Coalizioni al capolinea, resa dei conti nei partiti
Prime conseguenze dopo il gioco dell'oca del Quirinale: la forte crisi di credibilità dei partiti, che hanno perso la faccia agli occhi dei cittadini e la balcanizzazione degli schieramenti che prepara la strada alla riforma di un sistema elettorale proporzionale.
La rielezione di Sergio Mattarella è stata salutata da tutti i commentatori come un elemento di stabilità e di consolidamento del quadro politico. La verità è che i partiti, praticamente tutti, ne sono usciti con le ossa rotte e il loro potere negoziale con il Quirinale e con Palazzo Chigi si è assottigliato ulteriormente. Nei prossimi mesi, almeno fino a ottobre, quando i parlamentari si saranno conquistati l’agognata pensione tagliando l’agognato traguardo dei 4 anni sei mesi e un giorno di permanenza in carica, il premier potrà avere buon gioco nel rispedire al mittente ogni minaccia o ultimatum dei leader di partito e certamente porterà avanti con determinazione il programma di governo, essenzialmente incentrato sulle misure anti-covid e i progetti del Pnrr.
Nel frattempo, procederà a vele spiegate il processo di sfarinamento delle coalizioni e di spappolamento dei singoli partiti. La prospettiva più concreta è quella della scomposizione (meglio sarebbe dire decomposizione) in vista di una ricomposizione su basi nuove dopo il voto politico della primavera 2023.
Come tutti i sondaggisti sostengono, il gioco dell’oca del Quirinale, con il ritorno al punto di partenza, cioè al Presidente della Repubblica uscente, dopo una settimana di vertici, trattative e veti incrociati, ha danneggiato soprattutto Matteo Salvini, che sperava di essere il king maker, e Giuseppe Conte, che puntava su Elisabetta Belloni e che rimane ai margini degli attuali equilibri di potere. Enrico Letta, grazie alla riconferma di Mattarella, ricompone la frattura interna con la componente di Dario Franceschini, ma vede incrinarsi il fronte giallorosso, perché, nel frattempo, il Movimento Cinque Stelle, principale alleato dei dem, somiglia sempre più a una polveriera pronta a esplodere.
Tra l’ex premier Conte e il Ministro degli esteri, Luigi Di Maio, volano gli stracci e non sono affatto escluse espulsioni o scissioni, in perfetto stile grillino. Le tensioni latenti prima del voto per il Quirinale sono esplose in tutta la loro virulenza subito dopo ed è assai probabile che molto presto Conte e Di Maio faranno parte di due forze politiche diverse. Impensabile la loro convivenza sotto lo stesso tetto, avendo entrambi forti ambizioni di potere ma con strategie completamente diverse.
Conte intende recuperare lo spirito originario e barricadero del Movimento, mentre il Ministro degli esteri si è praticamente democristianizzato e potrebbe far parte di quel rassemblement di centro che nascerà attorno a Pierferdinando Casini e radunerà pezzi di Forza Italia, della Lega, i centristi di Toti e Brugnaro e probabilmente anche Italia Viva, sempre più distante dal recinto della sinistra.
Giorgia Meloni raccoglierà molti consensi soprattutto tra gli scontenti della Lega e di Forza Italia che, dopo la riconferma di Mattarella, non hanno più fiducia nel centrodestra unito e guardano alla leader di Fratelli d’Italia come unico riferimento in quell’area.
Dentro il Carroccio, peraltro, la leadership di Salvini appare sempre più appannata e la crescente insofferenza di alcuni governatori leghisti potrebbe sfociare in dissensi anche marcati.
Il manifestarsi di tutte queste spinte centrifughe evidenzia due cose. Anzitutto la forte crisi di credibilità dei partiti, che hanno perso la faccia agli occhi dei cittadini, dimostrandosi incapaci di eleggere un Presidente della Repubblica, dopo aver dimostrato già un anno fa analoga incapacità di dar vita a un governo politico.
In secondo luogo, questa balcanizzazione degli schieramenti e questa frantumazione delle forze politiche preparano la strada alla riforma del Rosatellum, con l’introduzione di un sistema elettorale proporzionale che tagli la strada alle ali estreme, consenta a un raggruppamento di centro di essere determinante per qualsiasi governo anche nella prossima legislatura e offra seggi anche alle forze minori, che comunque saranno costrette ad allearsi dopo il voto per far parte della maggioranza di governo.
Fino a 15 giorni fa si parlava con insistenza di un asse Meloni-Letta in favore del maggioritario, perché la leader di Fratelli d’Italia puntava ad egemonizzare il centrodestra e il segretario del Pd il centrosinistra. Dal Pd, però, filtra con insistenza la voce di una conversione di Letta al proporzionale, dietro le incalzanti pressioni di molti esponenti del suo partito. Salvini lo ha capito e non a caso ha parlato di partito repubblicano da far nascere al più presto per inglobare quel che resta di Forza Italia e per tamponare l’emorragia di consensi nel suo bacino elettorale. Centrodestra e centrosinistra presto non avranno più ragion d’essere e le aggregazioni avverranno su basi nuove. Prepariamoci, quindi, a nuove ammucchiate di governo anche dopo le prossime elezioni politiche.