Chavez come Briatore: spot a pagamento sul Corriere
Flavio Briatore ha dovuto comprare pagine sui quotidiani per smentire di aver intestato alla sua cuoca conti in Svizzera. Sul Corriere della Sera, il governo del Venezuela acquista lo spazio per ricordare il secondo anniversario della morte di Hugo Chavez, “gigante” che «liberò il popolo dalla schiavitù capitalista».
Che hanno in comune Flavio Briatore, intramontabile mentore della Destra Smeralda e Hugo Chavez, ex dittatore del Venezuela e primo esportatore della rivoluzione castrista nei paradisi latinoamericani? Nulla, se non una mezza pagina del Corriere della Sera, comprata in contanti per difendere la loro reputazione e buona memoria. Mister Flavio l’ha acquistata anche sugli altri giornali per smentire l’esistenza di conti correnti milionari intestati alla sua cuoca di fiducia, il governo venezuelano per ricordare agli italiani che il 5 marzo cade l secondo anniversario della morte del «Gigante che risvegliò il popolo del Venezuela e di tutta l’America Latina: Hugo Chavez Frias, leader della Rivoluzione bolivariana del Venezuela». La pubblicità, si diceva una volta, è l’anima del commercio, ma oggi che l’informazione pare sempre più un commercio senz’anima, i confini non sono più tanto certi.
Prendete Briatore: ha dovuto pagare mezza stampa italiana per dare la sua versione sulla Lista Falciani, (quella dei nomi degli italiani con i conti in Svizzera), e smentire un articolo pubblicato dall’Espresso con il titolo «Briatore e la cuoca ricca a sua insaputa: le intestò 39 milioni». Nell’inserzione c’è la lettera originale ricevuta dalla banca Hsbc che prova come la cuoca non ha mai avuto un conto personale presso la banca. Evidentemente, prima di comprare le paginate, Briatore avrà chiesto ai giornali di dare la notizia della smentita svizzera e, non avendo ottenuto nulla, è passato direttamente alla cassa. «Nessun conto milionario intestato alla mia cuoca. C’è la volontà ben precisa di colpirmi», ha dichiarato al Giornale, il solo che lo ha intervistato, «bisogna pagare per far valere la verità, perché l’Italia è diventata un Paese di odiatori».
L’odiato Briatore non è però il primo a scoprire la potenza dell’avviso a pagamento contro la stampa sorda e grigia. Periodicamente, associazioni, club, enti non governativi o singoli capitani coraggiosi affittano spazi a caro prezzo per rovesciare la loro indignazione. Tutti ricordano quando, alla fine del 2011, Diego della Valle comprò un’intera pagina sui principali quotidiani per sferrare un durissimo attacco contro la classe politica. «Politici ora basta», aveva scritto lo scarparo più famoso d’Italia. «Lo spettacolo indecente che molti di voi stanno dando non è più tollerabile da gran parte degli italiani e questo riguarda la buona parte degli appartenenti a tutti gli schieramenti politici». Un gong suonato al governo, quello di Berlusconi, che l’allora ministro della Difesa, il diabolico Ignazio La Russa, rimandò al mittente così: «Della Valle ha bisogno di pagare un’inserzione perché quando parla senza pagare non lo ascolta nessuno».
Dev’essere andata così anche con l’inserzione su Chavez. Un “necrologio” gigantesco e a colori che fa del 5 marzo un giorno simbolo, qualcosa che dovrebbe essere celebrato in tutto il mondo. “Chavez, eterna presenza per i popoli” strepita il titolo e il testo non è da meno. Leggiamo: «La nostra lotta oggi, la battaglia storica della Rivoluzione e del popolo è mettere fine a ogni forma di moderna di schiavitù, un’oscura e sottile schiavitù che non viene esercitata con la frusta, la spada o il grilletto, ma attraverso le catene invisibili dei meccanismi brutali e perversi dell’alienazione capitalista…». Beh, una cosa così nessuno l’avrebbe mai pubblicata gratis e allora si capisce perché gli eredi del caudillo di Barinas siano ricorsi alla reclame a pagamento. Proprio sul Corriere della Sera, che non è esattamente un foglio antagonista, semmai quanto di meglio la società capitalista può vantare nel campo dell’informazione. E allora perché la bizzarra scelta? Beh, il pubblico del giornalone di via Solferino è molto più esteso dei soliti quattro gatti di qualsiasi giornaletto rosso. E poi non è da escludere la beffa mediatica: l’idea di celebrare le glorie della dittatura chavista sull’house organ della buona borghesia dev’essere sembrata irresistibile.
La rivoluzione, diceva Mao, non è un pranzo di gala, ma (aggiungiamo noi) ha sempre bisogno di qualche cameriere in cerca di mance. Che a portare trippa agli editori siano gli hamburger di McDonald’s, i lussuosi abiti di Dolce & Gabbana oppure la rèvolucion del compañero Hugo non fa differenza: alla fine quel che conta è il dinero. Con le inserzioni modulari a pagamento si può ottenere tutto: anche gli spot di Servizio Pubblico di Santoro sul Giornale di Berlusconi o dell’ultimo libro di Mario Giordano sul Fatto Quotidiano. Alla fine il banco piglia tutto e gli affari sono affari anche quando l’ufficiale pagatore è quello della famiglia di Caracas.
Mimetica verde oliva, mitra e basco d’ordinanza, Hugo Rafael Chavez Frìas è sempre stato un cultore della propria personalità, smargiassa, picaresca, seriosa, a seconda delle sue convenienze. Niente a che vedere con il suo scialbo erede, quel Maduro già sopranominato il baffo triste del Sudamerica. Chavez stato capace di in un’impresa che dai tempi di Ernesto “Che” Guevara non riusciva ad alcun leader socialista: s’è trasformato in un’icona del mai sopito terzomondismo (di sinistra, ma anche di un bel po’ di destra), che da troppo tempo s'era ridotto alla fotografia un po’ logora e unta del guerrigliero argentino. E fa niente se oggi, per tenere botta, anche al caro estinto tocca pagare dazio e fare marchette solo negli spazi della pubblicità. Defunto Chavez, a credere nella rivoluzione bolivariana è rimasto solo Diego Armando Maradona. Ma neppure lui, ultimamente, si sente tanto bene.