un'occasione imperdibile per i novatori che vogliono sbarazzarsi definitivamente della Comunione sulla lingua, che peraltro è canonicamente un diritto per i fedeli, riconosciuto dalla “Redemptionis Sacramentum” che parla chiaro: “Ogni fedele ha sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca”. Questo “a sua scelta” va a collimare perfettamente con l’espressione usata ora dalla CEI: “preferibilmente” non significa “esclusivamente”, e quindi il fedele che intende ricevere la Comunione sulla lingua ne ha pieno diritto.

Non è difficile, tuttavia, immaginare gli scenari che potrebbero prospettarsi nelle chiese al momento della Comunione: i fedeli che in questi due anni hanno subito dai media un pesante lavaggio del cervello, potrebbero temere che i loro fratelli intenzionati a ricevere la Comunione in bocca potrebbero trasformarsi in “untori” del virus per tutta l’assemblea liturgica. Da questo punto di vista, sarebbe importante che la CEI provvedesse ad un’opera di informazione ed educazione sanitaria, sottolineando che alla luce delle conoscenze scientifiche non esiste alcun rischio. 

Anzi: la modalità di offrire la Comunione sulle mani non ha alcuna valenza in termini di prevenzione e di tutela della salute del fedele. Al contrario, le mani rappresentano uno dei più comuni veicoli di trasmissione del virus. Il professor Filippo Maria Boscia, presidente nazionale dei Medici Cattolici, già due anni fa affermò che la Comunione sulla mano è a maggiore rischio di contagio rispetto a quella sulla lingua. La stessa OMS ha più volte sottolineato il ruolo delle mani nella trasmissione del contagio.

Dopo due anni di studi sul Covid non esiste alcuna evidenza scientifica che documenti che ricevere la Comunione sulla lingua possa essere un mezzo di trasmissione del virus. Deve essere considerata ormai una vera e propria fake, e sappiamo quanto la Chiesa abbia a cuore una corretta informazione scientifica e una netta presa di distanza dalla diffusione di notizie pseudoscientifiche.

Sarà dunque opportuno far sapere ai fedeli, anche con opportune comunicazioni pubbliche, che non c’è alcun rischio di contagio attraverso la Comunione distribuita secondo le norme canoniche della Chiesa.

Tuttavia, si potrebbero cercare anche delle soluzioni pratiche per evitare polemiche e “attriti” tra i fedeli stessi. Ad esempio, si potrebbe far svolgere la Comunione in due momenti: prima per i fedeli che la vogliono ricevere sulla mano, e poi per quelli che la ricevono sulla lingua, in modo da rassicurare i più timorosi che non ci sarà alcuna “contaminazione”.

Oppure i fedeli potrebbero uscire a ricevere l’Eucaristia su due file: una per quelli che la ricevono sulla mano, e una per quelli che la ricevono in bocca. Una soluzione di compromesso, ce ne rendiamo perfettamente conto, ma che in questo momento è necessaria per garantire soprattutto i diritti di Dio e di coloro che chiedono l’Eucaristia sulla bocca, e che rischiano di vedersela negata, e di essere discriminati all’interno della stessa Comunità Ecclesiale.

Inoltre, questa soluzione sarebbe interessante anche da un punto di vista medico, perché si potrebbero rilevare su due gruppi diversi gli effetti di questi comportamenti. E darebbe un'ulteriore conferma scientifica dell'assoluta non pericolosità della Comunione tradizionale.