Come avvenne la risciacquatura dei panni in Arno
Per la seconda edizione dei Promessi Sposi, il Manzoni si avvalse dell'aiuto di Emilia Luti per la celebre risciacquatura dei panni in Arno. Una vera e propria consulente linguistica per ripulire il romanzo con un lessico letterario della lingua toscana, «incomparabilmente più bella, più ricca […] di tutte le altre».
Quando uscirono alla fine del 1842 le prime edizioni a stampa dei Promessi sposi (la quarantana), Manzoni scrisse la seguente dedica autografa: «Madamigella Emilia Luti gradisca questi cenci da Lei risciacquati in Arno, che Le offre, con affettuosa riconoscenza, l’autore». La risciacquatura dei panni in Arno sarebbe quindi avvenuta grazie al contributo fondamentale di una donna: Emilia Luti.
Prima di indagare la vita di lei e come avvenne effettivamente la famosa risciacquatura dei panni in Arno, cerchiamo di capire come Manzoni intendesse modificare il romanzo dal punto di vista linguistico nel corso degli anni.
Nella prima stesura del romanzo intitolata Fermo e Lucia (1823), pubblicata postuma e letta solo da qualche amico, lo scrittore utilizzò, per sua stessa ammissione, «un composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ toscane, un po’ francesi, un po’ anche latine; di frasi che non appartengono a nessuna di queste categorie, ma sono cavate per analogia o per estensione o dell’una o dell’altra di esse».
La prima edizione a stampa ufficiale de I promessi sposi del 1827, o ventisettana, venne rivisitata nella prospettiva di eliminare i lombardismi e i francesismi. Il dizionario Cherubini milanese-italiano e il dizionario della Crusca (1806) furono i validi strumenti di cui Manzoni si avvalse per creare una lingua colta improntata al lessico letterario della lingua toscana, «incomparabilmente più bella, più ricca […] di tutte le altre».
La seconda edizione de I promessi sposi del 1840 risentì della risciacquatura dei panni in Arno. Manzoni adattò la lingua all’uso vivo fiorentino delle classi sociali colte che sostituì in parte la letteratura e la grammatica. Manzoni lo poté apprezzare durante la sua permanenza a Firenze, ma si giovò soprattutto delle collaborazioni di alcuni letterati come il Cioni, il Niccolini.
In una lettera dell’8 febbraio 1836 indirizzata a Gaetano Cioni, Manzoni ringraziava il destinatario dell’invio del Vocabolario milanese, dal momento che lo scrittore era «povero e digiuno di lingua toscana». Manzoni informava Cioni del lavoro a cui si era dedicato (la risciacquatura dei panni in Arno), lavoro che pensava potesse occupargli meno tempo, ma che divenne poi un’attività estenuante («nel lavorare mi vien fatto, contro quel che dice il proverbio, d’un nottolino una trave»). Manzoni chiedeva poi anche una traduzione «esatta e sicura in toscano vivente dell’articolo Messe dell’ultima recentissima edizione del Vocabolario dell’Accademia francese». Chiedendo perdono per questi aiuti, Manzoni sottolineava che erano contributi al servizio della lingua italiana e dell’Italia.
Nell’estate del 1839 Manzoni iniziò ad avvalersi anche dell’aiuto di Emilia Luti. Chi era costei? Era l’istitutrice della nipote Rina d’Azeglio, figlia di Massimo d’Azeglio, che si trattenne più tardi per un anno in casa Manzoni. Fu Manzoni stesso a chiedere al d’Azeglio, quando seppe che ritornava dalla Toscana con una donna fiorentina: «Ei, ei, Massimo, vorrai bene prestarmela, eh, la tua fi[o]rentina». A raccontarlo è Stefano Stampa, figliastro di Manzoni:
E fu in questo modo che la signora Luti incominciò a frequentare casa Manzoni. In seguito, poi, […] vi entrò ad abitarla e vi stette alcuni anni con l’unico scopo di correggere fiorentinamente I promessi sposi. Legittimando la sua presenza con quella delle figlie Manzoni che in quel momento, se ben mi rammento, non erano ancoa tutte maritate; facendo loro da dama di compagnia.
In un’interessante lettera in risposta alla Luti, che gli ha fornito una delle tante consulenze linguistiche, Manzoni scrisse:
Pregiatissima Signora Emilia
Mille grazie a Lei, e alla sua Signora Madre: le parole vanno benone, compresa quella sulla quale Lei aveva qualche dubbio. Solo ne rimane uno a me sulla maniera d’adoprarne una. Vedo che non si dice chiesina, ma cappella; e entrare in cappella, non so però se vada senza l’articolo in ogni caso. Le trascrivo qui di nuovo la frase: nella cappella (o in cappella?) e sul patibolo ritrattò ogni cosa. Vorrei anche sapere se vada bene quest’altra: trovandosi vicino alla cappella, dov’era stato messo il Piazza, lo sentì che strepitava, etc.
La Luti ebbe, quindi, la funzione di consulente linguistica del Manzoni, come conferma anche il lavoro di postilla di una copia del Vocabolario milanese-italiano (redatto da Francesco Cherubini) compiuta insieme a Manzoni, ora alla Braidense di Milano.
In una lettera ad Alfonso Della Valle di Casanova del 30 marzo 1871, Manzoni difese ancora la scelta della risciacquatura dei panni in Arno e sostenne che il merito del cambiamento linguistico del romanzo era da attribuirsi a quegli intellettuali che avevano sostenuto la noia di suggerirgli le correzioni lessicali. A lui, invece, non era «costata altra fatica, che di mettere in carta, di mano in mano che […] venivano suggerite» le nuove parole. Ancora una volta possiamo apprezzare la grande umiltà di Manzoni.