C'era una volta l'Italia, prima che fosse unita
Angela Pellicciari racconta come e perché, archiviata la Roma cristiana, la penisola divenne una colonia asservita agli interessi delle logge. E tutto questo a seguito di un controverso processo di unificazione che va sotto l'altisonante titolo di Risorgimento.

Unità d’Italia. Siamo riusciti ad appoggiare (ma chi e quanti lo hanno fatto?) un’unificazione dettata dagli interessi delle logge e dei loro Paesi di riferimento. In nome del nazionalismo stiamo così stati trasformati in una colonia e la nostra popolazione è stata costretta ad un’emigrazione di massa. Un libro racconta come è successo: Angela Pellicciari, Risorgimento. Una guerra alla Chiesa in nome dell’Italia? (Cantagalli, pp. 288, €. 22).
Già nel 1849, in visita in Italia, Ernest Renan (autore di una Vita di Gesù depurata dei miracoli) scriveva: «Ho visto Roma, la Roma santa, e l’ho vista la vigilia del giorno nel quale dovrà sparire. Poiché la Roma cristiana non sarà presto più, a sua volta, che un ricordo. Essa ha consumato i suoi due destini: non è più che rovina sopra rovina. (…) i suoi giorni sono contati […], le sue trecento chiese, i suoi monasteri non hanno altro avvenire che quello di diventare caserme, prigioni o manifatture».
A cose fatte, lo storico protestante Augusto Comba in Valdesi e Massoneria aggiungeva: «Va detto che dopo aver contribuito con la partecipazione attiva dei suoi uomini, primo fra tutti Garibaldi, al Risorgimento come realtà, dagli anni 1880 in poi la massoneria contribuì a costruirne il mito, quel mito che è simboleggiato dal tricolore. E ciò non solo con i discorsi di Crispi, le poesie di Carducci e Pascoli, i racconti di De Amicis, le statue di Ettore Ferrari, ma anche localmente la toponomastica, la museografia, la monetazione ecc., insomma i minuti accorgimenti che quel mito hanno stampato durevolmente nella mente degli italiani».
Tanto per dirne una: c’è un luogo in Italia che non abbia una statua, un monumento, una targa, una via, una piazza intitolati a Garibaldi? La risposta è: no. Furono i grandi letterati siciliani a conservare un diverso ricordo: Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo e De Roberto ne I viceré, nelle pieghe delle loro storie raccontarono le concrete dinamiche che caratterizzarono la liberazione dell’Italia dal suo passato. Per non parlare di Pirandello che descrisse in termini drammatici l’impresa dei Mille nella novella L’altro figlio portata sulla scena dai fratelli Taviani nel film Caos. Toccò al Papa che più a lungo regnò dopo san Pietro portare questa croce. Pio IX, che volle inaugurare il suo pontificato con un gesto di carità (rivelatosi subito un’ingenuità enorme): appena eletto proclamò un’amnistia che estese ai reati politici. Carbonari e massoni poterono uscire dal carcere con una semplice dichiarazione che li impegnava ad interrompere la loro cospirazione contro lo stato. Un vero e proprio suicidio dal punto di vista del potere temporale. Infatti nel 1848, appena due anni dopo l’amnistia, a Roma scoppiava una rivoluzione, il Papa era costretto a scappare, Mazzini ne prendeva il posto.
Infine, a tempo debito, l’annessione di Roma all’Italia coronò il sogno secolare di quanti vi avevano “lavorato” nel tempo, soprattutto da quando, sulla fine del Settecento, il gesuita Saverio Bettinelli (che non mancò di incontrare Voltaire a Ginevra) aveva coniato il termine “Risorgimento”. Pensierino malpensante: forse che i gesuiti si sono voluti, da allora, vendicare di quella Chiesa che, su pressione dei troni “illuminati”, li abolì lasciandoli in preda dei lupi?
La traslazione di Pio IX, perseguitato anche da morto
Dopo averlo osteggiato da vivo, i massoni impressero anche su una medaglia l'"immortale odium" verso Papa Mastai per premiare i facinorosi che tentarono di gettarne la salma nel Tevere. Era il primo atto di una damnatio memoriae che ancora colpisce il Pontefice dell'Immacolata.
Un western che apre gli occhi sul Risorgimento
Il mio corpo vi seppellirà, di Giovanni La Pàrola, parla di quattro brigantesse meridionali, diventate tali per disperazione. Il film è un western alla Tarantino ambientato nel 1860 che non fa sconti: mostra le efferatezze commesse dai sudisti, dai Piemontesi e dai latifondisti. Poi la storia (ancora da scrivere) delle tre donne su quel che i «fratelli d’Italia» hanno fatto alle «sorelle meridionali».
Il libro sul Risorgimento che non troviamo sui libri
Stragi, una vera e propria guerra di religione, il decollo della mafia e della camorra usate come quinta colonna da parte dei conquistatori, soldati venduti e emigrazioni. Il Risorgimento da riscrivere nel fu Regno delle Due Sicilie nel libro di Fasanella e Grippo.
Il risorgimento secondo Biffi: lo Stato ignorò la nazione
Con l'unità d'Italia iniziò a circolare l’idea che non è Dio, ma l’uomo, a fare le leggi del mondo e il sacro subì un’eclissi. L'errore, per il cardinale Giacomo Biffi, non fu la fine del potere temporale della Chiesa ma che l'eredità cattolica, vero collante della nazione italiana, non solo non fu considerata dai responsabili del nuovo Stato ma fu avversata.