Caso Huawei, l’ultima grana per un’Ue a cui serve trasparenza
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Diversi lobbisti che lavoravano per il gigante cinese delle telecomunicazioni sono stati arrestati con il sospetto di aver corrotto attuali o ex parlamentari europei. Un caso che si aggiunge agli scandali su lobby green, Qatar e Pfizer: alle istituzioni dell’Ue servono regole chiare e trasparenza.

A più di due anni dal Qatargate, un nuovo scandalo di corruzione ha colpito il Parlamento europeo durante la settimana scorsa. Un caso che aggiunge altre zone d’ombra sulle istituzioni dell’Unione europea, si vedano gli scandalosi rapporti tra la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e l’amministratore delegato di Pfizer, e quelli relativi al finanziamento delle ONG ambientaliste per favorire i provvedimenti folli dell’ex vicepresidente Frans Timmermans. Se Bruxelles non vuole nemmeno darsi regole trasparenti, come possono le istituzioni dell’Ue essere credibili e affidabili per i cittadini europei?
Lo scorso 13 marzo si è avuta notizia, tramite il sempre ben informato quotidiano belga Le Soir, stavolta in collaborazione con la piattaforma di giornalismo investigativo Follow the Money (con sede ad Amsterdam) e i giornalisti investigativi greci di Reporters United, che nelle prime ore di giovedì mattina un centinaio di agenti della Polizia giudiziaria federale, su mandato di un giudice istruttore finanziario e della Procura federale, hanno perquisito 21 indirizzi nella regione di Bruxelles, nelle Fiandre, in Vallonia e in Portogallo. Dopo diversi mesi di indagini, diversi lobbisti che lavoravano per il gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei sono stati arrestati con il sospetto di aver corrotto attuali o ex parlamentari europei per promuovere la politica commerciale dell'azienda nel Vecchio Continente.
L’indagine, con il nome in codice di “Génération”, riguarda le azioni lobbistiche compiute a nome e per conto di Huawei e include accuse relative a reati di corruzione, falsificazione e uso di falsi, riciclaggio di denaro e organizzazione criminale. Pare che il maggiore indiziato sia Valerio Ottati, quarantunenne direttore degli affari pubblici dell'ufficio di Huawei per l'Unione europea dal 2019, nativo di Woluwe-Saint-Pierre, in Belgio. Ottati è stato in precedenza assistente parlamentare di due ex europarlamentari italiani, uno del PPE e uno del gruppo socialista S&D. Secondo le informazioni di Le Soir e dei suoi partner, a differenza del caso Qatargate che prevedeva valigie di denaro contante, la presunta corruzione in questo caso riguardava regali di valore (tra cui smartphone Huawei), biglietti per partite di calcio o trasferimenti di poche migliaia di euro. Secondo il codice di condotta degli eurodeputati, qualsiasi oggetto offerto da terzi per un valore superiore a 150 euro deve essere dichiarato ed elencato pubblicamente nel registro dei regali.
La corruzione sarebbe stata praticata regolarmente e in modo molto discreto dal 2021 a oggi, sotto la veste di lobby commerciale e assumendo varie forme, come «compensi per le posizioni politiche assunte o regali eccessivi, come spese per cene/pranzi e di viaggio o inviti regolari a partite di calcio», conferma la Procura federale, senza citare esplicitamente Huawei. I trasferimenti di danaro a uno o più europarlamentari sarebbero stati effettuati tramite una società portoghese. La Procura federale potrebbe chiedere la revoca delle immunità parlamentari di diversi deputati nell'ambito dell'indagine, dopo averla chiesta nelle scorse settimane in relazione a due eurodeputati italiani sospettati, ma innocenti sino a prova contraria come abbiamo descritto su queste pagine, nell'inchiesta sul Qatargate.
Secondo le prime notizie i deputati coinvolti avrebbero potuto essere otto; poi i parlamentari sospettati sono saliti a quindici. Un'indagine condotta dal quotidiano online The European Conservative rivela che dal 2020 al 2023 si sono svolti almeno 25 incontri tra parlamentari europei, prevalentemente del Gruppo Socialista e Popolare, e rappresentanti di Huawei; la mancanza di trasparenza che li circonda solleva dubbi sul loro vero scopo e sul potenziale favoreggiamento degli interessi della multinazionale cinese.
Venerdì 14 marzo, ai lobbisti di Huawei è stato vietato l'accesso ai locali del Parlamento europeo, in seguito alle accuse di corruzione legate alle attività di lobbying dell'azienda cinese nell'emiciclo. «Il Parlamento ha deciso, come misura precauzionale, di sospendere l'accesso al Parlamento, con effetto immediato, dei rappresentanti legati alla società Huawei», ha dichiarato a Euronews un portavoce del Parlamento europeo; un divieto temporaneo che rimarrà in vigore sino alla conclusione delle indagini e che riguarda le sedi parlamentari di Bruxelles, Strasburgo, Lussemburgo e tutti gli uffici di collegamento nei 27 Paesi dell'Ue.
Il gigante cinese Huawei, lo stesso venerdì, ovviamente ha dichiarato di essere contrario ad ogni pratica corruttiva, di voler fornire tutta la collaborazione necessaria agli investigatori belgi e di aver aperto a sua volta una indagine interna. Dopo gli scandali legati all’operato delle più alte cariche della Commissione europea, emersi durante lo scorso mandato e tutt’altro che chiariti, ora il caso Huawei mette le istituzioni con le spalle al muro: è necessario fare finalmente pulizia e introdurre trasparenza e sanzioni vere per tutti, inclusi i finanziatori delle lobby e delle organizzazioni non governative.