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BALCANI

Caso Šešelj, la sovra-reazione dell'Ue contro la Serbia

Vojislav Šešelj, sotto processo all'Aja per crimini di guerra e contro l'umanità nelle guerre balcaniche degli anni '90, è stato temporaneamente scarcerato per motivi di salute. Ne ha approfittato per lanciare invettive ultra-nazionaliste. I croati si sono offesi. Ma la reazione dell'Ue contro la Serbia è immotivata.

Esteri 14_12_2014
Vojislav Šešelj liberato

Lo scandalo mediatico e politico scatenatosi in seguito alla momentanea liberazione di Vojislav Šešelj, decisa per permettergli di sottoporsi alle cure necessarie a combattere il tumore di cui soffre, sembra non placarsi ancora. L’ultra nazionalista cetnico, infatti, è stato momentaneamente rilasciato dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (ICTY) dopo aver trascorso oltre 11 anni in prigione senza essere stato condannato ufficialmente per l’accusa di essere stato l’ispiratore di crimini contro l’umanità compiuti durante la guerra civile del 1992-95. 

La decisione della Corte Internazionale aveva di per sé già fatto gridare allo scandalo nelle repubbliche ex-jugoslave maggiormente colpite dal conflitto, ma il caso è esploso in seguito ad alcune dichiarazioni del leader radicale. Anche se dirette maggiormente contro i suoi ex collaboratori da lui accusati di tradimento, queste sono state utilizzate da alcuni politici croati, già in clima elettorale, per chiedere l’immediato ritorno in carcere di Šešelj, accusato di essere una minaccia per la pace e di godere di un ampio appoggio popolare, che, a loro dire, dimostrerebbe come Belgrado sia ancora un centro di sciovinisti pronti a realizzare il disegno della Grande Serbia. Dal canto loro, invece, gli attuali membri dell’Esecutivo serbo respingono le accuse al mittente, incolpando della situazione attuale l’ICTY, che avrebbe volutamente “scaricato la patata bollente” nelle mani del Governo di Vučić, e Zagabria, considerata interessata alla questione solo per fare polemica e screditare ancora una volta un paese che non ama.

Di fronte a tanto clamore, il Tribunale Penale Internazionale ha dapprima esitato, salvo poi convincersi che la liberazione di un personaggio così scomodo non sia stata esattamente la decisione migliore. Secondo alcuni giornali belgradesi, inoltre, il Procuratore Capo Serge Brammertz avrebbe chiesto alla Corte di cambiare formalmente idea e ordinare all’accusato di rientrare immediatamente 

La questione è stata ulteriormente complicata dal fatto che la Ue, con una risoluzione adottata a maggioranza su pressione della Croazia, ha invitato il Tribunale Penale a riconsiderare la propria decisione e ritenuto la Serbia responsabile delle dichiarazioni di Šešelj, nonostante questo sia di fatto stato boicottato dai media locali e sia dovuto addirittura ricorrere a quelli croati per potersi rivolgere ai telespettatori.  Come prevedibile, però, tale presa di posizione non ha contribuito a rasserenare gli animi, ma ha di fatto giustificato la violenta propaganda anti-serba proposta da alcuni esponenti politici croati e, soprattutto, non è riuscita a mettere un freno alle azioni volte a rovinare le relazioni fra Zagabria e Belgrado promosse da certi ambienti. Le conclusioni politiche di Bruxelles, infatti, sembrano più essere guidate da un’aprioristica sfiducia nei confronti della Serbia e della sua capacità di voltare pagina, piuttosto che da una reale considerazione dei fatti, come hanno voluto sottolineare alcuni Europarlamentari. Lo slovacco Eduard Kukan, ex Ministro degli Esteri e membro dell’Unione Democratica e Cristiana Slovacca – Partito Democratico, ha sottolineato che il compito del Parlamento Europeo non è “creare ulteriori tensioni” e che purtroppo alle dichiarazioni di Šešelj è stato data “un’attenzione non necessaria da parte dei media e di alcuni politici”. Gli stessi concetti sono stati espressi anche dal bulgaro Angel Dzhambazki che, contraddicendo i suoi colleghi croati, ha evidenziato anche il fatto che il Governo serbo si era già apertamente dissociato dalle esternazioni del leader radicale, motivo per cui, secondo lui, era ingiusta l’accusa di passività rivolta alle autorità belgradesi. 

Analizzando la situazione con maggiore attenzione, comunque, si scopre che il leader nazionalista, in realtà, non gode dell’appoggio popolare che spesso gli è stato attribuito da alcuni media europei. Ciò è facilmente constatabile leggendo i risultati dei recenti sondaggi realizzati sul tema, che mostrano chiaramente come il partito Radicale abbia addirittura perso voti dal momento del suo arrivo, attestandosi su percentuali minime di supporto.

Passeggiando per le vie di Belgrado ed intervistando i passanti sulla questione, inoltre, si può notare come gli stessi serbi siano estremamente critici nei confronti di Šešelj e lo accusino non solo di rovinare l’immagine del loro Paese all’estero, ma anche di rappresentare un'élite politica che, con i propri proclami nazionalistici e xenofobi, ha causato enormi sofferenze alla popolazione. Oltre a ciò, il Governo, pur essendo costituito da molti dei suoi ex discepoli ora convertitisi alla causa europeista, per dimostrare di essersi distanziato dai vecchi richiami alla “Grande Serbia” lo ha accolto molto freddamente, evidenziando più volte di non condividere assolutamente le sue discutibili dichiarazioni e di considerarlo come una sorta di ospite non desiderato inviato in Patria per inguaiare il proprio paese. 

Ciò che colpisce, quindi, è che l’Europa, con la sua condanna esplicita alla Serbia, abbia di fatto legittimato la linea politica di quei leader croati che basano gran parte della propria popolarità sull’inimicizia nei confronti di Belgrado e su un orgoglio nazionale a volte esasperato. Se Bruxelles, come più volte dichiarato dalla Cancelliera Merkel o dagli ultimi Commissari Europei per l’Allargamento, vuole realmente garantire la stabilità dei Balcani ed evitare che alcuni paesi ex-jugoslavi finiscano nella sfera di influenza russa, dovrebbe iniziare a condannare le condotte contrarie ai principi base della convivenza nell’Unione anche degli Stati membri e non solo di quelli candidati all’ingresso. In aggiunta a ciò, l’uso di questa retorica estremamente carica di messaggi emotivamente molto intensi rischia di imprigionare la Croazia all’interno di una logica nazionalista che spesso blocca il dibattito sui reali problemi della società e dell’economia nazionale. Quotidianamente, infatti, i media locali sono impegnati a ricordare ai croati quanto imminente sia la minaccia rappresentata dalla Russia di Putin e della Serbia di Nikolić e Vučić. 

Secondo alcuni commentatori serbi, invece, l’obiettivo di questa linea dura è provare ad ammansire Belgrado facendole capire che la UE è pronta a difendere sempre e comunque i propri membri e che solo staccandosi dalla Russia tali pressioni termineranno. Se tale interpretazione fosse corretta, la politica di Bruxelles risulterebbe limitata per una serie di motivi: oltre a Mosca, infatti, ci sono altre potenze straniere, spesso dimenticate, interessate a rafforzarsi nei Balcani. Oltre a ciò, la mentalità locale è sempre stata scarsamente ricettiva dinnanzi a pressioni politiche esterne e anche parte dell’opinione pubblica filo-europea sta iniziando a ritenere eccessive le richieste che la Ue avanza per sbloccare il percorso di integrazione.