"Come se fosse Ambani": tutti zitti sulle nozze dello spreco
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Quello dei magnati indiani è il matrimonio dell'anno, ma anche il più inquinante con 600 milioni di dollari spesi, migliaia di aerei e opulenza sfrenata, nel silenzio dei soliti che accusano sempre e solo l'Occidente di "consumare le risorse del pianeta".
Le hanno chiamate “il matrimonio dell’anno”. Sono le nozze di Anat Ambani e Radhika Merchant, gli sposi indiani miliardari, di cui tutto il mondo ha parlato. Per chi non ne fosse al corrente, il loro matrimonio svoltosi il 12 luglio a Mumbai è stato preceduto da ben quattro mesi di festeggiamenti iniziati con un party dal 1 al 3 marzo nella proprietà della famiglia Ambani a Jamnagar, nello stato indiano del Gujarat, al quale sono state invitate circa 1.200 persone provenienti da tutto il mondo. I mass media dicono che vi hanno partecipato personaggi del mondo dello spettacolo, politici e altre personalità internazionali, tra gli altri Bill Gates, John Elkann, Mark Zuckerberg. Nel corso della festa è stato persino inaugurato un tempio indù costruito apposta per l’occasione.
Altri eventi sono seguiti nelle settimane successive e poi, a fine maggio, la coppia ha invitato altre 1.200 persone circa a una crociera di quattro giorni nel Mediterraneo che è iniziata a Palermo e ha fatto tappa a Roma, Genova, Cannes per concludersi a Portofino. Ogni sera gli ospiti sono stati intrattenuti da uno spettacolo diverso. I mass media italiani hanno riferito che a Genova le esibizioni dei cantanti internazionali hanno tenuto sveglia la città per tutta la notte perché sono state trasmesse a volume altissimo fino all’alba provocando molte telefonate di protesta e richieste – peraltro inascoltate – di intervento perché si mettesse fine al chiasso.
Vogue e altre riviste di moda hanno descritto i gioielli e gli abiti indossati di volta in volta dalla sposa, da quello per il “toga party” organizzato in ricordo del fatto che Anat e Radhika si sono conosciuti negli anni del college e che ha richiesto il lavoro di più di 30 sarti per essere confezionato, all’abito Yves Saint-Laurent d’archivio, «un raro pezzo di storia della moda» – ha spiegato la sposa – acquistato dalla stilista Mimi Cuttrell, «uno dei personaggi più influenti del fashion system».
A Mumbai, come vuole la tradizione, il matrimonio vero e proprio si è svolto nell’arco di tre giorni e si è concluso con un ultimo ricevimento il 15 luglio. Di nuovo centinaia di ospiti sono convenuti da tutti i continenti per partecipare alle cerimonie tenutesi nel Jio World Convention Center, un centro congressi di proprietà della famiglia Ambani che può ospitare fino a 16mila persone. Gli sposi per portare a destinazione gli invitati hanno noleggiato tre jet Falcon-2000. «Ogni aereo effettuerà più viaggi attraverso il Paese», ha spiegato all’agenzia di stampa Reuters Rajan Mehra, amministratore delegato della compagnia di charter Club One Air.
I mass media hanno scritto che, in tutto, il “matrimonio dell’anno” deve essere costato circa 600 milioni di dollari, una cifra impressionante per tanti, ma non per le due famiglie degli sposi. Mukesh Ambani, il padre di Anat, con un capitale di oltre 123 miliardi di dollari è l’11esima persona più ricca del mondo secondo Forbes, e Radhika appartiene a una famiglia di magnati del settore farmaceutico. L’ostentata, sfrenata opulenza che hanno mostrato ha suscitato tra i loro connazionali qualche malumore al quale ha dato voce, tra gli altri, Thomas Isaac, ex ministro delle finanze dello stato del Kerala: «è indecente, scandaloso – ha scritto su X – legalmente possono anche essere soldi loro, ma un dispendio di denaro così ostentato è un peccato contro la madre Terra e contro i poveri».
Come spendono il denaro è effettivamente affar loro. Altra cosa è la disinvolta arroganza con cui hanno ignorato i diritti altrui. Se a Genova hanno assordato la città e l’entroterra per tutta una notte, a Mumbai hanno fatto di peggio. Le vie principali della città, che ha 22 milioni di abitanti, sono state chiuse ogni giorno per molte ore a causa delle nozze e questo ha aggravato i problemi del traffico già reso difficoltoso dalle inondazioni verificatesi a causa delle forti piogge monsoniche.
Ma Isaac ha portato l’attenzione su un altro aspetto delle nozze, il peccato contro madre Terra. In effetti avrebbe dovuto far insorgere gli ambientalisti di tutto il pianeta che adesso dovrebbero essere impegnati a calcolare quanta Co2 è stata immessa nell’ambiente nei quattro mesi di festeggiamenti culminati nelle nozze a Mumbai, quanto inquinamento hanno subito terra, acqua e aria, per non parlare di quello acustico; e ancora, quanto cibo è andato sprecato e, con esso, l’energia impiegata per produrlo. Si pensi a tutti quegli aerei privati, alla nave da crociera, alle automobili usate, e poi, al consumo immenso di energia per illuminare, far funzionare i climatizzatori e gli amplificatori, cucinare... L’impronta ecologica impressa alla Terra da questo matrimonio è una voragine di dimensioni mostruose, un contributo pazzesco all’esaurimento delle risorse naturali disponibili per l’anno in corso (questo beninteso per chi crede nella scientificità dell’impronta ecologica).
Contro un matrimonio così sarebbero state organizzate manifestazioni di protesta, i suoi indubbi eccessi avrebbero sollevato indignazione, creato scandalo, se gli sposi fossero stati europei o nord americani invece che indiani. L’indifferenza finora invece mostrata, l’assenza di critiche da parte di chi si attiva per molto meno fa riflettere. Chi in buona fede si preoccupa dello stato del pianeta e si indigna per le disuguaglianze sociali ed economiche, chi oggi continua ad accusare noi occidentali di consumismo sfrenato, di irriguardosa esibizione della ricchezza in spregio di chi non ha nulla, di esagerata ricerca di status symbol, e chi invece – o inoltre – ci accusa di sprecare, inquinare e usare più risorse di quante il pianeta riesca a produrne condannando irresponsabilmente la Terra a diventare una roccia sterile e rovente, ebbene, deve finalmente rendersi conto di vivere fuori dal tempo e dalla realtà. È ora che rivolga la sua attenzione altrove, agli “altri” ricchi, quelli dei Paesi cosiddetti poveri, in via di sviluppo, emergenti, perché lo stile di vita occidentale da molto tempo non è più la causa prima e unica di degrado ambientale e di inaccettabili giustizie, se mai lo è stato.
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