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DARE SENSO ALLA FORZA

Colleferro: la virilità non ha colpe, andava insegnata

La tragedia di Colleferro dimostra la mancanza di virilità nella società e che l'odio di essa non fa che trasformarla in aggressività: i colpevoli del delitto non sono infatti uomini, ma bambini, come i tanti cresciuti senza ricevere "no" e senza nessuno che abbia spiegato loro che la forza maschile serve a proteggere le donne e i deboli da eventuali aggressori. 

Editoriali 09_09_2020

Che riflessioni suscita l’episodio di Colleferro, nel quale un giovane è stato ucciso a calci e pugni da quattro, forse cinque violenti? A me, un ricordo.

Ricordo quando, anni fa, lavoravo presso un importante consultorio milanese. In quel tempo le scuole, esasperate da banane e preservativi, si rivolgevano ai consultori cattolici per avere programmi di educazione sessuale un po' più complessi. Alcune mie colleghe organizzarono un corso da proporre a scuole di primo e secondo grado e fecero il loro ingresso negli istituti. Dopo la presentazione del corso alle medie, alla domanda «Come è andata?», commentarono in questo modo: «Ah, con le ragazze benissimo: erano interessate, facevano domande...». «E con i ragazzi?» «Beh… ridacchiavano, si davano di gomito… a quell’età sono ancora troppo immaturi...». La scena si ripropose identica dopo gli interventi al biennio e, persino, al triennio: le ragazze erano interessate, facevano domande; i ragazzi, invece, erano ancora troppo immaturi. A diciotto anni, quando possono fare la patente e votare per la Camera dei Deputati, sono ancora troppo immaturi? Mi permisi così di avanzare una ipotesi alternativa.

Le mie colleghe presentavano, da un punto di vista evidentemente femminile, i meravigliosi cambiamenti che le ragazze attraversavano in quell’età; e, soprattutto, spiegavano in modo entusiasmante il senso, il motivo di quei cambiamenti. Ovviamente, erano molto interessate e coinvolte. Ma i ragazzi? Loro non erano interessati alla delicata e meravigliosa sincronia del ciclo ormonale femminile. A loro non cresceva il seno; non si allargavano i fianchi. Non era quello il cambiamento che stavano affrontando e che, soprattutto, non sembrava interessare a nessuno. Non sto parlando della barba (orrenda, a chiazze) che comincia a punteggiare il loro mento; né della voce, tutt’altro che affascinate e sexy in quegli anni. Sto parlando del vero cambiamento che gli adolescenti maschi notano, che li affascina, li spaventa; e che nessuno mai spiega. I muscoli. La forza.

Nessuno spiega loro che stano diventando più alti, più forti, più veloci e aggressivi per difendere la donna e il bimbo che essa si prepara ad accogliere. Che i cambiamenti che vedono nel loro corpo indica che il loro destino è opporre quel corpo ad un eventuale aggressore. Che, se nel corpo della donna è iscritto il destino di dare la vita ad un bambino, nel corpo dell’uomo è iscritto il destino di dare la propria vita, di sacrificarsi per le persone che gli sono affidate. Nessuno commenta per loro le parole di Ettore nell’Iliade: «La guerra – cioè la morte violenta – è cosa da uomini». Nessuno fa loro notare che, nel quadro La tempesta del Giorgione (1478-1510), la donna può allattare nuda e serena il proprio bambino e guardare tranquillamente negli occhi l’osservatore, nonostante la tempesta che si sta avvicinando perché, quasi invisibile, c’è un uomo armato che veglia su di loro. Nessuno, dicevamo, spiega ai ragazzi che è per questo che il loro corpo sta cambiando: perché sono chiamati a dare la vita per amore.

Così il testosterone, la forza e l’aggressività restano senza uno scopo, senza un senso. Ma non smettono di esistere. E, invece di essere usati per difendere, possono diventare occasione di offesa. Così si arriva al cosiddetto “femminicidio”. Chi si macchia di tali delitti non mette la propria forza al servizio della donna, ma la usa contro di lei. Non sono uomini, ma bambini che non si sono mai sentiti dire «No». E che, di fronte al primo «No», reagiscono – appunto – come bambini. Bambini alti un metro e ottanta, pesanti un quintale e pieni di testosterone. Così si arriva al bullismo. Invece di usare la propria forza per difendere i propri compagni, magari non ancora sviluppati, la si usa contro di loro.

Così si arriva a Colleferro. Quattro, forse cinque contro uno; pure mingherlino. Non mi parlate di virilità, per favore. Questi non sanno nemmeno dove sta di casa. Ma forse un po' di responsabilità ce l’ha anche la nostra società, che odia così tanto la virilità da tacerne il senso e il fine ai ragazzi. Il politicamente corretto ci ha abituati a credere che il linguaggio crei la realtà. Purtroppo, tacendo della virilità, essa non scompare dal mondo. Resta, senza un orizzonte, uno scopo. Non si organizza, non ha una struttura, non segue un ordine. Ed ecco i risultati.

Un ultimo pensiero. Ho letto commenti deliranti sulla faccenda. Ovviamente si punta il dito contro la virilità (la si definisce «tossica», «machismo»). Qualcuno non si lascia sfuggire l’occasione di tirare in ballo «la pulsione identitaria». Altri, invece, accusano e chiedono di vietare gli sport da combattimento, che i quattro, cinque assassini praticavano. Cioè si chiede di proibire l’ennesima e forse l’ultima forma che i ragazzi possono dare alla loro forza, alla loro aggressività. Tra l’altro, ogni praticante o ex praticante sa che gli sport da combattimento insegnano meglio di ogni altra attività a controllare le proprie emozioni, comprese paura e aggressività; insegnano a restare lucidi, insegnano che tecnica, intelligenza e psicologia sono molto più efficaci delle passioni incontrollate. Da qui la facile previsione: vietate gli sport da combattimento e le arti marziali e vedrete esplodere numerosissimi episodi come quello che hanno coinvolto Willy, il ragazzo ucciso a Colleferro.