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MEDIO ORIENTE

C'era una volta il Libano, rifugio dei cristiani disintegrato

La morte di Jocelyne Khoueiry, combattente cristiana del Libano, e poi l'esplosione a Beirut, riportano l'attenzione del mondo sul Paese dei Cedri. Fino al 1975 era una Svizzera mediorientale e rifugio dei cristiani nella regione. Questa è la storia di come venne distrutto

Cultura 10_08_2020
Beirut, nel 1982

Conobbi Jocelyne Khoueiry (pasionaria cristiana del Libano, morta pochi giorni fa)  a cena, una tavolata nei dintorni di un lontano Meeting di Rimini. Parlava francese e lamentava la sorte del suo Paese praticamente occupato dalla Siria.

Mi colpì il fatto che, per descrivere i rozzi siriani a paragone dei raffinati libanesi, usava praticamente le stesse barzellette messe in giro dai nostri lottacontinui ai danni dei carabinieri: vanno sempre in due perché uno sa leggere e l’altro scrivere, la scritta sull’auto che serve a far loro sapere da quale parte devono entrare, eccetera. Ma per le nuove generazioni è bene fare un po’ di storia.

Il termine «libanizzazione» fu usato al tempo della guerra civil-religiosa in Libano: durò una quindicina d’anni a partire dal 1975 e fece oltre centomila morti. Indicava un’ospitalità pericolosa, da nido del cuculo. Il Libano era un tempo definito la Svizzera del Medioriente, terra di casinò e di bancarottieri in fuga, un’oasi di benessere e di dolce vita in un deserto di sottosviluppo. Diciassette diverse comunità religiose convivevano tranquillamente sotto la bandiera col cedro fino al giorno in cui il Paese offrì asilo a seicentomila profughi palestinesi. I quali non tardarono a venire egemonizzati dall’Olp di Arafat, che trasformò il campo profughi di Tall-Zaatar in una fortezza armata fino ai denti (dove, tra l’altro, si addestravano anche appartenenti alle Brigate Rosse). In breve, quei palestinesi costituirono uno stato nello stato, soggetto a leggi proprie e obbediente a strategie eterodirette. Si pensi che a un certo punto l’Olp potè contare su una cassa finanziaria che era il triplo dell’intero bilancio dello Stato libanese.

La domenica 13 aprile 1975 fu dato fuoco alle polveri: a Beirut si svolse una sfilata di palestinesi in armi e a volto coperto per festeggiare la strage effettuata nel villaggio israeliano di Kiryat-Chmoneh l’anno prima; da un auto in corsa partirono dei colpi contro i cristiani che entravano nella chiesa del quartiere di Sabra alla messa principale. Quattro morti. Due ore dopo, la risposta: venne attaccato un autobus pieno di fedayn armati del Fronte di Liberazione Arabo, milizia finanziata dall’Irak. E fu la guerra. Da una parte i guerriglieri dell’Olp, sostenuti dalla maggior parte dei musulmani e dai comunisti locali con le loro milizie; dall’altra, i cristiani, presto organizzatisi nelle Forze Libanesi unificate e inquadrate da Bashir Gemayel. Ma era l’inizio della fine dell’ultimo rifugio dei cristiani in Medioriente.

Naturalmente, l’opinione pubblica occidentale, plagiata da quelli che allora dominavano le piazze e la scena culturale, tifava per i fedayn, che passavano per «sinistra» (mentre gli altri erano «destra») e non c’era sessantottino senza kefiah al collo. Neanche un anno dopo, la Siria invadeva il Libano col pretesto di «pacificare» tutti: Al Fatah, fedayn, Alp (Armata per la Liberazione della Palestina), Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), drusi di Kamal Jumblatt (poi sostituito dal figlio Walid, vicepresidente dell’Internazionale Socialista) eccetera. Ci furono le solite proteste internazionali cui mise fine la Lega Araba che, autorizzata da americani e sovietici, impose in loco la sua Forza Araba di Dissuasione. Che però era composta, guarda un po’, da soldati siriani. Due anni dopo, a situazione internazionale mutata, i siriani ripresero tranquillamente l’invasione, addirittura bombardando il settore cristiano di Beirut. Ma, poiché i cristiani resistevano egregiamente, la guerriglia passò agli attentati mirati per decapitarne la dirigenza. Fu così che nel 1980 ci lasciò la pelle la figlia di Gemayel, Maya, un anno e mezzo d’età.

Nel 1982 erano gli israeliani a intervenire militarmente, e vittoriosamente, con l’operazione «Pace in Galilea». Ciò permetteva al parlamento libanese di eleggere quasi all’unanimità presidente il giovane Bashir Gemayel, che raccoglieva voti anche da sciiti, sunniti e drusi. La sua presidenza durò ventitré giorni in tutto: il 14 settembre 1982 il cristiano maronita Gemayel saltava in aria con la sua auto. Il resto della storia è ancora più triste: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu impose il cessate il fuoco ma la forza multinazionale di pace scappò letteralmente via dopo i primi morti. Anche gli israeliani se ne andarono e da allora, in una guerra che finì col diventare di tutti contro tutti, la vera padrona del Libano fu la Siria. Oggi tocca alla Siria, ma chi conosce la storia la commisera un po’ meno.