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PERSECUZIONE DEI CRISTIANI

Centrafrica, una storia di Caino e Abele che si ripete

Nella Repubblica Centrafricana devastata dalla guerra la Chiesa mostra il coraggio e la forza dei martiri. Due sacerdoti hanno già perso la vita dall’inizio del 2018, entrambi uccisi da miliziani islamici. Come in Nigeria, i musulmani sono pastori transumanti e attaccano gli agricoltori cristiani. 

Esteri 20_07_2018
Miliziani di Seleka (rivoluzionari islamici)

Nella Repubblica Centrafricana devastata dalla guerra la Chiesa mostra il coraggio e la forza dei martiri: vicina ai suoi fedeli, disposta a condividerne la sorte, decisa ad alzare la voce in nome della pace, svelando le ragioni e gli interessi di chi combatte. Due sacerdoti hanno già perso la vita dall’inizio del 2018: don Albert Toungoumale-Baba, cappellano della Fraternità di san Giuseppe, ucciso insieme ad altre 15 persone il 1° maggio da miliziani islamici mentre stava celebrando la messa nella chiesa di Nostra Signora di Fatima, nella capitale Bangui, e l’abate Firmin Gbagoua, vicario generale della diocesi di Bambari, colpito a morte il 29 giugno a Bambari, ucciso deliberatamente da alcuni combattenti islamici durante un conflitto a fuoco.

In Centrafrica la guerra è incominciata nel 2013 con un colpo di stato realizzato da una coalizione di milizie islamiche chiamata Seleka, rinforzate da truppe straniere. Nel 2016, nonostante il ripristino delle istituzioni democratiche, gran parte dei Seleka hanno continuato a combattere, infierendo sui cristiani che sono la maggioranza della popolazione. Prive di protezione per l’inerzia dell’esercito governativo e le deludenti prestazioni della missione Onu di peacekeeping Minusca, molte comunità hanno iniziato a organizzarsi per difendersi: sono nate così le milizie anti-Balaka, con il tempo sempre più aggressive e violente anch’esse. Tre quarti del territorio nazionale sono tuttora infestati da bande armate Seleka e anti-Balaka. I combattenti hanno raggiunto livelli di violenza e crudeltà nei confronti della popolazione civile mai visti prima nel paese. Le speranze di pace riposte in un accordo firmato da alcuni dei contendenti nel giugno del 2017 a Roma, grazie alla mediazione della Comunità di sant’Egidio, sono state deluse. Il cessate il fuoco concordato a Roma non è mai entrato in vigore. All’epoca il clero centrafricano non si era fatto illusioni sull’esito della mediazione italiana. Al di là del modo discutibile con cui le trattative erano state condotte, sapevano che i “signori della guerra” non avrebbero deposto le armi rinunciando al controllo del territorio nazionale e agli introiti che se ne ricavano.

Lo scontro si è originato tra cristiani e musulmani divisi inoltre su base etnica, non c’è dubbio. Però i vescovi centrafricani da anni insistono che ormai la guerra, se continua, è perché è alimentata da interessi economici.  “Non c’è nessuna guerra religiosa. È come se ci fosse un progetto di spopolamento pianificato in alcune parti del paese – spiegava il 6 giugno all’agenzia Fides padre Francis Davy Barka-Nado, superiore della Società delle missioni africane – strutture, villaggi, infrastrutture, vite umane vengono distrutte, sradicate intere famiglie. Si può dire che attualmente ci sia una forma di genocidio atipico”. Il paese, secondo padre Francis, è tenuto in ostaggio da milizie locali e mercenari stranieri che ne sfruttano illegalmente le ricchezze naturali: diamanti, oro e altre risorse minerarie. 

In una intervista rilasciata alla stessa agenzia il 21 giugno, padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano, parroco di Bozoum, ha introdotto un altro elemento: il conflitto tra pastori transumanti e agricoltori. Nelle regioni del nord ovest dove padre Aurelio vive, il conflitto deriva dalla presenza di popolazioni nomadi Peul, protette dai Seleka. La maggior parte dei Peul allevano bestiame, si spostano durante l’anno in cerca di pascoli e di acqua e per assicurarseli attaccano le popolazioni sedentarie dedite all’agricoltura che a loro volta rispondono alle aggressioni. “È la storia di Caino e Abele – dice padre Aurelio – vecchia quanto il mondo”. Succede da sempre in Africa, in tutta la fascia sub sahariana, dal Mali, a ovest, fino all’Etiopia, a est, passando per la Nigeria e per altri stati intermedi.

Perché i Peul in Nigeria si chiamano Fulani e uccidono i cristiani nella Middle Belt per gli stessi motivi, anche se lì in questo momento il fattore religioso potrebbe invece essere determinante. “Quello che è cambiato - spiega padre Aurelio - è che diversi uomini forti africani, capi di Stato e di governo, generali, imprenditori investono parte delle loro fortune in migliaia di capi di bestiame che danno in affidamento ai Peul. Quindi dietro a questi spostamenti massicci di mandrie effettuate dai Peul vi sono forti interessi economici. I territori dove lo Stato è molto debole o del tutto assente, come in Centrafrica, sono le mete privilegiate da parte dei gestori Peul di queste immense mandrie. C’è quindi l’interesse da parte di personaggi africani influenti che certe zone del continente rimangano terre di nessuno dove permettere alle proprie mandrie di pascolare in totale dispregio delle esigenze delle popolazioni locali”.

Niente di meglio dunque che istigare all’odio religioso. I vescovi centrafricani il 13 luglio hanno pubblicato un comunicato per mettere in guardia la popolazione contro una organizzazione che si fa chiamare “Lega per la difesa della Chiesa” e che, tramite i social network, in questi giorni incita i cristiani a vendicarsi dei musulmani. “I Vescovi della Repubblica Centrafricana – si legge nel documento – desiderano che i centrafricani siano vigili. Ci sono sempre dei nemici della pace desiderosi di creare un conflitto tra cristiani e musulmani per dimostrare che in Centrafrica cristiani e musulmani non possono vivere insieme”.