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ABUSI SESSUALI

Caso Zanchetta, i giudici argentini sfidano papa Francesco

Abusi sessuali continui ed aggravati nei confronti di alcuni seminaristi: formalizzata l'accusa contro il vescovo argentino Gustavo Zanchetta, a cui è stato anche ritirato il passaporto e obbligato a restare in patria. Dopo le "misteriose" dimissioni da vescovo di Oràn, Zanchetta era stato infatti "promosso" con un incarico in Vaticano; e malgrado lo scoppio dello scandalo aveva partecipato lo scorso marzo agli esercizi spirituali in Vaticano con papa Francesco. Nella recente intervista a una tv messicana il papa aveva ricostruito la vicenda dal suo punto di vista, in contrasto con le testimonianze arrivate dall'Argentina.
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Ecclesia 09_06_2019
Papa Francesco con monsignor Zanchetta

Si aggrava la situazione di monsignor Gustavo Zanchetta. Nell'udienza di giovedì, Monica Viazzi, procuratore penale di Salta, ha formalizzato al vescovo argentino l'accusa di abusi sessuali continui aggravati. Presente in aula al fianco del suo avvocato, all'ex titolare della diocesi di Oràn è stato ritirato il passaporto e gli sono stati fissati una serie di accertamenti psichiatrici che sarà obbligato a sostenere già dalla prossima settimana.
Si tratta di divieti legati all'imputazione per abusi sessuali definiti in tribunale "continui ed aggravati" dal suo status di ministro del culto.

Il caso era esploso a livello mondiale tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019 con l'inchiesta giornalistica del quotidiano "El Tribuno de Salta" in cui si cercava di dimostrare come le improvvise dimissioni di monsignor Zanchetta dalla guida della diocesi di Oràn nell'estate del 2017 non fossero motivate dai "problemi di salute" addotti nella lettera ufficiale, ma dalle accuse di abusi sessuali su seminaristi mossegli da cinque sacerdoti. I fatti delittuosi sarebbero avvenuti tra il 2014 ed il 2015. Tra il 2016 ed il 2017 sarebbero aumentate le lamentele fatte pervenire in Nunziatura sul conto del presule argentino, accusato di molestie ai danni dei seminaristi, ma anche di cattiva gestione economica ed autoritarismo.

Il clamore mediatico della vicenda si deve soprattutto al fatto che monsignor Zanchetta, successivamente alle dimissioni date improssivamente dalla diocesi di Oràn, venne comunque nominato assessore dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa) da papa Francesco. Una 'promozione' in Vaticano arrivata nonostante "l'incapacità di governare il clero" dimostrata in patria e vero motivo della rinuncia, come dichiarato da Alessandro Gisotti allo scoppio del caso, lo scorso gennaio. In quell'occasione, il direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede, smentendo una volta per tutte la motivazione ufficiale dei "problemi di salute" indicata da Zanchetta stesso, aveva però specificato che al momento delle dimissioni erano emerse soltanto accuse di autoritarismo e non di molestie sessuali.

Una versione contrastante con quella sostenuta, invece, dal quotidiano "El Tribuno" secondo cui la prima segnalazione interna alla Chiesa per la condotta immorale del presule sarebbe stata presentata già nel 2015. Una tesi affermata anche da Juan Jose Manzano, vicario nella diocesi di Oràn, secondo cui "il Vaticano avrebbe ricevuto informazioni nel 2015 e nel 2017 su di un vescovo argentino vicino a papa Francesco che si era fatto dei selfie nudo e aveva avuto comportamenti 'osceni', tanto da finire accusato da alcuni seminaristi". Nella dichiarazione rilasciata all'Associated press, inoltre, Manzano aveva rivendicato di aver inviato lui stesso quelle fotografie a Roma ed aveva detto che "Bergoglio era stato il confessore di Zanchetta e lo trattava come un figlio spirituale".

L'emergere di questo rapporto di vicinanza tra il pontefice ed il vescovo accusato e la 'promozione' all'Apsa di quest'ultimo dopo le misteriose dimissioni da Oràn hanno contribuito a rendere la vicenda un caso d'interesse mondiale. Non a caso, il papa ha affrontato la questione pochi giorni fa nell'intervista concessa alla tv messicana Televisa. Rispondendo ad una domanda diretta della giornalista Valentina Alazraki, Francesco ha rivelato di aver convocato a Roma il presule dopo le prime accuse relative alle fotografie, ma di averne accolto la difesa incentrata su un presunto hackeraggio. Restavano in piedi le lamentele sul "modo di trattare (...) dispotico, autoritario" e su "una gestione economica delle cose non del tutto chiara", circostanze che però – ha sostenuto il papa – non sarebbero state dimostrate.

Bergoglio ha raccontato che, una volta messo a conoscenza dal Nunzio della gravità della denuncia pervenuta contro Zanchetta per abuso di potere, ha deciso di intervenire, chiedendo al vescovo la rinuncia e mandandolo in Spagna per un "test psichiatrico". Una terapia da tenersi a Madrid due volte al mese e che avrebbe sconsigliato una nuova partenza in Argentina. Motivo per cui – ha sostenuto Francesco – scelse di 'tenerlo' a Roma creando per lui un incarico inedito all'Apsa, organismo responsabile della gestione dei beni della Santa Sede: una nomina che il papa ha voluto difendere, sostenendo che Zanchetta "economicamente era disordinato, ma non ha gestito male economicamente le opere che ha fatto. Era disordinato ma la visione è buona". Peraltro aveva suscitato scalpore lo scorso marzo la presenza di monsignor Zanchetta agli esercizi spirituali in Vaticano con papa Francesco.

Sempre nell'intervista a Televisa, Bergoglio aveva rivendicato di aver fatto avviare un'indagine preliminare affidata all'arcivescovo di Tucumàn e che avrebbe fatto emergere la necessità di aprire un processo canonico nelle mani della Congregazione per la Dottrina della Fede. Zanchetta, però, non potrà accogliere a Roma il verdetto dell'ex Sant'Uffizio perché il suo caso, a seguito della denuncia penale delle sue presunte vittime, è finito in tribunale anche in Argentina. Il giudice, Claudio Parisi, ha accolto la richiesta del procuratore di imporre al presule l'obbligo di mantenere il proprio domicilio nel Paese sudamericano: sotto processo in patria, l'ex assessore all'Apsa rischia ora una condanna che va dai 3 ai 10 anni di carcere.