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LA DERIVA

Cattolici e protestanti: così lontani, così inconciliabili

Si dice spesso che tra cattolici e protestanti ci si può e ci si deve intendere prima di tutto sulle questioni della giustizia e della pace e sull’impegno comune per una convivenza civile sana. Ma a ben vedere le due fedi orientano l’impegno sociale e politico in due modi molto diversi e credo che nel dialogo bisognerebbe tenerne conto. 

Dottrina sociale 11_12_2019

L’articolo di Andrea Zambrano pubblicato oggi sulla Nuova Bussola Quotidiana segnala nuovamente il processo di protestantizzazione in atto nella Chiesa cattolica. In questo blog vorrei ricordare che il fenomeno riguarda direttamente anche la Dottrina sociale della Chiesa, vale a dire la concezione della politica, dell’autorità, dello Stato e così via.

Si dice spesso che tra cattolici e protestanti ci si può e ci si deve intendere prima di tutto sulle questioni della giustizia e della pace e sull’impegno comune per una convivenza civile sana. Ma a ben vedere le due fedi orientano l’impegno sociale e politico in due modi molto diversi e credo che nel dialogo bisognerebbe tenerne conto.

Senza entrare qui nel merito complicato della questione, vorrei limitarmi a proporre alcune frasi del teologo forse più importante del Protestantesimo, Karl Barth, che mostrano in modo molto eloquente la distanza dalla posizione cattolica.

Nel suo commento al capitolo 13 della Lettera ai Romani di San Paolo, egli scrive questo lungo passo che mi preme citare per intero con corsivi miei: “A causa della sua caduta, all’umanità è stata sottratta da parte della giustizia divina la conduzione diretta dei rapporti terreni. Solo Cristo può ripristinare la condizione originaria. In modo transitorio – e al di fuori di Cristo – la storia è ambito dell’ira divina. Guerra, fame e pestilenza seguono il loro corso, così come devono, nel mondo sì estraniato dal regno di Dio ma non sottratto alla volontà di Dio. Così lo Stato attuale, quale è subentrato allo Stato divino originario, che va rinnovato in Cristo. Il suo nome è “autorità”, poiché è riconosciuto ed esplicito il suo puro carattere di potere e di costrizione in contrasto con la giustizia e la libertà dello Stato divino. Se il male ha l’autorità sulla terra, allora ogni autorità, comunque essa si chiami, che non sia nata da una nuova unione dell’uomo con Dio, potrà essere solo malvagia. L’attuale Stato autoritario è diametralmente opposto alle intenzioni divine: è in sé e per sé malvagio. Ma proprio come manifestazione evidente del rapporto negativo dell’umanità con la sua origine divina, esso è insieme una manifestazione dell’ira divina, che punisce l’umanità lasciandola libera di agire, che governa il male per mezzo del male, lo corregge e lo limita. Non è quindi per caso e, in ultima istanza, non per iniziativa umana, bensì per disposizione divina, che l’ingiustizia, l’arbitrio e la violenza che vengono dall’alto hanno il sopravvento sull’ingiustizia, sull’arbitrio e sulla violenza che vengono dal basso. Il male in quest’epoca viene combattuto e vinto dal male secondo la volontà di Dio. Ogni politica in quanto lotta per il potere, in quanto arte diabolica per ottenere la maggioranza, è essenzialmente sudicia”.

Il peccato delle origini ha inquinato essenzialmente la natura umana sicché non esiste più un ordine naturale che la ragione possa conoscere, un diritto naturale che rende buona e legittima l’autorità politica, un bene comune terreno verso cui governare gli uomini. C’è solo sopraffazione e ingiustizia e Dio stesso vuole, con la sua ira, che il male sia contrastato dal male.

L’autorità politica è quindi pur forza, potere coattivo, ingiustizia istituzionalizzata e così vuole Dio perché l’uomo, come un asino, deve essere tenuto a freno con il bastone. Ne consegue che sul piano politico il potere ha sempre ragione. Niente lo può legittimare moralmente, e per questo motivo esso è sempre legittimato dalla sua forza. Esso è sudicio senza speranza. Una visione tristissima della vita sociale e politica con cui la fede cattolica non può andare d’accordo.