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IL LATINO SERVE A TUTTO/XXVIII

Catullo: voler bene è molto più che una mera passione

Nei versi di Catullo l’amore non è divinizzato, ma, in qualche modo, è idolatrato come sentimento assoluto, cui sacrificare tutto e in nome del quale vivere tutti gli istanti. L’eros diventa, così, invito a godere, ad assaporare fino in fondo la gioia dei sensi. Ma quando l'amore è morto, lo è per sempre e va seppellito. Non c'è eternità.

Cultura 07_10_2018
Catullo e Lesbia (Laurence Alma Tadema)

Nei versi di Catullo l’amore non è divinizzato, ma, in qualche modo, è idolatrato come sentimento assoluto, cui sacrificare tutto e in nome del quale vivere tutti gli istanti. L’eros diventa, così, invito a godere, ad assaporare fino in fondo la gioia dei sensi come quando Catullo scrive nel carmen V:

Viviamo, mia Lesbia, ed amiamoci,

e le chiacchiere dei vecchi troppo severi

consideriamole tutte un soldo.

I giorni possono tramontare e ritornare;

noi, una volta che la breve luce è tramontata,

dobbiamo dormire una sola eterna notte.

Dammi mille baci, poi cento,

poi mille altri, poi ancora cento,

poi ininterrottamente altri mille, poi cento.

Poi, quando ne avremo totalizzate molte migliaia,

rimescoleremo quelli, per non conoscere la quantità,

o perché nessun maligno possa gettarci il malocchio,

quando sappia quanto è grande il numero dei baci.

In questo invito ad assaporare l’istante e a vivere quella notte come fosse l’ultima il poeta dimentica il resto del mondo, il giudizio della società, il mos maiorum. L’istante è qui slegato dall’eterno, soggetto alla percezione della precarietà dell’esistenza e della fugacità della vita. L’amore è turbamento dei sensi, s’impadronisce di tutto l’essere, privandolo della ragione e del dominio della mente. Si manifesta con uno stravolgimento di tutto il corpo. La fenomenologia è così descritta da Catullo nel carmen LI:

Appena, Lesbia, t’ho guardata, non mi resta,

Lesbia, un filo di voce;

ma la lingua è intorbidita,

sottile dentro le membra fiamma si spande,

d’interno ronzio rombano gli orecchi,

si coprono di doppia notte le luci.

È probabilmente l’inizio della passione amorosa di Catullo. Nel carmen III Catullo canta, poi, la morte di un povero passero, conforto di Lesbia. Quest’epicedio, ripreso dalla poesia ellenistica, non è solo un componimento che descrive la sofferenza di Lesbia e del poeta nel vedere gli occhi dell’amata gonfi di pianto, ma documenta anche la visione di una morte che ci strappa la bellezza, la felicità e tutto quanto abbiamo di più caro. Catullo non ha speranze sull’aldilà, quelle tenebre dell’Orco da cui non si può far ritorno, un oltremondo in cui non si continua a vivere o, comunque, non si assapora quell’eternità e quella beatitudine di cui scriverà, solo pochi anni più tardi, Cicerone nel Somnium Scipionis. Il patto di amore eterno e felice proposto da Lesbia inizia ben presto a vacillare. La promessa di Lesbia non è all’altezza del desiderio di eternità che prova l’animo di Catullo. L’idolo della donna amata rivela la propria inconsistenza e su di lei si scagliano le ire del giovane deluso:

Odio e amo. Perché io faccia così, forse t’interessa

sapere. Non lo so. Ma sento che così è, e sono in croce.

La donna l’ha tradito e il poeta prova per lei un sentimento misto, in cui il disprezzo per l’azione di lei si mescola all’attrazione e al desiderio. Catullo si ricorda (carmen LXXII) quando Lesbia sosteneva di non aver avuto relazioni con altri uomini e di preferire il poeta addirittura a Giove. A questi giuramenti Catullo aveva dato credito, tanto più che lui l’amava non semplicemente come le persone comuni amano una donna: nel suo sentimento era compreso anche quell’affetto che un padre prova per un figlio o un suocero per un genero. Nel verbo usato da Catullo («dilexi») è inclusa tutta la ricchezza del rapporto sentimentale: il prefisso dis e legere («scegliere») racchiudono il senso della preferenza e dell’esclusività. Questo è amore. La realtà ha, però, costretto Catullo a riconoscere la volubilità dell’amata. Purtroppo, il poeta l’ha conosciuta («nunc te cognovi»), ha perso la stima che provava fino a quel momento («multo mi tamen es vilior et levior»). Non per questo è scemata la passione: anzi, il desiderio della donna è ancora più forte. Com’è potente l’effetto della gelosia:

Con un tradimento come il tuo

Si ama di più, ma si vuole bene di meno.

Qual è la differenza tra «amare» e «bene velle» nel vocabolario catulliano? «Amare» indica la passione e il coinvolgimento dei sensi, mentre «bene velle» include un affetto dolce e profondo, fondato su una stima e sulla consapevolezza di poter contare sull’altro. Per Catullo il vero amore include quest’affetto che è tipico di un’amicizia vera e profonda. Non può esistere vero amore senza amicizia. Allora la disillusione si tramuta in rabbia, una volta che il «patto sacro di eterna amicizia» è stato violato. La componente razionale di Catullo prova a dominare il «furor» che divampa e a riconoscere che ciò che è perduto è ormai perduto per sempre (carmen VIII):

Disgraziato Catullo, basta con le pazzie.

Se un amore è cadavere, seppelliscilo e via…

La memoria del poeta ritorna a quelle giornate stupende trascorse con l’amata quando ancora neppure il sospetto del tradimento si è insinuato nella sua mente, quando i giochi d’amore riempivano il tempo e il sole sembrava risplendere luminoso proprio per irraggiare le sue giornate. La memoria, come scriverà milleottocento anni più tardi Manzoni ne Il cinque maggio, è, però, fatale, quando la gioia non è più presente. La Francesca di Dante sostiene che non vi sia maggior dolore che ricordarsi del tempo felice «ne la miseria». Questo vale anche per Catullo. Al presente Lesbia si nega, non cerca più la compagnia e l’amore del poeta. La ragione prova allora a convincere il cuore che tutto ormai sia finito, che non ne valga la pena:

Oggi non più. Oggi lei si nega.

Peggio per lei, tu non pregarla più,

troppo facile cuore. Se vuole andarsene,

che se ne vada. Tu, non sciuparti la vita,

ma, da uomo, imperterrito resisti!

Addio, ragazza. Catullo si spezza ma non si piega.

Non ti corre più dietro, non ti parla per primo…

Sarà la donna a dispiacersene:

Povera te, che giorni ora t’aspettano!

Chi avrai più dietro l’uscio? Chi ti dirà: «Sei bella»?

Chi troverai da amare? Di chi dirai: «Son tua»?

Le labbra di chi mai bacerai, morderai?

Catullo non può che resistere, imperterrito. Ardente e bramoso di vita, cercherà allora di rivolgersi ad altri affetti, alle amicizie, al ricordo del fratello scomparso e seppellito in Bitinia, nell’illusione, forse, di poter dimenticare per sempre l’amata Lesbia.