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PAESE DEI CEDRI

Chi è il generale Aoun, presidente cattolico del Libano

Negli anni 80 fu l'ultimo eroe della resistenza del Libano cristiano all'invasione della Siria. Negli anni '90, da esule in Francia, continuò la sua lotta politica contro Damasco e Hezbollah. Ma nel 2006 si schierò al fianco del movimento sciita contro i sunniti che avevano scacciato i siriani. Ora è presidente del Libano. E non promette male.

Esteri 03_11_2016
Il generale Aoun ai tempi della guerra civile

Nell’estate del 1990 l’attenzione del mondo venne rapita dall’invasione irakena del Kuwait e il Libano sembrò solo una macchiolina sulla carta geografica, un’inezia sacrificabile. Il Libano sovrano era ridotto a una manciata di chilometri quadrati a ridosso del mare attorno a Baabda, la cittadina che faceva da nuova capitale, a una decina di chilometri a sud-est di Beirut. Nel resto del Paese occupato, si sfrecciava anarchicamente lungo le strade martoriate da 15 di guerra in una gara a chi frena per ultimo agl’incroci e, al volante di vecchie auto europee una volta di lusso, frutto di chissà quale import, i clacson strombazzavano ritmicamente per beffare la censura: po-po-pot, po-pot, “Gé-né-ral Ao-un”. Michel Aoun era l’ultimo signore del Libano libero, la speranza che non muore nemmeno di fronte alla sconfitta.

Lunedì 3 ottobre, dopo decenni, il cattolico Aoun è stato eletto presidente della repubblica libanese a 81 anni, quasi tornando da un’epoca che avevamo dimenticato. Nel frattempo però è cambiato il Libano, è cambiato il Medioriente, è cambiato il mondo ed è cambiato anche lui, Aoun. Da grande nemico dei nemici del Libano, i siriani, oggi ne è infatti il garante.

Comandante delle riorganizzate forze armate libanesi dal 1984, il 23 ottobre 1988 Aoun era stato nominato primo ministro dall’allora presidente della repubblica Amin Gemayel, appena prima che questi riparasse in Francia. Il 4 marzo 1989 lanciò la guerra di liberazione contro la Siria; questa reagì con inaudita violenza e, con il sostanziale beneplacito dei grandi del mondo, il 3 ottobre 1990 chiuse la partita. La sanguinaria politica degli Assad si prese dunque anche il Libano e il Paese dei Cedri divenne una gigantesca succursale dei servizi segreti e militari di Damasco.

Mentre combatteva il grande male siriano, Aoun dovette guardarsi però le spalle anche dai rivali cattolici delle Forze Libanesi (FL) di Samir Geagea, anch’egli anti-siriano ma perché infeudato a Israele. Le FL non erano infatti più l’organizzazione-ombrello creata nel 1976 come braccio armato del Fronte Libanese, il network a maggioranza cattolica che difese il Paese dall’aggressione con cui dal 1973 il Fronte Progressista, composto da palestinesi, sciiti, sunniti, drusi e altre organizzazioni di sinistra, cercò di spartirsi il Paese. Le FL non assomigliavano più nemmeno al Kataeb con cui l’eroe maronita Bechir Gemayel (1947-1982) aveva difeso il Paese e, una volta eletto presidente, intimato a tutti gli eserciti stranieri occupanti di andarsene pagando quel coraggio con la vita. Con il Kataeb Geagea aveva già rotto e, coltivando un prospettiva politica opposta alla sua, pugnalava Aoun alle spalle. Mentre infatti il cattolico nazionale Aoun difendeva l’idea di un Libano indipendente per tutti, il cattolico settario Geagea mirava a balcanizzarlo in piccoli cantoni confessionali.

Ma il Libano non era mai stato quello sognato da Geagea: era sempre stato quello difeso da Gemayel e da Aoun. Non era mai stato uno Stato confessionale e chiuso; era sempre stato il luogo storico dove, pur tra mille difficoltà, le fedi e i popoli di una regione del mondo inquieta e squassata trovavano modi concreti di convivere e talora anche di collaborare. Era stato così sin dai tempi remoti in cui la provincia del Monte Libano (una catena montuosa di 160 km) era vissuta semiautonoma dentro l’impero ottomano. E non perché il Libano fosse l’utopistica Shangri-la, ma perché il Libano lo avevano forgiato i monaci cristiani portatori di un modo diverso di concepire anche la vita sociale e politica.

Vinto dalla Siria, anche Aoun riparò in Francia. Da qui ha continuato a condannare le manovre sia della Siria sia degli sciiti filoiraniani di Hezbollah, altra sua grande spina nel fianco. Chiese a gran voce il ritiro siriano, per i suoi sostenitori in Libano c’erano solo dileggio e botte, ma quando nel 2005 la “rivoluzione dei cedri” (una serie di manifestazioni antisiriane con cui il popolo reagì agli ennesimi attentati politici) provocò l’inaspettato ma attesissimo ritiro di Damasco, Aoun non scese in piazza. Rientrò in patria, ma non volle stare con i traditori, anzitutto Geagea.

E venne così la svolta. Sorprese tutti, Aoun, quando nel 2006 tese la mano ad Hezbollah siglando un patto di mutua comprensione e persino schierandosi l’anno dopo al fianco dei miliziani sciiti allorché Israele scatenò l’ennesima guerra di difesa contro le loro aggressioni. Accade poi anche l’impensabile: Bechir al-Assad, figlio di quell’Hafez al-Assad (1930-2000) che era stato il suo grande nemico, riceve Aoun a Damasco con tutti gli onori. I nemici del generale-presidente (e sono tantissimi tra storici e nuovi delusi) dicono che da allora Aoun è sul libro-paga del governo siriano.

In Deux années au Levant. Souvenirs de Syrie et du Liban (1939-1940), del 1952, Gabriel Puaux (1883-1970), alto commissario francese in Siria e Libano quando i territori dell’ex impero ottomano furono ridisegnati alla fine della Prima guerra mondiale (1914-1918), riporta un antico detto siriano: «Alla creazione del mondo, l’Intelligenza disse: “Vado in Siria”. Lo spirito della Discordia aggiunse: “Vegno con te”». Una diceria molto più prosaica e recente afferma che ogni uomo politico libanese ha un prezzo. Certi fatti sembrano confermarlo costantemente, ma quello che nessuno sa è quale sia il prezzo di Aoun. Il suo ritorno sul proscenio nazionale libanese dopo uno stallo istituzionale durato ben 29 mesi si porta dietro il grave fardello di un voltafaccia clamoroso. Ma forse Aoun lo ritiene l’unico modo per rimandare sempre più in là la scomparsa si quel Libano a cui ha consacrato la vita. La Siria si è ritirata dal Paese dei Cedri nel 2005, ma dal 2005 continua a manovrare dietro le quinte. Uno dei suoi antagonisti di area è l’Arabia Saudita sunnita, sempre interessata ad arginare l’ascesa sciita. Il successo di Aoun oggi segna di fatto il rafforzamento dell’influenza sciita nella regione e il conseguente indebolimento di quella saudita. Forse Aoun pensa che tra Damasco e Riyad la prima consenta, almeno in Libano, un poco più di respiro.

Ma non è l’unico fatto. L’elezione di Aoun, che guida il blocco parlamentare libanese cristiano, avviene certo con il sostegno di Hezbollah e con la benedizione della Siria, ma pure con l’eccezionale sostegno ? incredibile, da ambo le parti ? dell’ex nemico Geagea e con quello ? sinora impensabile ? del sunnita Saad Hariri (figlio di Rafiq al-Hariri, 1944-2005, pubblicamente antisiriano, morto assassinato) che fino a poco tempo fa lo boicottava. Israele non vede certamente bene l’ascesa di Aoun, e l’amicizia tra il generale-presidente e il mondo sciita ha sempre ovviamente avuto pure una forte vena antioccidentale, in specie antiamericana (il Tribunale speciale per il Libano del 2005 accusò Hezbollah dell’omicidio Hariri padre e a propria volta Hezbollh denunciò il Tribunale come strumento d’Israele e USA; né gli USA sono oggi non tra i sostenitori del regime di Damasco).

Eppure sopra a tutto questo per la prima volta dall’assassino di Bechir Gemayel il Libano ha un presidente cattolico che gode praticamente del sostengo di tutti. E che come primo atto pubblico ha risposto, il 1° novembre, alle congratulazioni del Segretario di Stato americano John Kerry dicendosi amico degli Stati Uniti e auspicando una risoluzione politica del conflitto siriano che non potrebbe che giovare pure al Libano. Per vie tortuose, dunque, magari non tutte sempre condivisibili, il prezzo che Aoun si ritiene disposto a pagare potrebbe essere il ritorno del Libano alla propria missione storica, quello di essere un Paese non fanatico che costituisca un’alternativa praticabile ai massacri religiosi ed etnici che devastano una regione, il Medioriente, in cui tutti hanno sempre e solo voglia di disfare. Ma è solo un bel sogno.