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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

LA DSC E LE MESSE NEGATE

Come la Chiesa è diventata di Stato. In dieci mosse

Violazione delle leggi dello Stato e canoniche, sottomissione politica, accettazione che il governo dettasse la liturgia, responsabilità dei vescovi che non hanno protestato. Con la vicenda delle Messe negate si sono dettate le regole tipiche di una “Chiesa di Stato”, nella forma già tracciata dalla “Costituzione civile del clero” del 1791.

Dottrina sociale 05_05_2020

L’atteggiamento della Chiesa italiana verso la decisione del governo di sospendere le Sante Messe interessa sotto vari profili la Dottrina sociale della Chiesa. Molti aspetti sono già stati trattati sia in questo blog che in altre fonti. Molti esperti ed appassionati sono intervenuti. Dopo tanti opportuni discorsi, può essere altrettanto opportuno fare sintesi, per tenere ferme le cose fondamentali, in modo che non vengano dimenticate nel frastuono dei media.

1 - Gli interventi governativi in questo campo contraddicono la lettera e lo spirito del Concordato tra Stato e Chiesa del 1984. Insigni giuristi lo hanno denunciato e su questo non ci sono dubbi. Il governo italiano è entrato in ambiti che il Concordato protegge come propri esclusivamente della Chiesa.

2 - Dato che la Chiesa non ha protestato né ha lottato su questo punto, si può pensare che essa potrà cedere in futuro anche su altri aspetti concordatari. I precedenti pesano e l’accettazione del sopruso non paga mai, ma induce l’interlocutore a pensare di potersene permettere altri in seguito. La Chiesa italiana ha dimostrato di non avere una strategia dei rapporti con il potere politico, non ha fatto valere la propria identità e le proprie esigenze essenziali e, in questo modo, ha reso possibili altre rese future.   

3 - Il governo ha disciplinato addirittura i riti della Settimana Santa e la Conferenza Episcopale Italiana ha dovuto attenersi alle istruzioni dettate da funzionari del Ministero degli Interni che stabilivano addirittura chi potesse essere presente sull’altare accanto al celebrante durante il Triduo pasquale e quando e come poteva esserci l’organista. Il potere politico non ha solo impedito le celebrazioni liturgiche vietandole, ma ha anche dettato i dettagli della liturgia trasmessa via tv o in streaming. Si sono dettate le regole tipiche di una “Chiesa di Stato”, nella forma già tracciata dalla “Costituzione civile del clero” del 1791.

4 - Stato e Chiesa sono realtà indipendenti e sovrane, ma in questo caso la sovranità della Chiesa è venuta meno ed essa ha accettato di essere considerata come un'aggregazione sociale della società civile sottoposta alle disposizioni del potere politico. La cosa contrasta crudamente con la teologia e con la storia. Con la teologia secondo cui ogni potestà deriva da Dio, con gli insegnamenti della Chiesa impartiti lungo i secoli e con le storiche lotte che la Chiesa ha sempre ingaggiato per la propria libertas dal potere politico, a cominciare da Gregorio VII, Bonifacio VIII, Pio IX.

5 - I divieti governativi alla celebrazione delle Messe con il popolo sono arrivati di notte, con la disposizione di essere applicati e diffusi l’indomani mattina, senza preavviso e senza confronto: la Chiesa ha anche accettato di essere umiliata nel modo, oltre che nel contenuto. Essa ha perfino ringraziato il governo per i soprusi subiti, contenta del protocollo di intesa per l’apertura delle Messe alla fine di maggio, a novantesimo minuto ormai da tempo scaduto.

6 -  La Chiesa italiana non ha tenuto solo un atteggiamento remissivo, ma anche incerto e ondivago e si è anche dovuto assistere all’espressione di linee diverse da parte del Papa e della Conferenza episcopale italiana, con timidi passi avanti e decisi passi indietro, con grave disorientamento per i fedeli, che si sono sentiti confusi e abbandonati.

7 - Tra il cittadino e il fedele si è riproposta una frattura: la ragione politica è stata adoperata contro la fede e il credente si è trovato come davanti a due padroni che pretendevano da lui cose opposte. Ciò si sarebbe potuto evitare se la Chiesa avesse mantenuto con decisione sovrana le Messe aperte al popolo, accettando la normativa governativa nel tragitto dei fedeli verso la chiesa e applicando in autonomia e con buon senso misure di sicurezza dentro le chiese.

8 - La sospensione delle Messe ha indotto a pensare che la lotta all’epidemia fosse solo una questione naturale e non anche soprannaturale, separando i due piani, cosa che la Chiesa non dovrebbe mai consentire. Settori della Chiesa ne hanno approfittato per secolarizzare la liturgia e la presenza pubblica della Chiesa, e qualche teologo ha accolto come provvidenziale la pandemia in corso perché avrebbe finalmente fatto capire che il bene comune è il criterio del Vangelo e non il Vangelo il criterio del bene comune.

9 - È venuto così meno il carattere verticale del bene comune, ossia la centralità di Dio, Causa prima e Fine ultimo di tutto quanto accade nella natura e nella storia. Perché si possa parlare di autentico bene comune. La fede e la Chiesa sono state considerate inutili, mentre la scienza e la politica hanno assunto un ruolo guida, nonostante tutte le loro incertezze sia di visione dei problemi sia di linee operative. Si è aperta così la possibilità di un autoritarismo politico accettato e condiviso: quando viene a mancare la libertà della Chiesa viene a mancare la libertà dell’uomo. C’è un timore diffuso che con la scusa dell’epidemia venga instaurato un bio-potere fondato sul controllo dalle orrende prospettive.

10 - Nella valutazione della pandemia, sia nelle sue cause che nei suoi effetti, la Chiesa non ha utilizzato la sua Dottrina sociale, preferendo affidarsi ad una presunta certezza della scienza e alle decisioni, ritenute insindacabili, della politica. Si è accettata la privatizzazione della fede. (Stefano Fontana)