Cinque sconfitte: ecco perché lo sciopero è stato un flop
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Sindacale, amministrativo, giudiziale, di adesione e morale (il più grave): i cinque motivi per cui lo sciopero di Cgil e Uil è stato un flop clamoroso, che certifica il baratro che si è creato tra sindacati e lavoratori.
Lo sciopero generale del 29 novembre di Cgil e Uil (e altri sindacati minori) segna cinque sconfitte in una.
La prima sconfitta è di ordine sindacale. Cgil e Uil, in questa occasione, hanno infatti inferto una profonda ferita all’unità del fronte dei rappresentanti dei lavoratori. Il dissenso della Cisl non è mai stato manifestato in modo così netto come oggi, investendo ogni profilo dell’astensione: le motivazioni, il metodo, l’opportunità, lo stile. Una volta le principali confederazioni agivano unitariamente, ma nel tempo presente le differenze culturali si vanno sempre più evidenziando e, così, si vanno differenziando più marcatamente anche le soluzioni strategiche. Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl, non ha proprio potuto raccogliere l’invito del leader della Cgil alla “rivolta sociale”.
La seconda sconfitta è sul piano amministrativo. La Commissione di Garanzia per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali ha dapprima invitato i soggetti proclamanti, il 19 novembre, a rivedere le modalità di attuazione dello sciopero, alla luce delle norme di legge in materia (l. n. 146/1990). Quindi, il 25 novembre, constatato il mancato adeguamento alle indicazioni offerte, ha segnalato al Ministero dei Trasporti il “fondato pericolo di pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati”. E il Ministro ha immediatamente recepito la valutazione della Commissione mediante un atto di precettazione, ordinando di ridurre la durata dello sciopero nel settore del trasporto dei passeggeri. L’ira di Cgil e Uil si è così riversata sulle istituzioni.
La terza sconfitta è sul piano giudiziale. Alcune delle organizzazioni sindacali promotrici hanno depositato ricorso al giudice amministrativo per ottenere la sospensione in via cautelare della precettazione. Ma la richiesta è stata respinta con decreto del Tar Lazio, terza sezione, 28 novembre 2024, n. 5374. Qui la reazione di Cgil e Uil – si perdoni l’irriverenza – si è rivelata persino comica: ad essere rigettato, tengono a precisare, è stato il ricorso presentato dai colleghi di Cub e Sgb, mentre “il Tar non si è ancora espresso sul ricorso presentato da noi” (Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil).
La quarta sconfitta è sul piano dell’adesione. Mentre per il settore privato mancano dati certi, per il lavoro pubblico i numeri sono forniti dal Dipartimento della Funzione Pubblica alla pagina web “cruscotto scioperi”: ebbene, alle ore 19.30 del 29 novembre il 18,61% degli enti pubblici ha comunicato il tasso di adesione dei dipendenti, che è mediamente del 5,57%. Si tratta dunque di un flop clamoroso, che certifica non solo il fallimento dell’iniziativa, ma anche il baratro che si è creato tra sindacati e lavoratori. Questi ultimi, evidentemente, non hanno ritenuto che l’astensione giovasse ai propri interessi socio-economici.
La quinta sconfitta è morale. È la più grave e, in definitiva, è destinata a ritorcersi contro l’efficace esercizio del medesimo diritto di sciopero. Se i professionisti della piazza conoscessero i principi della Dottrina Sociale della Chiesa, saprebbero che è indebito funzionalizzare l’attività sindacale a scopi politici; che lo sciopero, quale forma di autotutela, dovrebbe costituire l’extrema ratio a fronte di situazioni proporzionalmente gravi; che esso non può attuarsi in pregiudizio dei diritti altrui.
Ma, se proprio non si vuol dar retta ai principi della ragione naturale, occorrerebbe almeno imparare dall’esperienza.
* Professore di diritto del lavoro, Università di Pavia
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