Cavalleri racconta «I miei 50 anni da direttore sempre indocile»
Cesare Cavalleri, si definisce «un cinquantenne indocile e pieno di progetti». Glissando sull’età anagrafica si concentra su quella lavorativa: dal 1965, infatti, dirige il mensile Studi cattolici insieme con le Edizioni Ares. Casa editrice ugualmente indocile e controcorrente che in tutti questi anni è rimasta laboratorio di idee e di confronto e operosa fucina di giovani talenti. Così ha risposto alle nostre domande.
Cesare Cavalleri, si definisce «un cinquantenne indocile e pieno di progetti». Glissando sull’età anagrafica si concentra su quella lavorativa: dal 1965, infatti, dirige il mensile Studi cattolici insieme con le Edizioni Ares. Casa editrice ugualmente indocile e controcorrente, non solo per i suoi autori di punta – fra cui è doveroso ricordare almeno Josemaría Escrivá, Eugenio Corti, Vittorio Messori –, ma per il fermento particolarmente vivace, vivo, di un campo culturale che in tutti questi anni è rimasto fertile laboratorio di idee e di confronto, fucina di giovani talenti, perché ben dissodato da questo suo operoso e instancabile “fattore”. Ogni dialogo con Cesare Cavalleri diviene, di conseguenza, un’opportunità importante per una comprensione più piena del presente alla riscoperta degli snodi del Novecento posti alla radice della società contemporanea. Un’opportunità che la Bussola non ha voluto perdere, offrendo ai suoi lettori la prospettiva di Studi cattolici e del suo direttore…
Caro Cavalleri, in ogni testata giornalistica, con l’avvicendarsi dei direttori una linea editoriale cambia… Nel caso di Studi cattolici, con un solo direttore, il confronto necessario con tempi storici molto diversi in un arco temporale di mezzo secolo comporta ugualmente degli aggiustamenti della linea editoriale? Più semplicemente, in che cosa Studi cattolici è rimasto sempre uguale a sé stesso e in che cosa è invece cambiato?
«I tempi cambiano gradualmente, e la rivista è sempre stata immersa nel proprio tempo con il suo apporto di coscienza critica. Uno spartiacque è, inevitabilmente, il Sessantotto. Può sembrare sorprendente, ma all’inizio la rivista ha nutrito qualche simpatia verso la rivolta giovanile contro una società autoritaria ed escludente, ma ben presto ci siamo accorti dell’inaccettabile deriva che la protesta aveva imboccato. Tant’è che dieci anni dopo abbiamo pubblicato un numero monografico, poi edito anche in libro, intitolato Dov’è finito il Sessantotto? che prendeva atto del tradimento delle speranze inizialmente suscitate. Negli anni della violenza terroristica abbiamo incoraggiato la cosiddetta “Dissociazione politica dal terrorismo”, uno dei protagonisti della quale è stato Arrigo Cavallina, mio ex allievo di quando insegnavo a Verona. E ci sono state le grandi battaglie contro la legalizzazione del divorzio e poi dell’aborto, preludio e causa della decadenza morale e civile in cui viviamo. Dal punto di vista ecclesiale, abbiamo accompagnato il Concilio e cercato di fare chiarezza nella velleitaria turbolenza del post-Concilio, sempre in stretta fedeltà al magistero pontificio, così come ora incoraggiamo il pluralismo, nella distinzione tra L’opinabile & il dogmatico, per riprendere il titolo di un altro numero monografico della rivista. In letteratura, abbiamo preso sul serio l’innovazione della Neoavanguardia, con prese di posizione nel falso dibattito sugli “scrittori cattolici” o “cattolici scrittori”, stringendo solide amicizie, per esempio, con Mario Pomilio, Fortunato Pasqualino, Alessandro Spina, Luciano Erba, Giorgio Caproni, e con Elio Fiore (1935-2002), nostro “poeta redazionale” perché per molti anni ha potuto esprimersi solo attraverso le nostre pagine. Stiamo pubblicando la sua Opera omnia, un volume di oltre 700 pagine».
E la politica?
«Studi cattolici non entra nel dibattito politico-partitico, si occupa dei temi di fondo. Ha sempre denunciato il comunismo, quando c’era (non c’è più?) e il totalitarismo di ogni colore, sempre secondo «l’autonomia delle realtà terrene» di cui ha parlato la costituzione conciliare Gaudium et spes, ma anche ricordando l’aggettivo che precede la citatissima espressione, e cioè «la legittima autonomia delle realtà terrene». Insomma, una società senza Dio diventa invivibile, sotto qualunque cielo e in qualunque ordinamento. Attualmente dedichiamo grande attenzione ai problemi istituzionali, perché vediamo come il principio della divisione dei poteri sia trasgredito e come sussista, non solo nel nostro Paese, un serio problema di rappresentanza politica dei cittadini».
Qualche domanda più personale. Lei non è nato giornalista, mi risulta che abbia corretto la sua vocazione professionale in corsa…
«Mi sono laureato all’Università Cattolica in Economia e commercio, con una tesi in Statistica su I processi stocastici e alcune loro applicazioni. Ho lavorato in banca mentre studiavo e per quattro anni ho insegnato Statistica all’Università di Verona, come assistente del professor Luigi Vajani con cui mi ero laureato. Ma sempre ho avuto interessi letterari e genericamente umanistici: sono diventato pubblicista collaborando all’Arena di Verona, e scrivevo di economia e di letteratura per Studi cattolici fin da quando la rivista risiedeva a Roma. Nel 1965, quando l’Ares si trasferì a Milano mi fu offerta la direzione che accettai di buon grado. E così l’hobby del giornalismo diventò professione, mentre la Statistica per un po’ si ridimensionò a hobby e poi gradualmente fu accantonata. Ma non si perde nulla, e le diverse esperienze professionali mi soni utili tuttora».
So che da molti anni lei fa parte dell’Opus Dei. Qual è il suo rapporto con la fede?
«Da ragazzo ho studiato dai salesiani di Treviglio, e l’8 maggio 1949 ho fatto la promessa scout a cui anche oggi mi sforzo di essere fedele. La formazione scautistica è stata molto importante, anche perché lo scautismo è l’associazione cattolica meno clericale: nell’Asci l’assistente ecclesiastico “assisteva”, non comandava. Ritrovai un sano “anticlericalismo” nell’Opus Dei, che mi fu presentata da un amico negli anni universitari, e vi aderii il 23 giugno 1959, scegliendo il celibato apostolico».
Lei ha conosciuto san Josemaría Escrivá
«Certamente, e anche il suo primo successore, il beato Álvaro del Portillo. Ma non mi va di parlarne in un’intervista perché mi commuovo e non mi saprei esprimere adeguatamente. Dirò solo che “nostro Padre”, e “don Álvaro”, come li chiamiamo nell’Opera, sono stati le luci della mia vita, da loro ho appreso tutto».
Dunque, se mi consente di ripetere una diceria smentita più volte anche da lei, Studi cattolici è dell’Opus Dei?
«La prelatura dell’Opus Dei non interferisce nell’attività professionale dei suoi membri, di cui cura la formazione ascetica e apostolica. Studi cattolici è mia e degli altri soci dell’Ares, Associazione Ricerche e Studi, che la pubblica accanto alle collane di saggistica storica, filosofica, letteraria. Solo chi ha una mentalità clericale può fare confusione».
Qualche nome degli autori che preferisce o che considera maestri
«Tra i poeti, Ezra Pound, Ungaretti, Montale e il più grande di tutti: Saint-John Perse, premio Nobel 1960. E poi Dino Buzzati ed Ennio Flaiano».
E tra i cantanti?
«Ornella Vanoni, Eros Ramazzotti. Ai miei tempi furoreggiava Nilla Pizzi, a cui mi ispiro per l’anagrafe: lei era del 1919, e diceva di essere nata col Festival di Sanremo, cioè nel 1951; anch’io sono nato con la direzione di Studi cattolici e dell’Ares, e dunque mi sento un cinquantenne indocile e pieno di progetti».