Cercasi colpo di scena per formare un governo
Dopo il primo giro di consultazioni, il Presidente della Repubblica è stato molto esplicito: al momento non s’intravvede alcuno spiraglio di accordo per formare un governo. La Lega, per ora, ha mancato il patto con il M5S ed è rientrata nel centrodestra. Ma non è da escludere che sia solo tattica. Nessuno crede in un governo lungo.
Dopo il primo giro di consultazioni, che ha certificato lo stallo completo nelle trattative per la formazione del nuovo governo, il Presidente della Repubblica è stato molto esplicito: al momento non s’intravvede alcuno spiraglio di accordo. I partiti, come era prevedibile, sono arroccati sulle loro posizioni iniziali, perché almeno in prima battuta devono dimostrare ai rispettivi elettori di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale e di non accettare subito compromessi.
Ma i compromessi ci vorranno, altrimenti il ricorso anticipato alle urne già prima dell’estate sarebbe l’approdo inevitabile. Cosa demonizzata dai più, perché con l’attuale sistema elettorale nessuna forza politica, anche quelle col vento in poppa, riuscirebbe ad ottenere la maggioranza assoluta per governare da sola.
Quindi, volenti o nolenti, i principali attori sulla scena dovranno rinunciare a qualcosa e rimangiarsi in parte o del tutto i proclami bellicosi delle ultime ore. Paradosso vuole che gli sconfitti siano i più contesi e ambiti. Con un Partito Democratico lacerato dalle guerre fratricide tra renziani e antirenziani, sia Forza Italia che Movimento Cinque Stelle si dichiarano interessati a fare un governo. I dem, però, pur consapevoli della loro debolezza, rifiutano ogni invito al dialogo e perseverano nella linea della indisponibilità ad appoggiare esecutivi a guida Di Maio o Salvini.
L’ultimissima novità è il ricompattamento, almeno apparente, dell’intero centrodestra, che ha annunciato di volersi presentare unito e con un’unica delegazione alle prossime consultazioni al Quirinale. La conseguente irritazione pentastellata ("Salvini scelga tra Berlusconi e il cambiamento") certifica formalmente l’allontanamento tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini; in realtà potrebbe trattarsi di una manovra tattica dei due per negoziare meglio, al riparo dai riflettori mediatici, programmi e composizione del nuovo governo. Si vocifera di una terza personalità, politica e non tecnica, in grado di mettere d’accordo i due vincitori su un esecutivo che disinneschi la minaccia delle clausole europee di salvaguardia, rassicuri i mercati e l’Europa e modifichi le regole del voto, in vista di elezioni anticipate già l’anno prossimo. In questo schema, Salvini e Di Maio potrebbero essere i due vicepremier oppure avere ministeri di primo piano o rimanere fuori dal governo per giocarsi le proprie carte nella prossima battaglia elettorale.
Ma le insidie, in questa ipotesi, non mancherebbero. Anzitutto c’è il vincolo dei due mandati per i parlamentari grillini. A prescindere da quanto durerà la legislatura, senatori e deputati del Movimento Cinque Stelle già riconfermati il 4 marzo non potranno presentarsi una terza volta agli elettori, quindi lo stesso Di Maio, a meno di cambiamenti di statuto al momento improbabili, può diventare premier solo in questa legislatura perché nella prossima non sarebbe più candidabile. Salvini, invece, avrebbe la possibilità di aspettare un turno, limitandosi a scalare il centrodestra in questa legislatura di transizione, per poi proporsi come leader incontrastato del suo schieramento o addirittura segretario di un ipotetico Partito unico del centrodestra e quindi candidato premier alle prossime elezioni politiche, presumibilmente con un nuovo sistema elettorale basato su un premio di maggioranza come garanzia di stabilità e governabilità.
Ma c’è anche chi scommette su soluzioni ibride per uscire dall’impasse attuale. Sono in pochi a prevedere un esecutivo politico che duri cinque anni. L’alternativa sembra essere tra un governo ufficialmente di legislatura ma sotto sotto concepito per durare un anno, al massimo due, e un governo dichiaratamente di scopo, per gestire le emergenze e riportare il Paese al voto. Per questa seconda eventualità potrebbero crearsi le solite pattuglie di “responsabili” pronti a mettersi a disposizione. Nelle file di Forza Italia c’è malumore tra chi, come Paolo Romani e Renato Brunetta, ex capigruppo al Senato e alla Camera, sperava nel dialogo col Pd per non farsi inghiottire dalla voracità del Carroccio. Quanti potrebbero essere i parlamentari forzisti restii all’abbraccio con Salvini e desiderosi di mantenere una certa autonomia dalla Lega? Se si unissero a blocchi di Pd de-renzizzati e appoggiassero un governo a guida Di Maio? Nessuno griderebbe allo scandalo, per la semplice ragione che il candidato premier pentastellato ha posto un veto su Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, ma non su tutti i parlamentari forzisti e dem, soprattutto su quelli che dovessero mostrare pentimento e decidessero di staccarsi dai rispettivi eserciti. Dopo tutto, anche nella legislatura scorsa alfaniani e centristi si sono scissi da Forza Italia per continuare ad appoggiare governi guidati da esponenti Pd. In questo caso, cambierebbe solo il conduttore della nave governativa.
I transfughi o responsabili potrebbero anche provenire dal Pd, prendere le distanze da Matteo Renzi e consentire, con l’appoggio del Gruppo Misto, la formazione di un governo di centrodestra, ricambiando il favore fatto da berlusconiani ed ex berlusconiani al Pd negli ultimi governi. Anche in questa ipotesi Renzi salverebbe la faccia e ufficialmente manterrebbe l’equidistanza da Lega e Cinque Stelle.
Ma, come al solito, sarà la saggezza del Quirinale, unita alla auspicabile flessibilità dei principali partiti, ad evitare che il Paese si avviti su se stesso e perda mesi preziosi in sterili giochi di potere sulle spalle degli italiani. Forse ci vuole un salutare colpo di scena in grado di rompere gli schemi, visto che nessun partito o schieramento può dirsi autosufficiente.