Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
tragico anniversario

Cinquant’anni fa la rivoluzione socialista in Etiopia

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Due milioni di morti dal 1974 al 1991: è il bilancio del sanguinoso regime di Menghistu. Una pagina dimenticata della catastrofe economica e umana del socialismo.

Cultura 20_06_2024

Nel giugno di cinquanta anni fa al comando dell’Etiopia si insediava il Derg, “Consiglio militare provvisorio”. Era la rivoluzione, il Paese diventava una repubblica socialista. Su certe ricorrenze i media mainstream pongono grande enfasi, altre invece passano sotto silenzio: a molti fa comodo tacere delle catastrofi economiche e umane del socialismo. Eppure c’è stata un’epoca in cui due terzi del mondo erano sotto tali sistemi di governo: e pressoché tutti hanno percorso una serie di tappe canoniche che si ripropongono anche in Etiopia. A partire dall'abbattimento di un regime autoritario (solitamente non vanno a prendere il posto di una libera democrazia).

Il millenario impero allora retto da Haile Selassie, un monarca ormai ottantenne, mostrava segni di crisi strutturale e il giudizio storico su di lui è controverso. Il compianto fondatore e geloso custode della biblioteca dei Padri pavoniani, la più grande e prestigiosa d’Eritrea, fratel Ezio Tonini, diceva: «Ho incontrato diverse volte il negus. Era persona saggia, riflessiva. Diceva: “Ogni volta che nel mio Paese entra una bene dall’estero entra ricchezza”. Favoriva gli investimenti, notevoli esenzioni fiscali …».

La prima fase della rivoluzione è condotta da una coalizione di diverse forze, poi si costituisce un Comitato, il Derg appunto, un organismo pletorico di 108 uomini, fino all’emersione di una singola persona: è il maggiore Menghistu Haile Mariam. 

In capo a tre anni Menghistu si sbarazza, con modalità raccapriccianti, di tutti i nemici del popolo. È il Terrore rosso. La rivoluzione etiopica in quegli anni è trendy e Menghistu affascina molti. Ad esempio l’autorevole esponente del Pci, on. Gian Carlo Pajetta, entusiasta al suo ritorno da Addis Abeba. E lo celebra in un libro-intervista nel maggio 1978: «Ora c’è un giovane maggiore (…). Egli tiene sulla scrivania un busto di Lenin. Alle spalle, quel quadro che abbiamo visto tante volte e che raffigura Lenin che legge la Pravda (…)». La Federazione Sindacale Mondiale nel 1988 a Menghistu conferisce la medaglia d’oro (sic) per «il contributo alla lotta per la pace e la sicurezza dei popoli, per la loro indipendenza nazionale ed economica». Qualcuno lo dica ai sindacalisti, che ancora recentemente si sono scoperte fosse comuni. Il solo Terrore rosso, le esecuzioni dirette, è costato ottantamila morti (Times, 1991; Sydney Morning Herald, 1990).

Nel gennaio 1975 ha inizio la nazionalizzazione delle banche, delle assicurazioni e di gran parte del manifatturiero. È l’agognata indipendenza economica? No: piuttosto una camarilla di capi si appropria per sé (e per il proprio clan tribale), di attività economiche che poi non sa condurre. A un primo periodo di mero godimento e spoliazione dell’esistente, subentra l'impoverimento generale. La popolazione può comprare solo ciò che trova ed è soprattutto in funzione di occhiuto controllo che tutti questi paesi istituiscono la tessera annonaria.

Riforma agraria, marzo 1975: «Trasferimento di tutta la proprietà rurale nelle mani del popolo». Siccome però il marxismo ha, geneticamente, un pregiudizio negativo verso la classe contadina, a essa si impone la collettivizzazione delle terre e si esige, in un quadro di pianificazione centralizzata, di fornire il sostentamento alle aree urbane. Gli agricoltori, perciò, subirono anche in Etiopia, come nell’Urss, pesante tassazione e obbligo di consegna delle quote di derrate richiese dallo Stato; col paradosso di dover cedere i loro prodotti all’amministrazione ai prezzi imposti e poi comperare agli alti prezzi del mercato nero.

La carestia giunse puntuale non appena si profilò un’annata meteorologicamente sfavorevole, il 1982, resa più catastrofica a seguito delle misure collettiviste del Derg: paralisi degli scambi commerciali, persecuzione dei negozianti, insicurezza per mine, disboscamento, distruzione del bestiame. Ma lo stato di guerra, di bisogno, di ristrettezze e razionamento non è affatto incidentale in questi regimi, e in Etiopia si vede bene come persino la carestia fosse stata usata a fini di controllo e deportazione. 

La politica di villaggizzazione. Altre deportazioni peraltro erano già avvenute al solo scopo di costituire Aziende agricole di Stato, per «instaurare nelle zone rurali una società moderna» e «creare l’uomo nuovo socialista»: il solito vizietto, già illuminista e giacobino, di rieducare l’uomo.
Verso il mondo e i media Menghistu dapprima cercò di occultare la carestia, poi la cavalcò e la volse a suo favore per ottenere denaro. E qui c’è la non bella vicenda del megaconcerto di beneficenza Live Aid del 1985 (ricordate Sting?). È raccontata sul periodico dei Padri Missionari della Consolata (marzo 2014): «Nel 2005 D. Rieff ha scritto per il Guardian un articolo durissimo in cui spiega come il Live Aid avesse permesso un sostegno economico, che Menghistu usò per deportare circa seicentomila persone dal Nord al Sud del paese e "villaggizzarne" (cioè riunire forzatamente in villaggi) altri tre milioni. Ufficialmente le deportazioni e risistemazioni avevano avuto l’obiettivo di salvare la popolazione da quella carestia (….). In realtà, afferma Rieff, lo scopo principale del Derg era stato quello di creare un meccanismo di controllo capillare della popolazione e di contrastare i movimenti di opposizione interna».
La carestia costò, a seconda delle fonti, da 500mila (Toronto Star, 1991) a un milione (Washington Post, 1991) di vite umane.

Diversi i conflitti da sostenere: contro i Fronti di Liberazione dell’Eritrea e del Tigré e contro la Somalia per l’Ogaden (1977-78). Tutti regimi marxisti leninisti, come il governo etiopico: fratelli coltelli. Mosca e l’Avana mandarono ingenti truppe e armamenti pesanti. I cubani (solo lì 24 mila uomini) sono intervenuti in tante guerre africane: vedere volti slavi sarebbe stato diplomaticamente compromettente; i cubani invece erano meno accusabili di neocolonialismo. Ci spiegano gli amici eritrei: «Qui la parola “cubani” evoca un ricordo sinistro, i devastanti bombardamenti dell’aviazione sulla popolazione civile, Massaua rasa al suolo …».

L’epilogo. Quando vennero meno gli aiuti sovietici (fine anni ’80) il regime già in affanno arrivò al collasso. Menghistu fuggì nel maggio 1991, accolto e ospitato da Robert Mugabe, un altro bell’eroe africano. Il saldo totale della Repubblica Democratica Popolare di Etiopia fra il 1974 e il 1991 è di non meno di due milioni di morti. Convergono su questa cifra Times (1991) e Sydney Morning Herald (1990). Nessuna vicenda storica attraversata da quel Paese nella sua storia moderna può esservi paragonata.