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CORONAVIRUS

Chiuso, aperto o x? A nudo l'irrazionalità del governo

Moltissimi provvedimenti assunti dal governo sono apparsi fuori luogo e inspiegabili su un piano puramente razionale. Il carattere astruso e contraddittorio di alcune misure adottate in questi ultimi giorni mostra come l'emergenza Coronavirus ha già messo a nudo un quadro pittoresco e incoerente, che legittima atteggiamenti di insofferenza nell’opinione pubblica.

Politica 29_02_2020

Nella faticosa rincorsa verso una normalità post-allarme Coronavirus, le istituzioni si scoprono completamente disorientate. Chi dovrebbe prendere decisioni non sa che fare. Dopo una iniziale sottovalutazione e quasi banalizzazione dei rischi, si è passati all’eccesso opposto, quello della sdrammatizzazione scomposta, con l’introduzione di precauzioni probabilmente eccessive, figlie dell’incapacità della classe dirigente di assumersi alcuna responsabilità.

La condotta dominante è stata quella della proibizione, affinchè nessuno un giorno potesse rimproverare ai decisori istituzionali di non aver fatto tutto il possibile per stroncare il contagio. In questo modo, però, si sono accesi sul nostro Paese i riflettori di tutto il mondo. Gli italiani sono passati come i nuovi untori, a causa di un’emergenza gestita male da chi li governa e da gran parte dei media, colpevoli di aver enfatizzato i messaggi e terrorizzato l’opinione pubblica.

L’ultima degenerazione dell’allarme Covid-19 potrebbe verificarsi nelle prossime ore, quando gli italiani potrebbero passare nuovamente come pressappochisti e superficiali nel percorso di ritorno alla normalità, qualora accelerassero la revoca dei provvedimenti restrittivi. Ma a prescindere da quale possa e debba essere la condotta retta per conciliare le dovute precauzioni di salute con l’esigenza di non bloccare un Paese, occorre riflettere sul carattere astruso e contraddittorio di talune misure adottate in questi ultimi sette giorni.

Non si può parlare solo di due pesi e due misure, bensì di tanti pesi e infinite misure, nel senso che moltissimi provvedimenti assunti dal governo sono apparsi fuori luogo e inspiegabili su un piano puramente razionale. Uno dei più sorprendenti ed eclatanti è il blocco delle celebrazioni liturgiche, con le chiese comunque aperte e con l’imminente riapertura del Duomo, che scatterà lunedì. Porte aperte, quindi, ai turisti che visitano, toccano e fotografano i monumenti ma divieto, anche in questo week-end, per i ministri di culto, di celebrare Sante Messe.

In ambito laico si avvicina la riapertura dei musei, anch’essi luoghi nei quali si registrano, soprattutto nei week-end, massicci flussi di visitatori, a volte assiepati all’ingresso, praticamente incollati l’uno all’altro, nell’attesa di accedere alle sale espositive. Se ne deduce che allora non ci sono più rischi di contagio, se viene concessa la possibilità di un afflusso generalizzato ai luoghi d’arte e cultura.

Pubbliche amministrazioni nel caos: alcune chiuse, altre aperte. Comuni, catasto, Inps, Inail, Caf, Poste, Camere di commercio e altri enti pubblici sono rimasti regolarmente aperti durante questa settimana, con i relativi servizi di front office. Certo, ci sono state cautele igieniche nell’accesso a quegli spazi pubblici, ma avrebbero potuto esserci tranquillamente tra gli utenti persone infette.

Allora che senso ha continuare a tenere chiusi cinema e teatri? Se gli uffici pubblici sono già rimasti aperti e i musei stanno per riaprire, non sarebbe il caso di eliminare i divieti anche per gli altri luoghi aperti al pubblico? E che senso hanno alcune restrizioni applicate ai centri commerciali, alla luce di quanto appena scritto? Si brancola nel buio e si scherza col fuoco, cioè con la tenuta dell’economia di un Paese già segnato da centinaia di crisi aziendali e da un debito pubblico stratosferico.

Ma c’è da ridere anche quando si analizzano i divieti applicati allo sport, che pure muove interessi finanziari e commerciali enormi, legati agli sponsor e agli incassi. Domani si giocherà la partita forse più importante del campionato di serie A, cioè lo scontro al vertice Juventus-Inter. Lo Stadium di Torino, che ospiterà il big match, per disposizioni delle Autorità, resterà chiuso al pubblico. Si giocherà, quindi, a porte chiuse, senza dare la possibilità ai tifosi di due delle tifoserie più importanti e numerose d’Italia di assistere allo spettacolo di quella partita. Dovranno essere risarciti gli abbonati della Juventus e quanti avevano già acquistato un tagliando per assistere alla sfida.

Perdite secche di milioni di euro, senza contare la mortificazione per i calciatori, che indubbiamente avranno meno stimoli nel disputare un incontro del genere in un silenzio pressoché irreale anziché nel clima fragoroso e coinvolgente delle competizioni di cartello. Analogo divieto è previsto per altre partite del campionato, ad esempio Milan-Genoa, Parma-Spal, Sassuolo-Brescia e Udinese-Fiorentina. Le regioni del nord sono infatti quelle maggiormente interessate al contagio, come numero di casi. Ma allora che senso ha consentire altrove di far entrare i tifosi? Lecce-Atalanta e Lazio-Bologna Napoli-Torino e Sampdoria-Verona verranno giocate regolarmente con gli spalti pieni e pronti ad accogliere anche i tifosi ospiti. Ma i tifosi dell’Atalanta, che arriveranno in migliaia da Bergamo nel Salento e quelli del Bologna, anch’essi numerosissimi in procinto di mettersi in marcia verso la capitale, non potrebbero in linea teorica portare il virus anche in aree come Lecce e Roma, nelle quali risulta per il momento assente? Stesso ragionamento potrebbe riguardare i tifosi del Torino in trasferta a Napoli e quelli del Verona pronti a sbarcare al Marassi di Genova. Non sarebbe stato più logico, anche per la regolarità del torneo, uniformare il trattamento a prescindere dalla localizzazione delle partite?

Ce n’è abbastanza per concludere che questa emergenza coronavirus, indipendentemente da quando e come finirà, ha già messo a nudo un quadro italiano alquanto pittoresco e incoerente, che legittima atteggiamenti di insofferenza, delusione, stupore nell’opinione pubblica.