Cina, la Chiesa fedele al Partito si oppone all'accordo
Il Partito Comunista Cinese reagisce male alla nomina di Giuseppe Han Zhihai a vescovo della diocesi di Lanzhou, come parte dell'accordo fra Cina e Vaticano del 22 settembre. Per i vertici locali del Partito la Chiesa di Lanzhou «deve aderire ai princìpi di indipendenza e di autonomia», cioè obbedire al Partito e non al Vaticano.
Sulla scia del riconoscimento, il 22 settembre, da parte del Vaticano, di sette vescovi validi per Roma ma ordinati illecitamente da Pechino, un nuovo terremoto scuote la Chiesa Cattolica cinese. Uno scisma, da sinistra. Ne riferisce padre Bernardo Cervellera, il massimo esperto cattolico di questioni cinesi, direttore di AsiaNews, l’agenza stampa del Pontificio Istituto Missioni Estere.
Mons. Giuseppe Han Zhihai, vescovo della diocesi di Lanzhou, nella provincia nordoccidentale del Gansu, è diventato presidente del ramo locale dell’Associazione patriottica cattolica cinese (APCC), lo scisma creato dal regime nel 1957 per separare i fedeli da Roma e controllarli, analogamente a quanto fatto per le altre religioni con il Movimento patriottico protestante cinese delle Tre Autonomie, l’Associazione buddista cinese, l’Associazione islamica cinese e l’Associazione taoista. All’APCC, la “Chiesa ufficiale”, si è dunque sempre contrapposta la “Chiesa clandestina” fedele al Papa, angariata e martirizzata, e la sua esistenza ha costituito per decenni il bandolo della matassa nei rapporti fra Cina e Vaticano. Da un lato, infatti, vi è sempre stata la volontà del Vaticano di ricomporre lo scisma senza però rinunciare alle proprie prerogative, per esempio quanto alla nomina dei vescovi, e dall’altro vi è sempre stata la volontà di non sacrificare i cattolici fedeli sull’altare di un appeasement che, come tutti gli appeasement, finisce solo per fare il gioco dei carnefici. E proprio la questione dell’APCC è tornata prepotentemente alla ribalta in occasione del riconoscimento vaticano dei sette vescovi illeciti. Oggi, infatti, la Chiesa Cattolica cinese ha un solo vescovo per ogni propria diocesi. Quindi i fedeli sono riuniti nella fedeltà a Roma anche sul pianto giuridico, benché questo non implichi automaticamente la soluzione definitiva di ogni controversia. Ma per molti tale traguardo, storico dal punto di vista pastorale (con tutto ciò che implica l’avere per la prima volta, dagli anni 1950, una Chiesa Cattolica unita in Cina), rischia di preludere a una fusione tra cattolici scismatici e cattolici fedeli a Roma che non può che essere il segno dell’acquiesce al regime. Le voci contrarie al riconoscimento dei sette vescovi si sono infatti levate alte, e ovviamente sono venute dai settori più conservatori della Chiesa, con qualcuno che ha cominciato a sentire odore di scisma. Ma lo strappo sta invece avvenendo sul fronte opposto.
Per la nomina di mons. Han Zhihai al vertice dell’APCC locale, svoltasi durante l’incontro dei rappresentanti dell’APCC a Lanzhou, il 29 e 30 settembre, Yan Daming, del dipartimento del Fronte Unito, ha infatti ribadito che la Chiesa di Lanzhou «deve aderire ai princìpi di indipendenza e di autonomia», «amare la patria e (in secondo luogo) amare la Chiesa», «accettare consapevolmente la guida del Partito comunista cinese» e «svolgere le attività religiose secondo la legge». Insomma, che la questione è tale e quale a prima, con un vescovo valido e legittimo che torna indietro, allineandosi al regime. La situazione, insomma, è ben lungi dall’essere risanata, ma la frattura non proviene da chi penserebbe di abbandonare Roma per denunciarne la presunta acquiescenza al regime, bensì da chi preferisce il regime onde sconfessare un possibile accordo futuro che favorirà soltanto Roma. Infatti, fino a sviluppi ulteriori che per ora non si vedono e quindi non ci sono, questione dei vescovi a parte (perché è un’altra questione), l’APCC è e resta una realtà scismatica. Finché esisterà un’APCC che manterrà una qualsiasi forma di autonomia rispetto a Roma, lo scisma non sarà per nulla sanato. E se mons. Han Zhihai viene eletto capo di un ramo locale dell’APCC mentre un emissario del governo sottolinea ancora e sempre l’autonomia dell’APCC da Roma, lo scisma rimane e il vescovo in questione non sta dalla parte dell’unica Chiesa Cattolica possibile ed esistente.
Questo fatto, grave, conferma quanto a metà settembre aveva puntualmente osservato sempre padre Cervellera, ovvero che l’opposizione a un eventuale accordo futuro tra Cina e Vaticano viene anzitutto dall’interno del Politburo comunista. Se da un lato vi è, favorevole all’accordo, il ministro degli Esteri, Wang Yi, all’opera per migliorare l’immagine della Cina a fronte del diffondersi di notizie sulla persecuzione religiosa brutale e sulla violazione sistematica dei diritti umani di cui è responsabile Pechino, dall’altro, contrario, vi sono il Fronte Unito (cioè uno dei partiti cinesi autorizzati, una vera foglia di fico del regime), l’Amministrazione statale per gli affari religiosi (che prima o poi verrà cancellata dalla riforma varata a febbraio dalla nuova Normativa sugli affari religiosi, causa dell’inasprirsi della persecuzione, persino contro le fedi autorizzate) e proprio la stessa APCC. Infatti, spiega Cervellera, «per essi qualunque spazio dato ai rapporti col Vaticano rappresenta una riduzione del loro potere assoluto». Che a benedire solennemente il dietrofront di mons. Han Zhihai sia proprio responsabile del Fonte Unito conferma l’analisi. E dimostra che la minaccia alla Chiesa Cattolica viene proprio da sinistra.