Chiese a immigrati e poveri, tutto fuorché tornare al culto
Con il messaggio del Papa e un'intervista ad hoc di Ravasi è partito il convegno sulle chiese dismesse "Dio non abita più qui?". I generali hanno dato l’ordine del disarmo, senza nemmeno provare a cambiare strategia. Il destino è segnato: molte delle nostre chiese diventeranno musei, centri d’accoglienza, sale concertistiche, tutto purché non si tratti di pizzerie o magari di darle ad ordini religiosi o fraternità fiorenti di vocazioni, in grado di mantenerle come luoghi di culto e preghiera.
-#SALVIAMOLECHIESE: LA CAMPAGNA DELLA BUSSOLA
Ieri è iniziato alla Gregoriana il Convegno “Dio non abita più qui? Dismissione di luoghi di culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici”, che avevamo preannunciato qualche mese fa (vedi qui). Il quotidiano radical chic di Milano, il Corriere della Sera, non poteva non dedicare una paginata di intervista al Cardinal Gianfranco Ravasi, anch’egli di area milanese (più esattamente brianzolo, di Merate) e soprattutto anch’egli radical chic.
E' bene concentrarsi sulla seconda parte dell’intervista, per capire che fine faranno le nostre chiese, per risparmiare ai lettori l’iniziale fervorino sulla consapevolezza di essere, in quanto cristiani, un minoranza e sul valore squisitamente cristiano della secolarità.
Il Cardinale la prende da lontano. Interrogato da Gian Guido Vecchi sulle percentuali di battezzati in calo, Ravasi fa una finta e controfinta degna di Ronaldo e lascia lì sul posto il suo intervistatore: “Non saprei, ma non è questo il punto”. E prosegue: “Al di là di cosa potrebbe dire un censimento di chi si dice cristiano, in realtà cosa sono? Quali opzioni fanno?”. Si potrebbe anche condividere, se non che, tenetevi forte…: “Tempo fa scrissi su Twitter una frase di Gesù: ‘Ero straniero e non mi avete accolto’, non le dico le reazioni! Tanti non avevano neanche capito che citavo il Vangelo, Matteo 25, 43”. Peccato che tanti invece l’avessero capito ed era proprio per quella strumentalizzazione della frase di Gesù buttata dentro nel dibattito politico sulla questione dell’immigrazione che molti avvertirono dei moti d’ira nella propria unità psico-somatica (per non dire altro)… Fatto sta che quando Gesù dice “chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio” bisogna contestualizzare, vedere se si tratta di un logion originale di Gesù, visto che all’epoca non c’erano i registratori etc, etc. Invece il passo di Matteo 25 appartiene sicuramente alle ipsissima verba di Gesù , talmente “ipsissima” da non richiedere nemmeno più di essere comprese…
Il punto è che questo riferimento di Ravasi all’immigrazione, fa il paio con il saluto del Pontefice al Convegno: “I beni culturali sono finalizzati alle attività caritative svolte dalla comunità ecclesiale: non hanno un valore assoluto, ma in caso di necessità devono servire al maggior bene dell’essere umano e specialmente al servizio dei poveri”. Non è che ci stanno familiarizzando col fatto che tra poco vedremo chiese e strutture annesse concesse agli enti di ispirazione più o meno cristiana che monopolizzano le attività caritative a favore dell’immigrazione?
Procedamus con l’intervista. Il Cardinal Ravasi spiega che non possiamo ridurci “a dire il minimo assoluto religioso e morale”. Bene, ma allora? Allora “bisogna conservare il nucleo, il kèrygma della fede, le grandi parole ultime”, tenendo presente però che “non basta limitarsi a leggerle: devo spiegare in un linguaggio che le attualizzi”. E l’intervistatore fa la domandina giusta al momento giusto: “Un esempio oggi?”. Indovinate la risposta: “Guardi Papa Francesco. Ci sono tre elementi che usa spontaneamente. Uno è la paratassi, la frase breve. Se vuoi farti capire, poi, devi ricorrere al simbolo come fa Gesù […]: le periferie, l’odore delle pecore… Infine, in un mondo dominato dal virtuale, ritornare al corpo, alla presenza: il tema della misericordia per declinare la categoria di amore”. Se è questa la custodia del nucleo, allora cambio religione…
In verità, spiace dirlo, gli esempi riportati da Ravasi sullo stile di papa Francesco sono all’origine della dismissione della stessa fede, e non solo delle chiese. Si utilizzino almeno gli occhi per vedere che lo stile di questo pontificato ha sì invertito la tendenza, ma nel senso che da una lenta ripresa si è tornati ad un rapido tracollo. I cristiani si allontanano e i lontani non si avvicinano; i laicisti che decantano l’attuale pontificato, lo fanno solo per cavalcare gli aspetti più problematici, che stanno spaccando, anzi frantumando la chiesa. La paratassi, il “twitt”, per parlare delle verità eterne in realtà non sono un’attualizzazione, ma una svendita del Vangelo, perché ognuno ci capisce quello che vuole. Il simbolo, poi è sempre stato elemento centrale della predicazione e della liturgia, ma bisognerebbe mettersi d’accordo: da un lato si fa man bassa della liturgia, dicendo che l’uomo moderno non è più abituato al linguaggio simbolico e rituale (e quindi liturgie sempre più minimaliste e giù parole su parole), e dall’altro assistiamo ad una ripetizione pappagallesca di alcune immagini plastiche (più che veri e propri simboli) con lo scopo di creare emozioni più che fissare principi. E’ anche questione di didattica (e di buon senso): se ho degli alunni che non sanno più scrivere un periodo complesso, non potrò dire che d’ora in avanti gli elaborati dovranno essere scritti con un linguaggio paratattico, perché il risultato è semplicemente quello di accrescere l’ignoranza e la confusione che è esattamente il contrario di farsi capire.
Ravasi (in foto) non manca di tirare una frecciata all’“Opzione Benedetto”: “Chiudersi in un’oasi protetta non è cristiano, non è monastico e non è benedettino”. Posto che non c’è più sordo di chi non vuol sentire, ci domandiamo se a chiudersi nel ghetto sia la strategia indicata da Dreher, che è quella di una vita cristiana più radicale, più forte, che proprio per questo motivo cerca appoggio in altre persone che condividano questa opzione, oppure la svendita del linguaggio paratattico di Ravasi. Penso che il problema reale stia qui: Ravasi afferma, in riferimento al nucleo, che “non basta limitarsi a leggerlo”, ma occorre “spiegarlo in un linguaggio che lo attualizzi”; Dreher afferma che non basta leggerlo, ma occorre viverlo ed è questa vita che attualizza il messaggio, è questa vita radicale di gruppi, piccoli o grandi che diventa carne che sfida un mondo troppo virtuale, per usare il linguaggio del Cardinale. Il quale, tra l’altro, non nasconde nemmeno troppo di non aver capito molto del monachesimo, del quale dice che “ha salvato ed elaborato la cultura classica, gestito l’economia, costruito città”, e dimentica che questi sono stati gli effetti, nemmeno troppo voluti della scelta monastica. Il Cardinale dimostra di aver dimenticato troppo velocemente la lezione di Benedetto XVI: è solo “in base alla storia degli effetti del monachesimo” che si può dire che “i monasteri erano i luoghi in cui sopravvivevano i tesori della vecchia cultura e dove, in riferimento ad essi, veniva formata passo passo una nuova cultura”. Ma “si deve dire, con molto realismo, che non era loro intenzione di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato. La loro motivazione era molto più elementare. Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa”. Questa vita tende per sua natura ad estendersi, a comunicarsi, appunto perché uno cerca la vita, non gli effetti della vita. E’ invece la strategia di Ravasi a condurre per forza di cose ad un ghetto, per semplice esaurimento di persone e di contenuti degni di questo nome
Dulcis in fundo, eccoci arrivati alle chiese dismesse: “un tempio può essere desacralizzato ma non dissacrato: farne una pizzeria è blasfemo”, tranne se a servire è il cardinal Sepe, o se tra gli invitati c’è il Papa, ça va sans dire… “Va bene un museo, per dire, o un luogo di incontro su temi e valori anche laici”. I generali hanno dato l’ordine del disarmo, senza nemmeno provare a cambiare strategia. Il destino è segnato: molte delle nostre chiese diventeranno musei, centri d’accoglienza, sale concertistiche, tutto purché non si tratti di pizzerie o magari di darle ad ordini religiosi o fraternità fiorenti di vocazioni, in grado di mantenerle come luoghi di culto e preghiera.
Ma questi anziché l’odore delle pecore, sanno troppo di opzione Benedetto.