C'è un giudice a Milano. Negata la stepchild adoption
E finalmente venne il giorno in cui un Tribunale, dicasi uno, non ha acconsentito all'adozione di un minore da parte di una coppia gay. Il Tribunale di Milano ha respinto la richiesta di due donne omosessuali, unite civilmente, di adottare i figli nati dallo stesso padre biologico. Fornendo una diversa interpretazione della Cirinnà.
E finalmente venne il giorno in cui un Tribunale, dicasi uno, non ha acconsentito all'adozione di un minore da parte di una coppia gay.
I fatti sono questi. Due donne omosessuali conviventi hanno avuto, ciascuno di essa, un figlio tramite fecondazione artificiale eterologa. Il padre biologico è il medesimo. Successivamente si sono unite civilmente. Le due donne hanno chiesto l'adozione incrociata dei rispetti figli biologici. Dunque la donna A ha chiesto la stepchild adoption per il figlio della propria compagna e così anche la donna B.
Il Tribunale di Milano ha respinto la richiesta, nonostante nel recente passato molte altre sentenze dei tribunali minori e la stessa Cassazione in casi identici abbiano invece dato semaforo verde. La coppia richiedeva l'adozione puntellandosi a due dati normativi. Il primo: le due donne sono unite civilmente e la legge sulle unioni civili prevede che le disposizioni di legge riguardanti il matrimonio e quelle che interessano i coniugi siano applicate anche agli uniti civili. Quindi dato che un coniuge può adottare il figlio naturale o adottato dell’altro coniuge, l’equivalenza unito civilmente /uguale/ coniuge avrebbe portato alla conclusione che anche un unito civilmente avrebbe potuto adottare.
Il Collegio del Tribunale di Milano ha risposto che, innanzitutto, la domanda era stata presentata prima che le due donne si fossero unite civilmente – e quindi a loro non si può applicare la legge Cirinnà - e in secondo luogo offrendo una diversa interpretazione di questa stessa norma. La Cirinnà infatti equipara uniti civili a coniugi in tutto, eccezion fatta per le norme del Codice civile non richiamate dal medesimo testo normativo sulle Unioni civili e per la legge l. 4 maggio 1983, n. 184 che disciplina appunto l’adozione. Per la materia “adozione” non vale quindi l’equiparazione di cui sopra ma – così recita la Cirinnà – “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”. Le norme vigenti – in primis la legge 184/1983 – prevede che, nella maggior parte dei casi, solo i coniugi possano adottare. Quindi la coppia lesbica unita civilmente in questo caso non viene considerata come se fosse una coppia coniugata e perciò non può procedere alla stepchild incrociata.
Passiamo al secondo puntello normativo invocato dalla coppia. La legge sulle adozioni prevede delle eccezioni alla norma generale che consente solo ad una coppia coniugata di accedere all’adozione. Tali eccezioni sono sempre state usate dai giudici per legittimare – contra legem – la stepchild adoption a favore delle coppie gay. Il più delle volte si è (ab)usato della lettera d) dell’art. 44. Tale lettera prevede che anche un convivente – quindi anche omosessuale - possa adottare se il minore versi in stato di abbandono e sia stata tentata senza successo la via dell’affidamento preadottivo. I giudici nel passato – Cassazione compresa – aveva fatto spallucce riguardo allo stato di abbandono: il minore in quei casi non era in stato di abbandono perché cresciuto con la madre biologica e quindi non si poteva invocare la lettera d). In merito poi all’impossibilità dell’affido preadottivo il tribunali lo avevano inteso in senso giuridico: è impossibile in punta di diritto dare in affido un bambino che è accudito dalla propria madre.
Il Tribunale di Milano ha invece replicato che la lettera d) non può essere applicata perchè i due minori non versano in stato di abbandono e perché l’impossibilità dell’affido preadottivo deve essere intesa in senso materiale, non giuridico. Cioè a dirsi che si è tentato di dare in affido il minore che versava in stato di abbandono ma senza successo.
Oltre a tutto questo il Collegio di Milano ha ricordato che il legislatore ha richiesto il legame di coniugio al fine di poter adottare perché questo offre una garanzia maggiore per il benessere del minore, garanzia assente nella mera convivenza che presenta carenze in ordine alla sua definizione, accertamento e riconoscibilità.
Infine il Tribunale ha negato che questo rifiuto comporti un atto discriminatorio a danno della coppie omosessuali. Infatti la Corte europea dei diritti dell’uomo lascia agli Stati il compito di regolare come meglio vogliono i legami extra-matrimoniali e quindi anche tutto il diritto familiare, compreso quindi l’istituto dell’adozione.