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L'APPLICAZIONE DELLA LEGGE

Cirinnà, sindaci precettati anche se contrari

Via libera del Consiglio di Stato al decreto che regola le Unioni civili. A cui il sindaco anche se contrario, è costretto a partecipare. Ogni ufficiale di stato civile infatti potrà "celebrarle", ma dovrà ricevere una delega dal sindaco. Che così concorrerà ad un atto contro la morale. A patto che non si dimetta.

Famiglia 23_07_2016
Sindaci

Super lavoro in questi giorni per i magistrati del Consiglio di Stato sui temi sensibili. Dopo aver costretto due giorni fa la Regione Lombardia a pagare i cicli di fecondazione eterologa richiesti dai privati, sempre giovedì scorso il Consiglio di Stato si è pronunciato favorevolmente sul decreto ponte che regola il regime transitorio di trascrizione delle unioni civili nei Registri di stato civile a cui dovranno seguire i decreti definitivi, quello sui Registri e quello sulle formule da usare per la celebrazione. In breve: il libretto di istruzioni per unire civilmente due persone omosessuali. Tali decreti potranno essere adottati in un lasso di tempo che inizia a decorrere tra quindici di giorni e scade il 5 dicembre. Ma tutti spingono affinchè le prime Unioni civili siano celebrate entro ferragosto.

Pare che sia la prima volta che il Consiglio di Stato convochi una conferenza stampa per illustrare una sua decisione, ulteriore prova che il tema ha notevole rilevanza politica. Ieri in conferenza stampa Franco Frattini, presidente della sezione Atti Normativi che ha esaminato e approvato il decreto-ponte, ha fornito un’interpretazione della legge Cirinnà che, possiamo dire, è ormai un dato giuridico acquisito. "Il Consiglio di Stato - ha spiegato Frattini - accende la luce sull'attivazione di un diritto che si fonda sull'art. 2 della Costituzione, il quale indica l'unione della coppia come una formazione sociale da tutelare. […] C'è un diritto assoluto dei partner alla trascrizione nei registri”.

Date premesse erronee le conclusioni non possono che essere anch’esse erronee. Il comma 1 dell’art. 1 della legge 76 del 2016 che istituisce le Unioni civili inquadra tale istituto come “specifica formazione sociale”. Il rimando è all’art. 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Quindi per il legislatore le Unioni civili fanno parte di quelle formazioni sociali di cui parla la Costituzione. Poco importa che – minute alla mano – i padri costituenti non avessero per niente in mente le convivenze omosessuali quando scrissero quell’articolo, bensì i partiti politici, le confessioni religiose, le associazioni, etc. Questa evidenza è stata notata anche dagli estensori della legge che infatti sono stati costretti ad aggiungere l’aggettivo “specifica” accanto a “formazioni sociali”, quasi a giustificare che le unioni civili non hanno nulla a che vedere con le formazioni sociali. Insomma è stato come dire che le unioni civili sono sì formazioni sociali, ma sui generis. In tal modo le unioni civili hanno però ricevuto tutale costituzionale.

Ecco però il passo successivo compiuto da Frattini, ma in nome di tutto il popolo gay. Come abbiamo visto, la Repubblica, ex art. 2 della Costituzione, tutela e garantisce i diritti inviolabili della persona anche nella formazioni sociali. Per diritti inviolabili la Costituzione intende la vita, la salute, la libertà, etc. Non certo il diritto di unirsi civilmente. Invece per Frattini – e quindi per il Consiglio di Stato – le cose non stanno così. Per lui l’art. 2 starebbe a significare che il diritto di istituire una formazione sociale diventerebbe un diritto inviolabile. Ergo esisterebbe un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione ad unirsi civilmente. Più semplicemente: le unioni civili sono diventate un diritto fondamentale. Ma la Costituzione invece dice altro: si tutelano i diritti inviolabili delle persone che sono inserite nelle formazioni sociali, ma la costituzione di queste ultime non è di certo intesa come diritto fondamentale.

Se il diritto ad unirsi civilmente diventa inviolabile, significa – come ha detto Frattini – che tale diritto è assoluto. Cioè non può conoscere compressione alcuna, nessuna limitazione. Ergo se due persone omosessuali si presentano in comune per unirsi civilmente queste hanno il diritto assoluto di vedere trascritta la loro unione nei registri civili. Quindi non c’è spazio per l’obiezione di coscienza di sindaci renitenti, perché è come se un medico non volesse rianimare un infartuato. Non si può esimere da tale compito.

E arriviamo ad un altro passaggio dell’intervento di Frattini, voce del Consiglio di Stato per questo particolare caso: “Il decreto tutela [questo diritto alla trascrizione] con la formula 'Ufficiale di stato civile' e questo evita che, attraverso dichiarazioni di coscienza individuale, si possa non dar corso all'attuazione. Non solo i sindaci, infatti, possono trascrivere le unioni ma possono delegare altre figure che rivestono altra qualifica. La platea è molto ampia e si evita il rischio che si paralizzi l'attuazione della normativa: […] consiglieri comunali, addirittura i privati, così come avviene nei matrimoni, e quindi pur di fronte al no di un sindaco, le amministrazioni dovranno garantire comunque le unioni civili».  Ha poi aggiunto per i duri d’orecchi: «Si parla più genericamente di ufficiale di Stato civile, cosa che abbiamo molto apprezzato. Così non c’è ombra di dubbio che l’attuazione del riconoscimento dei diritti non può essere surrettiziamente fermata».

Chi deve dar seguito alla volontà delle due persone dello stesso sesso di costituire una unione civile? Sia il decreto ponte che la legge rispondo all’unisono: l’ufficiale di stato civile. Il quale non è solo il sindaco, ma possono essere altri soggetti come ha spiegato Frattini.

Quindi tutti contenti perché non andando a scomodare l’istituto dell’obiezione di coscienza i sindaci contrari alle unioni civili potranno anche lavarsene le mani delegando altri? No, perché la delega, sia dal punto di vista giuridico sia soprattutto dal punto di vista morale, è un atto collaborativo, adiuvante la celebrazione. Il sindaco che si oppone radicalmente alle unioni civili, non vuole proprio essere parte di un processo che in qualche modo aiuta la celebrazione delle unioni civili e quindi il vero sindaco obiettore non potrebbe che rifiutare anche l’atto di delega.

Sotto l’angolatura etica – che è quella più rilevante – la delega configura collaborazione formale al male. E’ come il medico che redige il certificato abortivo: non sarà magari lui a procurare direttamente l’aborto, ma senza quel pezzo di carta da lui firmato l’aborto non potrebbe compiersi. E’ come Tizio a cui Caio chiede di uccidere Sempronio: Tizio per scrupoli di coscienza aborre tale atto omicidiario e quindi indica (delega) a Caio un suo conoscente invece ben disposto a commettere l’omicidio (e quindi in fondo Caio non aborrisce completamente tale gesto). La collaborazione formale al male è un atto malvagio esso stesso e dunque non può essere compiuto.

Le soluzioni che rimangono ai sindaci invece potrebbero essere le seguenti. O le dimissioni. Tale scelta se compiuta su scala nazionale avrebbe un peso politico notevolissimo. Ma ci rendiamo conto che questo accadrebbe solo nel paese di Fantàsia. Seconda opzione: il sindaco non si dimette, non celebra le unioni civili, né delega altri. Probabilmente si aprirebbe un contenzioso a suo carico e in sede processuale ciò sarebbe l’occasione propizia per contestare presso la Consulta la legittimità costituzionale della stessa legge sulle unioni civili.

Sindaci stretti all’angolo? Che non rispondano in modo minimalista con la semplice delega.