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Che ipocrisia, la sinistra affossa le sue stesse leggi

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Dall'autonomia differenziata alla tv pubblica, passando per il dem Ermini "al soldo" di Spinelli. Lo strabismo della Sinistra che critica ciò che ha approvato. 

Editoriali 03_08_2024

È comprensibile che la propaganda elettorale punti a massimizzare il consenso, anche mettendo da parte la coerenza delle idee. I politici che cambiano casacca, ad esempio, sposano punti di vista diametralmente opposti a quelli difesi fino a poco tempo prima, pur di giustificare il loro trasformismo.

Quando però si parla di leggi fondamentali per la vita dello Stato, che devono seguire un iter ben preciso, alimentato da un partecipato dibattito parlamentare, sarebbe auspicabile che l’ipocrisia non trovasse cittadinanza, visto che i cittadini esprimono una preferenza nelle urne e votano per un partito o per un altro, per una coalizione o per un’altra, sulla base del programma che ciascun attore politico dichiara di voler portare avanti.

Suonano quindi alquanto stonate le parole pronunciate negli ultimi mesi dai più importanti esponenti della sinistra italiana a proposito di temi cruciali per il futuro del Paese, in particolare l’autonomia differenziata e il pluralismo della tv pubblica.

Quanto alla prima, ci sono alcune regioni guidate dalla sinistra che stanno promuovendo un referendum popolare per chiedere l’abrogazione della legge Calderoli, che introduce nel nostro Paese un meccanismo di decentramento amministrativo finalizzato a redistribuire alcune competenze per far funzionare meglio gli enti pubblici, responsabilizzare di più i territori e i governi locali, razionalizzare le spese, evitare sprechi e contrastare rendite parassitarie.

Qualcuno fa giustamente notare che tra le regioni che promuovono questo referendum c’è anche l’Emilia-Romagna, guidata dal dem Stefano Bonaccini, ora eletto parlamentare europeo, che fino a un anno fa aveva sostenuto convintamente il progetto autonomista, in sinergia con altre regioni del nord come Lombardia e Veneto, guidate dal centrodestra, proprio a riprova di una provvidenziale trasversalità su un tema così decisivo per le sorti dell’Italia.

Ma il particolare che in assoluto fa più a pugni con il buon senso e con la coerenza è il precedente di oltre vent’anni fa, quando fu proprio la sinistra a riformare il titolo V della Costituzione e ad approvare norme per il decentramento amministrativo, anche per compiacere la Lega, con la quale molti esponenti post-comunisti avevano all’epoca buonissimi rapporti.

Con che coraggio, dunque, alcune forze di sinistra si ergono a paladine dell’unità nazionale e della Costituzione, se poi loro stesse avevano ritenuto il decentramento amministrativo e l’autonomia compatibili con il quadro unitario nazionale, al punto da proporre una riforma in tal senso già vent’anni fa?

Considerazioni analoghe potrebbero farsi a proposito della governance della tv pubblica. Quando Matteo Renzi scalzò Enrico Letta da Palazzo Chigi, tra le sue prime mosse propose la riforma della tv pubblica e così, a fine 2015, fu emanata una legge di riforma del servizio pubblico radiotelevisivo, che aggiornava quella del 1975 e attribuiva fortissime competenze al Governo nella nomina dei vertici Rai. In altri termini, le principali figure di riferimento per la gestione della tv pubblica, l’amministratore delegato e il presidente, soprattutto il primo, diventavano emanazione di Palazzo Chigi e rispondevano pienamente all’esecutivo. Avevano maggiori margini di manovra in senso manageriale, e questo era positivo, ma erano legate mani e piedi al Presidente del consiglio, che aveva in mano il loro destino.

Renzi all’epoca era il segretario del Pd e la sinistra approvò con gioia quella riforma della Rai, della quale hanno successivamente beneficiato altri presidenti del consiglio come Giuseppe Conte e Mario Draghi. Oggi che al governo c’è il centrodestra la sinistra grida all’autoritarismo nella gestione della tv pubblica e invoca con urgenza una riforma della Rai per sganciarla dal controllo governativo. Si scorge, quindi, una profonda ipocrisia anche su questo tema. L’unico modo per evitare che la Rai continui ad essere considerata ostaggio di chi vince le elezioni sarebbe quello di fare una legge condivisa da tutte le forze politiche, eventualmente anche nella direzione di una privatizzazione della tv di Stato.

Infine, la vicenda Ermini, anch’essa indicativa di un certo strabismo della sinistra nel guardare alle vicende politiche. David Ermini nei giorni scorsi ha lasciato la direzione nazionale Pd, nella quale era stato nominato come indipendente. Alla fine, come era stato ampiamente preventivato da molti anche all’interno del suo ex partito, ha scelto la poltrona – e i soldi, tanti – di Aldo Spinelli, che gli ha offerto il posto di presidente di Spininvest, la holding del suo gruppo. Spinelli, però, è agli arresti domiciliari per corruzione poiché coinvolto nel caso Toti. Ermini ha dunque lasciato il Pd, grazie al quale era anche diventato vicepresidente del Csm. Ma come, verrebbe da dire, i dem hanno organizzato una manifestazione a Genova per denunciare la corruzione del caso Toti-Spinelli e ora un loro compagno di partito sceglie di andare a lavorare per uno degli esponenti coinvolti nell’inchiesta? Vai a capire…