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Che fine ha fatto padre Angelo Secchi?

Padre Angelo Secchi fu uno dei pionieri dell'astrofisica italiana, ma fu sempre apertamente discriminato dal laico Regno unitario dei Savoia. A quasi 150 anni dalla sua morte, ora è impossibile trovare pure la sua tomba.

Cultura 22_03_2014
Padre Secchi

Adesso che abbiamo il primo papa gesuita della storia, forse è il momento opportuno per domandarsi che ne è dei resti del suo illustre confratello, il p. Angelo Secchi. Quest’ultimo, nato a Reggio Emilia nel 1818 e morto a Roma nel 1878, non è un gesuita qualsiasi, visto che è onorato con un busto nella hall of fame del Pincio insieme con altri autorevoli personaggi che hanno illustrato la patria. In verità il p. Secchi non illustrò solo l’Italia, bensì la Scienza mondiale, in quanto è annoverato tra i fondatori dell’astrofisica. Fu il primo ad applicare all’astronomia l’analisi spettrale e a proporre la classificazione stellare.

Attento studioso del sole, nel 1858 tracciò una delle prime mappe di Marte. Fu direttore del celebre osservatorio che i gesuiti tenevano in Roma fin dal 1774 (un altro era la Specola Vaticana, del 1789; il terzo sorse nel 1827 in Campidoglio). Dopo la presa di Roma da parte dei piemontesi, l’osservatorio del gesuita Collegio Romano venne, con tutto il resto, incamerato dal nuovo Regno d’Italia. Ma le proteste internazionali furono tante e tali che i nuovi padroni di Roma dovettero confermare il p. Secchi alla direzione dell’osservatorio, essendo le sue autorevolezza e competenza scientifica ormai giudicate alla stregua di «patrimonio dell’umanità». Così, il governo unitario liberal-massonico si ritrovò in possesso di uno dei più importanti osservatori astronomici del mondo, ma con alla testa nientemeno che un gesuita, esponente, cioè, dell’ordine religioso più detestato da protestanti, anglicani, libertari e progressisti, un ordine che aveva cominciato a essere perseguitato per il suo indefesso «papismo» già al tempo degli assolutismi monarchici.

Il p. Secchi stesso aveva conosciuto l’esilio al tempo della mazziniana Repubblica Romana, quando dovette riparare prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Rientrato a Roma, il suo sogno era di portare a compimento quel che un altro gesuita-scienziato, il p. Ruggero Boscovich (1711-1787), aveva iniziato. Lo realizzò lui, con l’aiuto di Pio IX. Nel 1863 cominciò a studiare gli spettri stellari (attività di cui fu pioniere) e a classificare le stelle in base allo spettro. Nel 1867 costruì uno strumento per la registrazione giornaliera dei dati meteo: esposto all’Expo Universale di Parigi, gli fruttò il Grand Prix, la Legion d’Onore (conferitagli da Napoleone III) e l’Ordine della Rosa (da parte di Pedro II, imperatore del Brasile). Forse nessun altro scienziato al mondo poteva vantare un tale cumulo di riconoscimenti.

Ma poi venne Porta Pia e lui, ironicamente, così ne annotò il giorno nel suo diario meterologico: «Bello. Cannonate al mattino, furfanterie fino a sera. Nord e Sud Ovest leggero. Cresce poco il barometro». Quando un’eclisse totale di sole visibile dalla Sicilia costrinse il nuovo governo a inviare una spedizione di scienziati, questi fecero capire chiaro e tondo che senza il p. Secchi era inutile andare. Da questa impresa nacque nel 1871 la Società degli spettroscopisti italiani, la prima dedicata espressamente all’astrofisica e madre dell’attuale Società astronomica italiana. Ma l’ideologia al potere continuava a ritenere quel gesuita alla stregua di un pugno nell’occhio. Nel 1872 alla Conferenza internazionale di Parigi per la definizione del «metro campione» si sfiorò l’incidente diplomatico perché la delegazione italiana non tollerava la presenza del p. Secchi. Ma fu subissata di fischi e pernacchie, perché sarebbe stato come indire, oggi, un convegno mondiale sul ciclotrone e lasciare a casa Carlo Rubbia.

La fama universale di p. Secchi era tale che, quando il governo italiano nel 1876 dovette istituire un Ufficio nazionale per la meteorologia, fu giocoforza darne la presidenza a lui. Tuttavia, proprio la fastidiosa presenza di quel gesuita condannò l’Italia a un ritardo di cinquant’anni sugli studi di astrofisica, ritardo deprecato in molte pubblicazioni sul tema. Quando fu istituita la cattedra di astrofisica all’università romana La Sapienza era del tutto ovvio darla a lui, ma era un gesuita e dunque nisba. Quel che gli fu negato dallo Stato italiano, però, gli fu tributato dal resto del mondo. Oggi portano il suo nome la cometa che scoprì, un asteroide, un cratere di Marte e uno della Luna; sul nostro satellite gli sono intitolati anche una montagna e una lunga fenditura. Il p. Angelo Secchi morì cinquantanovenne dopo una lunga malattia e fu sepolto nel cimitero monumentale del Verano. Fino ai primi anni Sessanta del Novecento era possibile vederne il sepolcro. Poi, chissà per ordine di chi, questo venne demolito e le spoglie del p. Secchi finirono in un ossario comune. Il p. Atzeni e il dott. Lay (miei lettori a cui devo l’informazione) mi dicono che il suo nome compare, sì, nel registro del cimitero ma dalle targhe dei loculi è addirittura sparito. Non sarebbe male se almeno i suoi confratelli gesuiti si attivassero perché questa loro gloria, che è pure nazionale, fosse riammessa all’onore che le spetta