Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Pietro Canisio a cura di Ermes Dovico
USA: 10 GIORNI AL VOTO

Colpi bassi della campagna Dem contro Donald Trump

Ascolta la versione audio dell'articolo

Colpi molto bassi della campagna elettorale democratica: testimonianze scabrose contro Trump, che è in vantaggio nei sondaggi. La campagna di Trump, invece, denuncia "ingerenze" del Partito Laburista britannico. 

Esteri 25_10_2024
Trump rende omaggio ai caduti in Afghanistan (La Presse). L'ex presidente viene accusato di non rispettare caduti e veterani

Per la prima volta dall’inizio della campagna elettorale di Kamala Harris, la candidata democratica è sotto in tutti e sette gli Stati in bilico. Secondo la media dei sondaggi di Real Clear Politics, in Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin, Trump è in vantaggio. In alcuni casi lo stacco è molto ridotto, inferiore all’1% e quindi quegli Stati andrebbero considerati onestamente ancora come “in bilico”. È il caso della Pennsylvania (dove si combatterà all’ultimo voto), del Michigan e del Wisconsin. Dove però, fino alla settimana scorsa, era in vantaggio Kamala Harris. Per comprendere appieno quanto la tendenza sia favorevole al candidato repubblicano, basta fare un confronto con le elezioni precedenti. Nella media degli Stati in bilico, Trump era sotto di 4 punti rispetto a Biden. Ora è di 1 punto sopra Kamala Harris. L’elettorato di tutti questi Stati si è dunque spostato a destra. Per questo si spiegano i colpi bassi della campagna elettorale democratica, che ormai punta a demolire personalmente la figura di Donald Trump.

Senza andar troppo per il sottile, il presidente in carica Joe Biden, in un evento elettorale del New Hampshire, ha dichiarato che Trump “andrebbe rinchiuso”. Giusto per citare le sue parole per intero, senza estrapolare, così ha parlato il presidente degli Stati Uniti del candidato dell’opposizione: «Questo è un uomo che vuole anche sostituire ogni dipendente pubblico, ogni singolo dipendente; pensa di avere il diritto, in base alla sentenza della Corte Suprema sull'immunità, di poter, se necessario... eliminare - eliminare fisicamente, sparare, uccidere - qualcuno che... ritiene essere una minaccia per lui. So che può sembrare bizzarro. Se lo avessi detto cinque anni fa, mi avreste rinchiuso. [Ora] Dobbiamo rinchiuderlo noi». Ad applausi già iniziati, Joe Biden ha tenuto a precisare che “rinchiudere” non vada inteso in senso letterale (incarcerare), ma in senso metaforico: rinchiudere politicamente. Ma davvero dopo aver elencato tutti questi potenziali pericoli per la democrazia, intendeva solo “rinchiuderlo” in senso metaforico? Se la stessa battuta l’avesse fatta Trump, oggi si parlerebbe di minaccia alla democrazia. È già successo, per molto meno.

Non si è ancora vista una “October Surprise”, una notizia nelle ultime settimane di campagna elettorale capace di inchiodare il candidato vincente. Tuttavia, stanno emergendo delle testimonianze eclatanti, anche se obiettivamente deboli. La prima è quella della modella Stacey Williams che accusa l’ex presidente di averla molestata e coinvolta in giochi erotici assieme a Jeffrey Epstein, il defunto procuratore di escort (anche minorenni) per i big del mondo. Ma si parla di fatti del 1993, dunque ben 31 anni fa. E uno dei due accusati, appunto, è defunto e non può testimoniare a sua discolpa. «Queste accuse, fatte da un ex attivista di Barack Obama e annunciate in una telefonata della campagna di Harris due settimane prima delle elezioni, sono inequivocabilmente false. È ovvio che questa storia falsa è stata inventata dalla campagna di Harris», dichiara, in risposta, la campagna di Trump.

L’altra testimonianza, più pesante perché viene da un ex uomo di Trump, è quella del generale John Kelly, primo capo di gabinetto della Casa Bianca nell’amministrazione repubblicana. Kelly accusa Trump di essere niente meno che “fascista”, un uomo che vorrebbe governare da dittatore, ammira i dittatori nemici degli Usa e disprezza i valori americani di libertà, anzi, “non sa che farsene”. E addirittura dice che l’ex presidente ammiri Hitler. Secondo Kelly, insomma, è un pericolo per la democrazia. Però è la parola del generale contro quella dell’ex presidente con cui collaborava. La campagna di Trump, comprensibilmente, smentisce tutto.

La parte più dannosa della testimonianza del generale Kelly riguarda però le parole di disprezzo che Trump avrebbe pronunciato contro i caduti in guerra, definiti “sfigati” e i veterani. Nel 2017 non avrebbe voluto una parata di veterani mutilati e invalidi, perché “non è una bella scena da vedere” e nel 2018 non avrebbe voluto rendere omaggio ai caduti della Prima Guerra Mondiale, in Francia, perché “sfigati”. Sono conferme di una serie di voci che erano circolate da anni, sulla mancanza totale di rispetto di Trump (che non ha mai fatto il militare) nei confronti degli uomini in uniforme. Un atteggiamento simile lo aveva avuto pubblicamente nei confronti di John McCain, suo rivale interno nei Repubblicani, eroe di guerra e candidato alla presidenza nel 2008. Riferendosi alla sua lunga e sofferta prigionia in Vietnam, aveva dichiarato sarcasticamente: «Preferisco celebrare chi non si fa catturare». L’argomento del disprezzo dei veterani è più doloroso per un elettorato di destra che ha sempre avuto massimo rispetto per chi serve la patria in uniforme. Ma sono anche accuse smentite, all’atto pratico, dalle azioni dell’amministrazione Trump che ha investito molto più dei Democratici, non solo per l’esercito, ma anche per i servizi dedicati ai veterani. Attualmente, il 61% di questi ultimi voterebbe Donald Trump e non Kamala Harris. È dunque dubbio che la testimonianza del generale Kelly possa spostare le intenzioni di voto di un elettorato così graniticamente schierato con Trump.

Dove invece è la campagna repubblicana a passare all’attacco, è sul tema dei volontari stranieri nella campagna dei Democratici. Volontari britannici, in particolare, che sono arrivati in gran numero, organizzati dal Partito Laburista. Sul profilo LinkedIn di una funzionaria del partito britannico viene vantato che ben 100 dei suoi membri siano già all’opera negli Stati più strategici delle elezioni Usa, per aiutare la Harris. E Trump ha deciso di passare alle vie legali. L’avvocato Gary Lawkowski, della sua campagna, denuncia una plateale “ingerenza straniera” nel processo elettorale, soprattutto considerando che quello Laburista è il partito di governo nel Regno Unito. Il premier Keir Starmer minimizza, dichiara che i volontari sono sempre andati negli Usa e agiscono a norma di legge. Le leggi, negli Usa, prevedono che possano esserci volontari, purché siano a titolo personale e gratuito. In un caso precedente, volontari laburisti australiani che avevano fatto campagna per Bernie Sanders nel 2018 avevano il viaggio spesato. E Sanders, per questo, era stato sanzionato. I legali della campagna di Trump mirano a dimostrare che anche i cento e più volontari laburisti britannici siano retribuiti.