Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
UN BILANCIO

C'è il Ramadan, ma è un'escalation di sangue

Il 16 maggio è iniziato il Ramadan, Il mese sacro per gli islamici. L'Occidente però, e anche settori della Chiesa, fingono di non capire e celebrano la festa islamica che per antonomasia è il momento dell’anno in cui viene versato più sangue in assoluto. Una carrellata degli ultimi fatti, dal Pakistan alla Libia, passando dal Belgio mostrano una carneficina atroce. 
-MOHAMMED E L'INFANZIA RUBATA DAL CLAN di Souad Sbai

Attualità 01_06_2018

Il 16 maggio è iniziato il Ramadan. Il mese sacro per gli islamici, che ricordano, e quindi celebrano, il momento in cui fu rivelato il Corano come “guida per gli uomini e prova chiara di retta direzione e salvezza”. Così suggerisce la Sura II, v. 185 per spiegare il senso di questi trenta giorni che per un musulmano sono tutto, e, soprattutto, il momento in cui ogni sforzo va intensificato. “La nostra lotta è la Jihad, un culto obbligatorio. Ed ogni gesto di culto obbligatorio, nel mese del Ramadan, gode di una ricompensa che vale settanta volte in più”, ha ricordato Zabihullah Mujahid, portavoce dei talebani, lo scorso anno per cercare di evitare di farsi fraintendere dall’Occidente che, però, finge di non capire e  celebra, fa gli auguri alla festa islamica: per antonomasia il momento dell’anno in cui viene versato più sangue in assoluto.

Obama, per esempio, non ha mai mancato di dedicare un pensiero ai musulmani per l’inizio del Ramadan.  Nel 2016 diceva, “questo mese è un'opportunità per concentrarsi sulla riflessione e la crescita spirituale, il perdono, la pazienza e la resilienza, la compassione per quelli meno fortunati e l'unità tra le comunità”. Peccato che la crescita spirituale per i musulmani voglia dire obbedienza ad Allah, che, a sua volta dice “uccidili ovunque li trovi” (Corano 2: 191, 4:89, 9: 5). Gl’ infedeli, ovviamente, sono loro che vanno puniti, ovunque si trovino, al prezzo del sangue. Che è esattamente quel che sta accadendo dal giorno uno del Ramadan 2018 in tutto il mondo.

Una rassegna stampa veloce, e che difficilmente i giornaloni vi pubblicizzeranno, racconta, infatti, di una carneficina atroce.

Il 24 maggio, per esempio, a Baghdad, un uomo si è fatto esplodere con la sua cintura esplosiva nei pressi di un giardino pubblico nel distretto di Al-Shola, un quartiere della capitale a prevalenza sciita. L’attentato è stato rivendicato da Daesh e sono stati contati quindici morti. Lo stesso giorno, all’alba, è stato colpito un caffè. Cinque morti e sedici feriti colpevoli di eresia: avevano interrotto il digiuno quotidiano, secondo gli aggressori.

Il 22 maggio a Kandahar, nell’Afghanistan del sud, un minivan pieno di esplosivi ha ucciso sedici malcapitati, trentotto, invece, i feriti, tra i quali cinque bambini. Secondo le forze dell’ordine si tratta solo dell’antipasto, i terroristi starebbero pianificando un grande attentato in città per la fine del Ramadan.

Qualche giorno più tardi sono stati contati almeno sette morti e dieci feriti nel centro di Bengasi, in Libia. La bomba è esplosa alle spalle dell’Hotel Tibesti, il più grande della città, in una strada sempre trafficata, al tramonto di una giornata di digiuno durante il Ramadan.

Cinque terroristi hanno fatto irruzione nella casa di un uomo di 38 anni e gli hanno tagliato il collo prima di smembrarne il corpo davanti a sua moglie e al figlio di 10 anni nel villaggio di Preng, nel distretto di Bandipora, nel nord del Kashmir, nella notte di giovedì scorso. Mohammad Yaqoob Wagay e la sua famiglia dormivano quando gli uomini di Lashkar-e-Taiba – una delle più importanti organizzazioni terroristiche islamiche in Asia meridionale – li hanno aggrediti con spietata ferocia entrando dalle finestre. “Quando incontri i miscredenti, colpisci il collo ...”, dice il Corano (47: 4), e, probabilmente, Wagay, che era un macellaio, aveva venduto il taglio di carne sbagliato.

“È stato un nostro soldato”, con queste parole l'isis non ha tardato, invece, a rivendicare l'attentato di martedì a Liegi, in Belgio. Cinque morti hanno significato, ancora una volta, la potenza della jihad durante il Ramadan anche per le nostre strade, nel bel mezzo dell’Europa. “Allahu Akbar” ha gridato l’uomo che si era radicalizzato in carcere ed era fuori per un permesso speciale. Salvo poi risparmiare uno degli ostaggi, una donna, perché musulmana.

Lunedì la furia del Ramadan non ha inteso risparmiare nemmeno il seminario minore cattolico di Jalingo, la capitale dello stato di Taraba in Nigeria. I soldati Fulani, armati fino ai denti, hanno preso d’assalto gli edifici della scuola all’inizio delle lezioni.  Quattro morti e sette feriti, e tra questi uno dei sacerdoti della scuola che si è trovato un colpo di pistola nella gamba dopo essere stato fustigato per la sola colpa di essere un ministro del culto cattolico.

In un clima di totale asservimento all’islam, il vescovo ha provato a rompere le righe denunciando l’aggressione come “deplorevole” e attaccando le autorità. Ma forse l’intento era far giungere l’eco del suo appello altrove. D’altronde, se i cattolici, ma soprattutto i ragazzini che studiano per diventare sacerdoti, non sono al sicuro nemmeno nei loro ambienti, che futuro ha il cattolicesimo in Nigeria? A giudicare dagli ultimi fatti di cronaca, la pulizia etnica è dietro l’angolo. Negli ultimi mesi quindici villaggi cristiani sono stati rasi al suolo, saccheggiati e ripuliti di ogni simbolo religioso. Solo a gennaio ottanta cristiani sono stati trucidati, spesso a colpi di machete. E chissà come andrà a finire il Ramadan per i cristiani nigeriani considerati “indegni di vivere” dalla legge islamica.

Qualche giorno prima, in Pakistan, a un ventiduenne sono stati invece cavati entrambi gli occhi dalla sua stessa famiglia e per colpa di una ragazza: una non musulmana, che voleva sposare. I suoi fratelli lo avevano avvertito che parlare al telefono con una ragazza infedele non era un atto islamico.

Ancora, in Mali, i jihadisti hanno intensificato la loro attività sanguinaria in occasione del Ramadan e, sempre questa settimana, hanno aperto il fuoco contro un gruppo di persone colpevoli di riposarsi all’ombra di un albero e di non star adempiendo chissà quale precetto del mese sacro. Venti i morti.

In un villaggio nel nord del Mozambico, nel fine settimana, dieci persone, tra cui alcuni bambini, sono state decapitate.

È il vento del Ramadan che soffia forte in tutto il mondo e non conosce clemenza. È il vento di tempesta che gode dello strano ecumenismo che sta contagiando tutti. E il pizzico di ipocrisia che rende tutto più salato non manca. Se in tutto il mondo, infatti, l’islam celebra il mese che si è dedicato, a suon di decapitazioni e violenze di ogni sorta, le parrocchie cattoliche del Bel Paese cedono alla moda delle cene dell’iftar. Beneplacito?