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EDITORIALE

Chi fomenta un clima di odio

Dopo le scene di guerriglia a Roma, c'è da chiedersi quanto il clima d'odio e l'esasperazione dello scontro cui abbiamo assistito in questi mesi nell'agone politico, abbiano contribuito a quanto sta accadendo.

Editoriali 15_12_2010

La Capitale messa a ferro e fuoco, 57 feriti tra le forze dell’ordine, una ventina tra i manifestanti (e le proporzioni danno bene l’idea chi ha picchiato chi), 41 giovani fermati, decine di vetrine di negozi distrutte, circa 300 auto danneggiate o date alle fiamme. Assalti ai blindati dei carabinieri, pali della segnaletica stradale divelti e usati come arieti, sassaiole con i sanpietrini divelti tra via del Corso e Piazza del Popolo. Roma ieri sembrava un campo di battaglia. Ho visto da vicino le carcasse delle auto bruciate, la paura della gente rimasta barricata dentro a un tram trovatosi quasi inaspattatamente in mezzo agli scontri.

Possiamo già immaginare le analisi che cercheranno di presentarci quanto accaduto come l’ennesimo frutto avvelenato di una situazione insostenibile, del disagio sociale, della sana protesta di universitari ridotti alla fame. Diranno che ormai la piazza è contro il governo e che viviamo in una Repubblica delle banane. Leggeremo, forse, più di una giustificazione per questa battaglia combattuta per le strade di Roma, nel tentativo di assediare i palazzi delle istituzioni.

Eppure non c’è dubbio, che al di là della grande maggioranza dei manifestanti pacifici, che si sono limitati a gridare con tutta la voce che avevano in corpo i loro slogan e la loro rabbia, gli episodi di guerriglia urbana siano stati perpetrati da gruppi organizzati. Organizzati per distruggere e per colpire, ancor più galvanizzati e inviperiti dopo il voto di fiducia ottenuto dal governo. Non si esce infatti di casa per manifestare contro il ministro Gelmini portandosi dietro uno striscione sostenuto da dieci palloncini per finire a lanciare i tavolini di metallo dei bar contro le auto della polizia, bombe carta sui carabinieri, e micidiali cubi di porfido sulla testa dei finanzieri.

Ma, al di là dell’evidente regia che ha voluto mettere in scena la guerriglia per le strade della Capitale, resta da chiedersi quanto un certo clima d’odio, la violenza verbale, l’esasperazione dello scontro a cui abbiamo assistito in questi mesi nell’agone politico abbiano contribuito a quanto sta accadendo. Ci saranno politici pronti a difendere questi ragazzi con i caschi neri o il passamontagna sulla testa, i quali per manifestare il loro dissenso non trovano di meglio che incendiare auto di incolpevoli cittadini o di distruggere le vetrine addobbate per il Natale di ignari commercianti.

Ci piacarebbe sentire, da quell’aula parlamentare dove anche ieri sono andate in scena gazzarre e scontri, una condanna trasversale e unanime della violenza e l’affermazione del rispetto per le istituzioni. Quel rispetto, innanzitutto, per i milioni di elettrici e di elettori che due anni fa hanno votato per rinnovare il Parlamento, hanno tutto il diritto di avere un governo che governi e non andranno mai per strada a cercare di fracassare la testa dei poliziotti.