Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
ECONOMIA

Caso Electrolux, chiedere a governi e sindacati

Dal 2004 sono nella Ue i paesi dell'Est Europa, paragonabili all'Italia per cultura industriale ma con un più basso tenore di vita. L'attuale crisi perciò era ampiamente prevedibile, ma nulla è stato fatto né dai governi nè dai sindacati.

Economia 30_01_2014
Stabilimento Electrolux

Mentre, convenientemente preparato e anestetizzato, l’ordine costituito economico e politico del nostro Paese accoglie quietamente la notizia dell’esodo della Fiat dall’Italia, dell’annegamento del suo storico nome nell’anonima nuova sigla Fca, del suo trasloco legale nei Paesi Bassi e del suo trasloco fiscale in Gran Bretagna, il gruppo svedese Electrolux, erede in Italia dei defunti gruppi industriali Zanussi e Zoppas, raggela il Nordest dove si trovano i suoi quattro (superstiti) principali stabilimenti italiani.  Incurante delle reazioni che  la notizia ha provocato,  ribadisce infatti che ne chiuderà uno (quello di Porcia presso Pordenone, già cuore del gruppo Zanussi)  e  che conserverà gli altri tre soltanto a patto che diventino tanto economici ed efficienti quanto quelli che ha in Polonia e in Ungheria.

Il dramma umano ed economico che le  scelte di Electrolux portano con sé è evidente, e non va certo sottovalutato. Si pone un problema urgente per così dire di pronto soccorso sociale che va affrontato. Tutto questo però non ci esenta dal dovere di domandarci: da quando nel 2004 sono entrati nell’Unione Europea nuovi membri come la Slovenia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Polonia, l’Ungheria, tutti Paesi paragonabili al nostro in quanto a cultura industriale, ma tutti quanti con un tenore di vita inferiore al nostro nonché con una pressione fiscale inferiore e una burocrazia più efficiente delle nostre, che cosa hanno fatto i sindacati, che cosa ha fatto la politica per adeguare l’Italia allo loro prevedibilissima concorrenza? E’ presto detto: non hanno fatto nulla.

Ci siamo così ridotti ad avere i salari operai netti più bassi dell’Europa occidentale, ma nel medesimo tempo i salari operai lordi più alti dell’Europa intera. Non solo: in un’epoca in cui in molti settori-chiave ad alto valore aggiunto persino un costo del lavoro più alto del nostro è sostenibile se si accompagna all’alta qualità del contesto (a partire dalla pubblica amministrazione, dal funzionamento dei tribunali ecc.), per molte imprese anche medio-piccole pure la Svizzera è divenuta più conveniente dell’Italia. E il clamoroso caso della Fca, ex-Fiat Chrysler, dimostra dove ai grandi gruppi industriali già con sede in Italia convenga andare a mettere le loro sedi legali e fiscali.

Stando  così le cose, non solo non si riesce a tenere i buoi nella stalla. Non si riesce nemmeno a chiuderla dopo che sono scappati.  Diremo ancora una volta  che, come pugili “suonati” alle prese con avversari che esistono ormai solo nella loro fantasia, sindacati e politica stanno riesumando strumenti di confronto e di pressione oggi pateticamente anacronistici. Oggi se la ex-Fiat o la Electrolux se ne vogliono andare dall’Italia nessun governo li può fermare né con le buone né con le cattive. In quanto poi ai sindacati, in un’economia globalizzata, e dentro un mercato europeo ora divenuto effettivamente unico, la loro forza dipende non più dalla loro capacità di far leva sul governo, il che è ormai irrilevante, bensì dalla loro eventuale capacità di concordare una piattaforma comune con i sindacati dei Paesi concorrenti. Nei dieci anni ormai trascorsi dal 2004 a oggi purtroppo i sindacati italiani non hanno invece nemmeno provato a fare qualcosa del genere. E tanto meno possono riuscirci adesso all’improvviso, quando oltre tutto non hanno nemmeno più in mano le carte che avrebbero potuto giocare quando quei nuovi Paesi membri erano appena entrati nell’Unione.

Oggi non si può fare altro che gestire al meglio il “pronto soccorso”, e poi impegnarsi davvero in una rapida e incisiva riforma generale della pubblica amministrazione nonché in un rapido e incisivo programma di riduzione della spesa pubblica e quindi delle imposte. C’è qualcuno sulla scena pubblica del nostro Pase che sia in grado di farlo? C’è qualcuno che abbia tutta l’autorità morale, tutta la competenza e tutta la capacità di mobilitazione popolare che sono necessarie per un’impresa del genere? Questo è il problema.