Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
HONG KONG

Cina-Vaticano, un silenzio tutto da decifrare

Un mese fa l'annuncio di uno storico accordo tra Cina e Santa Sede sembrava imminente. Poi all'improvviso il silenzio. Tutto da capire il motivo ma gli insoddisfatti da ambo le parti erano molti.

Esteri 28_04_2018

da HONG KONG. Negli ultimi tempi c’è uno strano silenzio su vicende che fino a qualche settimana fa occupavano paginate di giornali. Come interpretare questo silenzio?

Si è ampiamente parlato della situazione fra Cina e Vaticano, dell’accordo che sarebbe già pronto e che aspetterebbe di esser ratificato, delle opposizioni dall’una e dall’altra parte. Ora tutto sembra quieto, il che potrebbe essere intepretato in due direzioni: o ci sono difficoltà che allungano i tempi della ratifica e quindi si preferisce far passare tutto sotto silenzio oppure questa è oramai imminente e quindi si preferisce calmare le acque.

Sia quello che sia, certo i nodi da scogliere non sono pochi. Innanzitutto l’atteggiamento della Cina, che non sembra dare poi molti segnali di buona volontà. Certo, come segnalava lo studioso dell’Holy Spirit Study Centre di Hong Kong Anthony Lam sul settimanale diocesano, la Cina (la Chiesa patriottica) si è astenuta di recente dal compiere ordinazioni episcopali illegali, ma dall’altro lato sono continuate le persecuzioni, si pensi all’Henan. Abbiamo notizie di funzionari governativi che pattugliano le chiese per impedire l’ingresso ai giovani. C’è un controllo non solo più stretto, ma anche più centralizzato visto che ora gli affari religiosi sono sotto il diretto controllo del partito. Tutto questo non fa ben sperare.

Ricordiamo che la religione non è una priorità per il partito, anzi viene vista più come una seccatura. Da notizie che abbiamo “da dentro” sappiamo che anche in seno al partito ci sono molti che si oppongono a questo accordo, che sembra un passo indietro dopo la creazione di una Chiesa alternativa a quella ufficiale (cioè con il Papa come supremo pastore universale). 

Inoltre non dimentichiamo che la Cina, malgrado gli sconvolgimenti storici dell’ultimo secolo, sembra non aver mai abbandonato il paradigma imperiale, per cui l’imperatore, il leader politico, ha il diritto di controllare direttamente la religione. L’imperatore era il figlio del Cielo, il mediatore fra i sudditi e le potenze celesti. Quindi per loro è normale che se una religione è attiva sul territorio cinese, essa deve sottostare direttamente alla forza politica dominante, senza ingerenze da fuori (e infatti parlano continuamente di ingerenze straniere per demonizzare questo o quell’evento).

C’è poi il rapporto con l’Altro (come lo definisce il professore della Università di Hong Kong Perry Johansson). Quell’Altro siamo noi, l’Occidente a cui si vorrebbe assomigliare per molte ragioni, scientifiche, artistiche, culturali, ma con cui si ha un rapporto schizofrenico. Rapporto che probabilmente non verrà mai risolto.

Per il Vaticano la questione non è se si debba negoziare ma su quale posizione. Se si negozia da una posizione di debolezza ogni accordo non può che essere cattivo, in quanto storicamente i cinesi rispettano chi mostra forza più di chi mostra arrendevolezza. Anche le persone più favorevoli all’accordo dicono in confidenza il timore che le concessioni fatte dal Vaticano (per quello che era conosciuto) erano troppe. E poi c’è il nodo di Taiwan, che probabilmente, almeno da parte cinese, è l’obiettivo vero di tutto questo negoziato.