Chagall, nelle radici ebraiche il suo segreto
Milano ospita la quarta mostra in Italia su Chagall negli ultimi 15 anni, a conferma del fascino di un artista da comprendere in profondità. Disegni originali, acqueforti e stampe ci svelano il suo mondo interiore, segnato da risonanze della sua terra nativa e del mondo religioso ebraico.
Nato nel 1887 nel piccolo villaggio di Vitebsk, appartenente all’allora Impero Russo (oggi in Bielorussia), Marc Chagall ha vissuto i suoi primi anni e la sua giovinezze in un ambiente chiuso di cultura ebraica, in cui si parlava lo yiddish, una lingua giudeo-tedesca scritta con caratteri ebraici, che ha consentito al pittore e alla sua comunità di preservare la propria identità originale. Qui ha incontrato l’adorata moglie Bella, che abbiamo imparato ad ammirare nei fantastici quadri in cui i due innamorati “volano” letteralmente grazie al loro amore. Bella era un’attrice yiddish e ha tradotto in francese l’autobiografia di Chagall La mia vita, in cui traspare tutto l’affetto e la nostalgia per la loro madrepatria. I due sposi infatti l’abbandoneranno nel 1922 per trasferirsi prima a Berlino e poi in Francia. Solo qui, in un nuovo paese libero e ricco di aperture culturali, l’artista russo adotterà quel ricco cromatismo meraviglioso e fantastico che caratterizzerà quadri e stampe nella sua nuova patria. Ma il ricordo di Vitebsk rimarrà incancellabile nel suo cuore, fonte inesauribile di immagini ricorrenti e temi centrali nelle sue opere. Insomma, “una storia di due mondi”, titolo della mostra milanese.
Grazie alle opere provenienti dall’Israel Museum di Gerusalemme, fino al 31 luglio al MUDEC di Milano, l’immaginifico pittore viene presentato in una prospettiva inedita. L’accurato percorso espositivo ci aiuta a capire com’era la vita nei piccoli insediamenti ebraici dell’Europa orientale. Chiamati in yiddish shtetl, erano molto diffusi tra Settecento e fine Ottocento, quando agli ebrei era vietato sia stabilirsi nelle grandi città che acquistare e coltivare la terra. La Rivoluzione d’Ottobre del 1917 abolì poi definitivamente la Zona di residenza ebraica. Scomparve così un mondo semplice ma vivace, che sapeva affrontare le difficoltà della vita nel tempo ritmato dalle festività israelite, ben illustrate nei disegni di Chagall per il libro Come fiamma che brucia, che Bella scrisse per ricordare la sua infanzia. I tratti incisivi ed essenziali di inchiostro di china e gouache ci mostrano le candele dello Shabbat o i riti dello Yom Kippur (Il giorno dell’espiazione), che illuminavano i giorni di festa del villaggio. Per meglio penetrare quell’universo culturale e religioso così profondo sono esposti anche preziosi oggetti liturgici e libri di preghiere dell’Europa orientale del XIX secolo.
Più leggere, perché frutto del tipico umorismo ebraico, così presente nelle opere del nostro nostalgico artista, sono le stampe che illustrano l’autobiografia di Chagall, La mia vita. La più originale è Casa a Peskovati, sua dimora natale, povera e quasi in rovina, rappresentata in diagonale, quasi fosse sospesa. Ma la più divertente è sicuramente La casa del nonno, con il vecchietto (scomparso improvvisamente e poi ritrovato) seduto tranquillo sul comignolo dell’abitazione a prendere il sole, mentre mangia un piatto tradizionale; la moglie, preoccupata, davanti alla porta, lo sgrida protestando vigorosamente, a braccia levate. È uno spaccato familiare guardato con tenerezza affettuosa e sorridente, che emerge anche nella stampa Il negozio, che raffigura la bottega della famiglia di Bella, affollata e affascinante, con tutti i suoi gioielli, orologi e oggetti preziosi.
La personalità di Chagall si esprime magnificamente nell’Autoritratto, a corredo sempre della sua autobiografia. Manipolando forme e proporzioni, si ritrae in mezzo ai membri più vicini e più cari della sua famiglia: la sua testa si eleva sopra le due piccole figure del padre e della madre, accanto ai quali appare il bel volto di Bella che tiene in braccio la loro piccola figlia Ida. Sulla testa riccioluta del pittore, come cappello, troneggia la casa di Vitebsk. Insomma, una sintesi perfetta del suo mondo interiore, con un passato che resta vivo dovunque egli vada a vivere. Anche se per lui lasciare la città natale per trasferirsi a San Pietroburgo, Berlino e Parigi, per incontrare i nuovi movimenti artistici d’avanguardia, non è stata un’esperienza facile. Pur facendo suoi alcuni aspetti di quei movimenti, Chagall ha lottato per preservare l’unicità del proprio linguaggio artistico. Così nell’opera Al cavalletto si raffigura a “testa ritorta”, indicando in tal modo la confusione e il disorientamento da lui affrontati, cambiando prospettiva e forse anche sorridendo di se stesso.
La chiave ironica di Chagall emerge con allegria nelle sue figure fluttuanti, in particolare nella celebre Passeggiata. L’immagine degli innamorati, in cui sembra che Bella voglia sollevare in cielo il sorridente compagno, rappresenta sicuramente l’esaltazione del loro amore; ma ricordando un’ espressione in yiddish -“luftyidn”- che significa “ebrei d’aria”, potrebbe invece alludere al divieto per questo popolo, sotto l’Impero zarista, di acquistare la terra, per cui in qualche modo erano costretti a “vivere d’aria” (erano per lo più venditori ambulanti). In ogni caso le “figure d’aria”, disegnate da Chagall con divertita ironia, sono innanzitutto un inno agli spiriti liberi. Tratti divertiti ed eccentrici sono evidenti anche nelle illustrazioni per le Favole di La Fontaine. Chagall non si è limitato a corredare con disegni la storie dello scrittore francese: ha voluto catturarne lo spirito e la profondità emotiva, usando il colore e la forma per evocare il loro umorismo e la loro semplice verità. Lo stesso editore Ambroise Vollard gli commissionò anche le illustrazioni per il romanzo “comico” per eccellenza di Gogol, Le anime morte. È il tripudio dell’assurdo del geniale protagonista Chichikov, che decide di comperare le identità di persone decedute per sfruttare il sistema burocratico russo al fine di arricchirsi: una satira paradossale del mondo rurale descritto da Gogol, che il pittore enfatizza con dettagli caricaturali delle figure e degli ambienti.
La mostra milanese si conclude con l’esplosione di colori, forme e simboli tipici del maestro russo: angeli, case, capre, galli, violini e fiori, che incorniciano anche le due figure degli innamorati. Chagall ci trasmette così le sue emozioni più intime, come la nostalgia per la patria e l’amore sconfinato per la donna della sua vita. I colori che dominano l’ultima tela sono il blu, il rosso e il bianco, quelli della bandiera francese, Paese in cui si era trasferito e che amava. Perché la sua viva memoria gli faceva affermare con sicurezza: “La terra, fondamenta della mia arte, che ha nutrito le mie radici artistiche è Vitebsk, ma la mia arte aveva bisogno di Parigi, come un albero ha bisogno dell’acqua”. Chagall dunque non tradito le sue origini ma ha saputo anche aprirsi a nuovi mondi.