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EUTANASIA

Caso Lambert, il dilemma della Francia (e anche nostro)

La perizia ordinata dal Tribunale riguardo alle condizioni di Vincent Lambert, rimasto tetraplegico dieci anni fa a causa di un incidente stradale, sancisce che la sua vita non è più accettabile a se stesso, ma afferma anche che alimentazione e idratazione non sono accanimento terapeutico. E ora il Tribunale dovrà prendere una decisione gravida di conseguenze.

Editoriali 25_11_2018
Vincent Lambert con i suoi genitori

Lo scorso 2 luglio, il Tribunale Amministrativo di Chalons-en-Champagne, in seguito all’ennesima richiesta da parte del CHU di Reims di arrestare i sostegni vitali del paziente, aveva richiesto una nuova perizia sullo stato clinico di Vincent Lambert, il quarantaduenne francese rimasto tetraplegico dieci anni fa, dopo un grave incidente stradale.

La stampa francese ha dato una comunicazione piuttosto fuorviante delle conclusioni di questa perizia. Se stiamo a Le Figaro, per esempio, i medici avrebbero “semplicemente” confermato che “il suo stato vegetativo cronico” non gli lascia “nessuna possibilità di ritornare ad uno stato di coscienza”.
Le Figaro stralcia dal Rapport quest’altra affermazione: “La limitazione grave o completa delle sue capacità di accedere ad una condizione di coscienza, di comunicazione, di motricità, di espressione della propria personalità, l’alterazione irreversibile della propria immagine lo danneggiano ad un punto tale da non essere più accettabile per se stesso e per sua moglie, che è anche tutrice”.  

Una dichiarazione del genere, se confermata, non può che sollevare più di una perplessità. Non si tratta di contestare le limitazioni gravi di Vincent; si tratta di capire cosa significhi incapacità totale di comunicazione ed espressione della propria personalità, visto che lo scorso maggio, la madre di Vincent, Viviane, aveva filmato il figlio mentre tentava di vocalizzare qualcosa e girava la testa e gli occhi verso di lei, quando lo chiamava. Si tratta anche di capire cosa significhi, in un rapporto medico, che tutte le gravi infermità che hanno colpito Vincent non sarebbero più accettabili per lui stesso. Ma se è incapace di comunicare, come si fa a sapere che non accetta la propria situazione? E il grado di sopportazione della moglie è un criterio medico?

Inoltre, medici esperti nell’ambito di pazienti in stato vegetativo cronico e stato pauci-relazionale hanno contestato la modalità con cui i periti nominati dal tribunale hanno operato. La valutazione sarebbe durata circa un’ora e mezza, dove invece occorrerebbero verifiche fatte a più riprese per almeno un mese.

L’aspetto interessante del Rapport è però costituito dall’ammissione che “corrispondere ai bisogni fondamentali primari (alimentazione, idratazione) non rientra per Vincent Lambert nell’ambito di un accanimento terapeutico o di una irragionevole ostinazione”. La signora Lambert, commentando il rapporto in un intervento all’emittente radiofonica francese RTL, ha fatto notare che finalmente si è messo nero su bianco quello che già si sapeva: "Gli esperti l’hanno detto: non è in fin di vita, … lo sappiamo, non è in fin di vita, Vincent. Mangia e beve. Lo si alimenta mediante un sondino e basta. Non è in una situazione di ostinazione irragionevole”. Per questa ragione, aggiunge Viviane “ci si accanisce da anni a volerlo sopprimere ed io non accetterò mai, ed anche mio marito e noi familiari, non accetteremo mai che si programmi di ucciderlo”.

I medici della commissione hanno proposto all’ospedale una via d’uscita, che i genitori di Vincent chiedevano da tempo: “La condizione medica di Vincent Lambert non è eccezionale, non pone delle reali difficoltà di presa in carico nel nostro Paese, non richiede alcuna misura d’urgenza. In Francia esistono delle strutture in grado di accoglierlo fino alla sua morte, qualora la permanenza al CHU di Reims risultasse impossibile per ragioni estranee all’ambito della semplice arte medica”.

Il Tribunale si pronuncerà il prossimo 19 dicembre; dovrà decidere se un essere umano ha ancora il diritto di mangiare e bere, anche quando non riesce a farlo da solo, e se gli ospedali sono rimasti tali o si sono trasformati in luoghi di detenzione.