Chiese svuotate e trasformate in musei
I matrimoni civili superano quelli religiosi e il numero di non praticanti supera quello dei praticanti. La Chiesa deve tornare ad evangelizzare in Italia, ma perde tempo firmando protocollo di intesa per rilanciare il turismo in chiese ormai vuote.
Chiese svuotate e «convertite» a musei? È un dilemma con cui è difficile non confrontarsi guardando a che punto è arrivato il processo di scristianizzazione del nostro Paese che, nel 2018, ha registrato il simultaneo verificarsi di due passaggi di grande rilievo, a loro modo, epocali: per la prima volta le nozze civili hanno superato i matrimoni religiosi e le persone che non si recano mai in chiesa superano quelle che vi si recano con una certa regolarità. Un processo che, lungo la penisola, procede a ritmi diversificati.
Lo si capisce confrontando i dati tra il 2001 e il 2018, diciassette anni nei quali molto, forse troppo è cambiato. Il triste primato della laicizzazione e del calo dei frequentanti va al Piemonte (-42,2%), seguito da Molise (-42%), Veneto (-39,1%), Trentino (-35,5%) e Valle d’Aosta (-33.3%). Le flessioni meno forti avvengono invece in Lazio (-3,3%), Emilia Romagna (-13,3%) e Calabria (-18,2%). C’è però da dire che i cali del numero dei fedeli si fanno sentire soprattutto in regioni meno popolose. Si pensi all’Umbria, dove oltre 200.000 persone – uno su quattro, in pratica - non frequentano mai un luogo di culto.
Ora, è certamente vero che tutti questi dati vanno interpretati, oltre che esposti. Per esempio dicendo che la riduzione dei frequentanti i luoghi di culto è in corso da decenni, almeno dagli anni ‘60 del Novecento, anche se esaminando i dati europei si possono notare flessioni già negli anni ‘30. Allo stesso modo, va detto che non recarsi a messa – per quanto cosa grave, cattolicamente parlando -, non significa automaticamente non credere; ed è vero anche che, viceversa, andare in chiesa non offre nessuna garanzia. Non a caso il cardinale Giacomo Biffi ironizzava sui "praticanti non credenti".
Tutte le precisazioni del caso non possono però nascondere la gravità di una scristianizzazione sempre più profonda anche in un Paese come l’Italia, ritenuto da tanti ancora cattolico. Soprattutto, ad essere grave è il fatto che molti pastori sembrano assistere impassibili, quasi rassegnati a questo processo. Prova ne è – per tornare al dilemma iniziale – la notizia che ci arriva dall’Emilia Romagna, dove nelle scorse ore la Regione ha sottoscritto con la Conferenza Episcopale Emilia-Romagna un protocollo d’intesa sul turismo religioso.
Scopo dell’iniziativa, al momento un unicum in Italia, è quello di valorizzare e far conoscere a un pubblico più ampio i beni sacri, «nel pieno rispetto della tutela e delle esigenze proprie dei luoghi di culto, dell’attività pastorale, delle feste e delle tradizioni religiose». Impegno condivisibile, per carità. Viene però spontaneo chiedersi se anziché flirtare con il potere politico o avvisare pur brillanti collaborazioni, come in questo caso, la Chiesa non debba rimboccarsi le maniche e tornare ad evangelizzare.
Si pone questa domanda sulla base di una consapevolezza che a troppi, ultimamente, sembra sfuggire, e cioè che né la scristianizzazione né la secolarizzazione sono processi inevitabili né, tanto meno, rappresentano il capolinea della storia. Chi lo pensa soffre di eurocentrismo perché i dati globali dicono che il cristianesimo, in tutte le sue varie denominazioni, è stabile se non in crescita. Lo stesso cattolicesimo, da decenni a questa parte, è professato dal 20% circa della popolazione mondiale, senza grandi cali, e in Africa cresce del 2,5% l’anno, un dato non così distante da quello del cristianesimo delle origini.
Tutto questo per dire che, per quanto certamente i tempi non siano favorevoli, è un po’ troppo comodo fermarsi ad osservare i dati sulla frequenza religiosa o a sottoscrivere protocolli per rilanciare il turismo religioso. Le priorità, infatti, sono ben altre e si possono condensare in una parola breve ed enorme al tempo stesso: fede. Su questo occorre lavorare, investire e soprattutto testimoniare. Il resto è solo pigrizia o, peggio, resa alla cultura dominante.