Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
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Sciopero individualista, che abusa di giustizia e solidarietà

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Lo sciopero generale indetto da CGIL e UIL e messo in pratica ieri ha molti caratteri che confliggono con la vera natura del sindacato così come presentata dalla Dottrina sociale della Chiesa anche nei suoi documenti più recenti. Vediamo perché. 

Editoriali 30_11_2024

Lo sciopero generale indetto da CGIL e UIL e messo in pratica ieri ha molti caratteri che confliggono con la vera natura del sindacato così come presentata dalla Dottrina sociale della Chiesa anche nei suoi documenti più recenti. Possiamo fare degli esempi a questo proposito.

Prima di tutto, secondo il giudizio di molti, questo sciopero ha avuto carattere politico più che sindacale. Esso si sarebbe svolto contro la legge finanziaria ma la sua proclamazione è avvenuta prima della formulazione di questa legge, quindi prima di leggerla nella sua interezza. Uno sciopero contro qualcosa che non si conosce mostra che la decisione è dovuta ad altro, ossia alla mobilitazione sociale contro l’attuale maggioranza di governo. Ora, su questo punto il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa dice qualcosa di molto chiaro: «I sindacati … non hanno il carattere di “partiti politici” che lottano per il potere, e non devono neppure essere sottoposti alle decisioni dei partiti politici o avere con essi dei legami troppo stretti: “In una tale situazione essi perdono facilmente il contatto con ciò che è il loro compito specifico, che è quello di assicurare i giusti diritti degli uomini del lavoro nel quadro del bene comune dell'intera società, e diventano, invece, uno strumento per altri scopi”» (n. 307). Non ci possono essere dubbi che le due organizzazioni sindacali interessate, e in particolare la CGIL, abbiano legami “troppo stretti” con alcuni partiti e che la decisione dello sciopero sia stata il frutto di una strategia combinata insieme, quantomeno basata su una comune valutazione del momento politico attuale.

Lo sciopero è un metodo di lotta sindacale. Però il termine “lotta” va inteso in modo legittimo sicché – come dice sempre il Compendio  - «l'odio e la lotta per eliminare l'altro costituiscono metodi del tutto inaccettabili» (n. 306). Con queste osservazioni la Dottrina sociale della Chiesa voleva soprattutto condannare il concetto di “lotta di classe” nei confronti dei “padroni”, sostenendo il valore della collaborazione tra capitale e lavoro. Oggi, tuttavia, altri “nemici” sono emersi: il governo, i partiti di centro-destra, la stessa parte di lavoratori che rifiutano di far coincidere il sindacalismo con la militanza ideologica e preferirebbero sedersi attorno ad un tavolo. La lotta è per la giustizia sociale e non contro qualcuno; «Questa “lotta” deve essere vista come un normale adoperarsi “per” il giusto bene; [...] non è una lotta “contro” gli altri. Il sindacato, essendo anzitutto strumento di solidarietà e di giustizia, non può abusare degli strumenti di lotta; in ragione della sua vocazione, deve vincere le tentazioni del corporativismo, sapersi autoregolamentare e valutare le conseguenze delle proprie scelte rispetto all'orizzonte del bene comune» (n. 306).

Su questi ultimi temi l’insufficienza del recente sciopero generale è piuttosto evidente. Si abusa degli strumenti di lotta quando li si anticipa rispetto al confronto e alla trattativa. Uno sciopero generale non può essere all’inizio, esso è una soluzione estrema date le sue conseguenze sull’intera società. Si abusa di essi anche quando non si accetta una regolamentazione e una moderazione richiesta dalla salvaguardia del benessere di tutti. È certamente un abuso ritenere che il diritto di sciopero sia qualcosa di assoluto e che eventuali limitazioni poste dall’esecutivo siano una forma di autoritarismo anticostituzionale.

Poi c’è quell’accenno al “corporativismo” dato che qualsiasi organismo sociale chiuso in se stesso e poco sensibile ad altre esigenze che non siano le proprie si comporta certamente in modo corporativo, come una parte circoscritta che non guada oltre se stessa. Qui si può aggiungere un concetto espresso da Giovanni Paolo II nell’enciclica Laborem exercens dedicata al lavoro. Egli proponeva di fondare la “solidarietà del mondo del lavoro” (n. 8) non su cosa fanno i lavoratori nei loro specifici settori (aspetto oggettivo o tecnico del lavoro) ma sul fatto che tutti i lavoratori sono persone (aspetto soggettivo).

La solidarietà del mondo del lavoro dipende dalla dignità della persona che lavora. Questa solidarietà richiede che si rifletta a fondo prima di danneggiare con il proprio sciopero un altro lavoratore, dato che in questo caso non si tratterebbe di un semplice impedimento alla sua attività produttiva ma di una lesione alla sua persona.

Esaminando le motivazioni dello sciopero generale e le richieste avanzate perché sia modificata la legge finanziaria, si nota una grande assente: la famiglia. Nel Compendio invece si legge che «è necessario che le imprese, le organizzazioni professionali, i sindacati e lo Stato si rendano promotori di politiche del lavoro che non penalizzino, ma favoriscano il nucleo familiare dal punto di vista occupazionale. La vita di famiglia e il lavoro, infatti, si condizionano reciprocamente in vario modo» (n. 294).

Questo è quindi un compito anche dei sindacati, ma nessuna rivendicazione degli scioperanti toccava questo punto, dimostrando che, in fondo, anche la loro politica sindacale era funzionale ad una visione individualistica del lavoro: si parla solo di lavoratori e mai delle loro famiglie. Non si parla mai di “salario familiare”. Anzi le sigle sindacali coinvolte, e specialmente la CGIL, sono schierate sistematicamente contro la vita e contro la famiglia e quindi nemiche del lavoro dato che «la famiglia è una comunità resa possibile dal lavoro e la prima interna scuola di lavoro per ogni uomo” (Laborem exercens 10).