C'è sete di chiarezza: ecco perché l'apologetica
Ascolta la versione audio dell'articolo
I cattolici si chiedono come evangelizzare, ma spesso si vira su un approccio indiretto, prendendola alla larga. Utile, ma non decisivo. Serve invece l'apologetica, perché va al cuore di tutto che è Dio e poi arriva ai problemi.
- Abbonati alla Bussola mensile
Padre Jonathan Meyer della parrocchia di Tutti i Santi a Guilford, Indiana, il 27 gennaio scorso aveva tenuto una riflessione sull’Eucarestia, della durata di una mezz’ora, ad un gruppo di fedeli. La sua relazione rispecchiava fedelmente quanto il Magistero di sempre va insegnando sull’Eucarestia. «Vado a Messa per andare alla passione, morte e risurrezione di Gesù, per andare al Calvario, per andare alla mia salvezza. È letteralmente la mia salvezza. È la morte e risurrezione del Signore e io ho la possibilità di unirmi ad esse», tanto per citare alcune sue parole. Quindi niente stereotipi da sbadiglio quali “Gesù nella comunione si fa come noi, ci viene incontro per salvarci tutti nonostante i nostri peccati”, “l’Eucarestia è la mensa da condividere con i nostri fratelli”. Poi niente eresie come “È un premio e non una condanna e deve essere data a tutti”.
Il video di quell’intervento finì sulla piattaforma Servi di Dio e in poco tempo raggiunse mezzo milione di visualizzazioni (ora siamo a più di 600mila) e raccolse più di 1.400 commenti (ora siamo a più di 1.600). Quale il motivo di tanto successo? Forse perché oggi nel deserto della fede serve l’apologetica, ossia spiegare le ragioni della fede e della morale?
Tra i cattolici autentici c’è in corso da tempo un sano dibattito: come evangelizzare? Aperta parentesi: inutile distinguere tra i lontani (chi non va a Messa) e i vicini (chi va a Messa), perché anche i secondi assai spesso oggi sono lontani. Chiusa parentesi, torniamo alla domanda: come evangelizzare?
Molte le soluzioni, ovviamente, ma potremmo, con grande sforzo di sintesi, divederle in due categorie. L’approccio indiretto e quello diretto. Il primo approccio vuole arrivare sì a spiegare le verità di fede e morale, ma partendo alla lontana. Ad esempio: spieghiamo la ricchezza delle proprietà del vino per arrivare a illustrare il sacrificio eucaristico. Analizziamo gli stili della moda per mettere in risalto il pericolo di omologazione e quindi quegli aspetti che mal si conciliano con la dignità personale. Partiamo dall’arte per far comprendere cosa sia la vera bellezza, nella speranza che questa porti poi a Dio. Rispolveriamo le differenze positive di carattere psicologico tra maschio e femmina per far comprendere quale sia stato il piano originario di Dio sull’uomo. Smontiamo alcuni luoghi comuni su certe condotte per tornare a parlare dei fondamenti della morale naturale. Mettiamo in risalto i danni dei social per giungere a tratteggiare una sana antropologia di carattere personalistico. Analizziamo le strategie comunicative dei mass-media e social per svelare le loro mistificazioni e far nascere il dubbio che viviamo nell’epoca della menzogna a reti unificate. Parliamo dell’affettività per smontare indirettamente l’omosessualità; del nazismo per tentare di dire qualcosa sulla legge naturale. Organizziamo un concorso pro-life per le scuole.
L’approccio indiretto presenta alcuni vantaggi: si sintonizza sulla frequenza d’onda dei nostri contemporanei partendo da ciò che è a loro noto e che a loro interessa e premendo i giusti tasti della sensibilità odierna. Tale approccio non usa dunque una grammatica e un registro espressivo alieno alla coscienza collettiva ed è un percorso che procede per gradi e di carattere analogico.
Presenta altresì degli svantaggi: non è una formazione organizzata che parte da Dio e poi tratta della fede e della morale e quindi, trattando della fede, spiega cosa sia la Rivelazione e la Tradizione e quindi il Magistero, e poi, trattando della morale, spiega cosa sia la natura umana e dunque le fonti della moralità etc... Un percorso che dalla sintesi si articola nel suo spettro analitico.
L’approccio indiretto ci fornisce le tessere del mosaico – e sono tessere autentiche, “vere” potremmo dire – ma non posizionate, non inserite in un quadro armonico. Ulteriore svantaggio collegato al precedente: non partendo dai fondamenti, il discorso ad un certo punto è come se rimanesse a mezz’aria, non ancorato a nulla.
Un esempio che è tratto da un episodio realmente accaduto: il relatore spiega ad un pubblico di giovani il processo di carattere culturale attraverso cui abbiamo avuto una legge sulle unioni civili omosessuali. Domanda da parte di un giovane: «Perché l’omosessualità è sbagliata?». Il giovane non contestava la bontà della ricostruzione del percorso culturale che ci ha portato ad avere una legge simile, ma chiedeva perché criticare l’omosessualità. Il giovane giustamente era andato a monte della questione, il relatore invece si era avventurato nelle conclusioni che stavano a valle, senza spiegarne le premesse. Altro caso sempre realmente accaduto: si parla dell’autodeterminazione della donna nella scelta abortiva. Domanda da pubblico: perché l’aborto è un male? Se non spieghi perché l’aborto è un assassinio, non avrai argomenti per demolire il sacro principio dell’autodeterminazione della donna.
Seconda strategia: l’apologetica. Tradotto: trattare dei fondamenti di fede e morale, esprimendosi in modo chiaro e andando dritti al punto, così come ha fatto il sacerdote citato all’inizio di questo articolo. Torniamo a spiegare in poche e comprensibili parole cosa sia l’Eucarestia e gli altri sacramenti, la storicità dei Vangeli, il peccato nelle sue varie distinzioni, i Novissimi, etc... E poi, sul piano naturale, cosa sono le virtù e i vizi, le passioni, la natura umana, le fonti della morale, gli assoluti morali, etc...
Anche questa strategia presenta pro e contra. Una obiezione a tale approccio, forse la più classica ed assolutamente ragionevole, è la seguente: se parli di queste cose non solo non troverai nessuno che ti ascolti, ma chi ti ascolterà non ti capirà. Inoltre non importa come ne parlerai, di certo nessuno comunque ti comprenderà. Sarai come un marziano oppure un uomo del Duecento che tenta di comunicare con i nostri contemporanei. Ve lo vedete voi – così si obietta – un seguace della Ferragni stare a sentire qualcuno che parla di Eucarestia? Anzi, è impensabile che costui potrà mai trovarsi a sentire qualcuno che gli spiega Chi sia l’Eucarestia. È dunque addirittura impossibile intercettare questo pubblico. Perciò se il filo-Ferragni sta sui social a cercare video su come si cucina il polpo, noi dobbiamo inventarci una rubrica di cucina cattolica e sperare che dal polpo passi prima poi alla confessione. Così si argomenta.
Vi sono però anche aspetti positivi dell’approccio apologetico: c’è sete di chiarezza e di radicalità in giro e l’apologetica per sua natura soddisfa queste esigenze. In secondo luogo, dovendo partire dai fondamenti, il discorso apparirà solido e non opportunista. In terzo luogo l’approccio diretto risponde alla attuale dinamica attraverso cui si articola l’informazione: tutti noi facciamo domande dirette a Google e vogliamo risposte chiare e sintetiche e Google in genere ci dà soddisfazione (questo non vuol dire che la risposta sia sempre veritiera). L’apologetica si comporta in modo analogo.
Quale soluzione preferire? Per i cattolici autentici: l’apologetica. Per tutti gli altri: entrambe le soluzioni perché sostanzialmente dipende dal contesto.
Un paio di esempi tratti da casi reali. A volte è meglio l’approccio indiretto: l’amico divorzia anche perché, così sostiene, è meglio per i figli non assistere a scene di litigio tra i genitori (usuale pretesto). Inutile, in genere, sprecare tempo a spiegargli i motivi ultimi perché il matrimonio è indissolubile. Più efficace girargli i dati che provano che nella stragrande maggioranza dei casi è meglio per i figli vivere con i genitori non separati seppur litigiosi, piuttosto che con i genitori separati (che comunque spesso rimangono litigiosi seppur a distanza).
A volte invece è meglio l’approccio diretto: un amico mal sopporta il prossimo perché secondo lui Dio ha fatto male l’uomo. Gli si risponde che Dio è perfetto e quindi non può errare. A seguire virate su peccato originale e personale. Mal che vada tornerà a casa a vedersi i video sul polpo in lenta cottura.