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TURCHIA

Come la tribù tappa la bocca a una cantante esordiente

Mutlu Kaya, cantante curda di Diyarbakir (Turchia sudorientale), si stava preparando per andare a cantare al talent show Sesi Cok Guzel, l’equivalente turco del nostro Italia’s got Talent, quando un uomo le ha sparato alla testa. Aveva ricevuto minacce di morte dal clan del padre, il suo successo era uno scandalo.

Esteri 20_05_2015
Mutlu Kaya

Per certe culture, per certe tradizioni e religioni, non solo è lecito scagliare la prima pietra, ma anche sparare per uccidere. Non solo se la peccatrice è un’adultera, ma anche se ha semplicemente se canta in pubblico, in televisione. Mutlu Kaya, diciannovenne curda di Diyarbakir (Turchia sudorientale), si stava preparando per andare a cantare al talent show Sesi Cok Guzel, l’equivalente turco del nostro Italia’s got Talent, quando un gruppo di persone si è presentato al suo piccolo e povero appartamentino dove viveva con tutta la famiglia. Uno dei “visitatori” le ha sparato un colpo di rivoltella alla testa.

La sua colpa era proprio la partecipazione al talent show, dove stava sfondando dopo la sua spettacolare performance. Pelle chiara, occhi verdi, capelli lunghi, lisci e corvini, aveva incantato pubblico e giuria con la sua voce potente, cantando musica popolare e tradizionale. Sibel Can, una delle più note cantanti folk della Turchia, le aveva promesso di portarla sulla scena di Istanbul, dall’altro capo del Paese, in Europa, per introdurla nel mondo dello spettacolo. Poteva essere una storia a lieto fine, quella di Mutlu. Un po’ l’equivalente turco dello Slumdog Millionaire indiano: dalla povertà assoluta all’assoluta notorietà grazie a uno show televisivo. Un talento nascosto di una ragazza dei bassifondi che finalmente trova il canale giusto, il perfetto colpo di fortuna, per poter emergere. Purtroppo non è stata affatto la storia dell’anno, non c’è stato il lieto fine che tutti si aspettavano.

Proprio il passaggio dalla povertà alla notorietà è stato giudicato inaccettabile dal clan di suo padre. Subito dopo la puntata/rivelazione, Mutlu si diceva preoccupata per le minacce che iniziava a ricevere, una dietro l’altra. Non era semplice gelosia, o la mitomania che ben conosciamo da questa parte dell’Europa, ma la convinzione, religiosamente e tradizionalmente rispettata, di far stare la donna al suo posto nella famiglia, l’assoluta condanna dell’emancipazione e dell’indipendenza, lo scandalo nel vedere le sue braccia nude, esposte in uno show televisivo trasmesso su scala nazionale. Il pudore, virtù celebrata anche nel cristianesimo, in quella tradizione, tribale e islamica, è un obbligo da rispettare rigorosamente, pena la morte. L’attentatore di Mutlu Kaya, quasi certamente un parente scandalizzato, ha sparato per uccidere, non per intimidire. Ieri la polizia turca ha arrestato un uomo e sta ancora ricercando gli altri membri del “commando”.

Diyarbakir, una città da un milione e mezzo di abitanti, è una città a metà fra islam ed emancipazione, fra Turchia e il Kurdistan di cui rappresenta la capitale informale. La metà del suo consiglio e il sindaco Gültan Kışanak sono donne. La Kışanak è un simbolo dell’emancipazione femminile. Nel 2008 ha partecipato al film “Ma che bella democrazia” sulla lotta delle turche per entrare in parlamento. Già deputata nella scorsa legislazione, da quando è stata eletta nella sua città, nelle elezioni amministrative del 2014, è stata la prima donna sindaco. Il movimento femminista locale, sempre più forte, è legato a doppio spago al gruppo indipendentista non-violento curdo del Bdp (di cui la Kışanak è leader nazionale), il Partito per la Pace e la Democrazia, che mira a trasformare il conflitto civile (tutta quella provincia è periodicamente teatro di scontri fra esercito e indipendentisti) in un processo politico democratico. Da Diyarbakir è partito il grosso del sostegno curdo per Kobane, la città siriana assediata dall’Isis e abbandonata al suo destino dall’esercito turco. Anche in questo caso, le donne-soldato curde dell’Ypg hanno sempre combattuto in prima linea, sono diventate il simbolo della resistenza contro l’oscurantismo criminale degli jihadisti.

In questo contesto, dove emancipazione femminile, rivoluzione e indipendentismo curdo vanno a braccetto, la parte più conservatrice della stessa società curda reagisce riaffermando i valori tribali tradizionali. Per quel che si sa dalle indagini, Mutlu Kaya non è stata colpita da un nazionalista turco, ma molto più probabilmente da altri curdi, suoi familiari, gente del suo sangue, in tutti i sensi.