Caso Becciu, gli omissis svelati gettano ombre sull'indagine
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Rese pubbliche le chat inviate da Genoveffa Ciferri, amica del grande accusatore mons. Perlasca, a Francesca Chaouqui e al promotore di giustizia Diddi. Rivelazioni che sollevano grossi dubbi sul processo al porporato sardo e sul divieto di ingresso in conclave.

Uno scoop di Domani potrebbe far luce sul mistero dei 119 omissis del caso Becciu. Stiamo parlando della stragrande maggioranza dei messaggi inviati nella notte del 26 novembre 2022 su WhatsApp al promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi da Genoveffa Ciferri, amica del grande accusatore monsignor Alberto Perlasca. All'epoca l’ufficio del promotore ne depositò solo 8, omissando tutti gli altri. Poi Diddi annunciò l'apertura di un fascicolo a parte per accertare se ci fosse stato un ipotetico inquinamento dell'inchiesta.
Di quell'indagine parallela nulla si è più saputo. Quegli 8 messaggi rivelati, tuttavia, erano bastati per gettare più di un'ombra sulla genuinità delle accuse contro Becciu mosse da Perlasca. Ciferri, infatti, prese la decisione di scrivere al promotore di giustizia dopo la disastrosa prova del suo amico monsignore nella deposizione in aula del 25 novembre 2022 durante la quale, tra numerose contraddizioni, fece le prime ammissioni circa il coinvolgimento di esterni alla preparazione del memoriale del 31 agosto 2020 con cui puntò per la prima volta l'indice contro il cardinale.
Tramite gli avvocati di Raffaele Mincione, condannato nel processo vaticano sul palazzo di Londra, le 126 chat depositate in Vaticano ed altra messaggistica sono finite nelle mani della giornalista di Domani Enrica Riera che ne ha pubblicati alcuni contenuti clamorosi. Il broker Mincione non si è arreso alla condanna di primo grado del tribunale vaticano sul processo per l'operazione immobiliare di Sloane Avenue ed ha ottenuto una prima «rivincita» dalla Commercial Court inglese che ha respinto le accuse di frode e disonestà contro di lui. Ma l'impresario non si è fermato qui e tramite l'avvocato per i diritti umani Rodney Dixon KC ha denunciato le presunte violazioni sostanziali di obblighi giuridici internazionali consolidati applicabili a tutti i procedimenti penali durante il procedimento penale subìto in Vaticano alla professoressa Margaret Satterthwaite, relatrice speciale delle Nazioni Unite sull’indipendenza dei giudici e degli avvocati.
Nell'ambito di questa denuncia all'Onu è stata depositata la messaggistica che ha visto Ciferri protagonista.
Nelle chat dell'agosto 2020, un mese prima che il Papa imponesse a Becciu le dimissioni da prefetto e due mesi prima che l'ufficio del promotore lo indagasse per peculato, l'amica di Perlasca sarebbe stata aggiornata da un'informatissima Francesca Immacolata Chaouqui (ex Cosea, poi al centro di Vatileaks 2) sulle future accuse mosse al cardinale e sulle convocazioni del monsignore davanti agli inquirenti. Tra i passaggi eclatanti che riporta Riera ce n'è uno del 3 settembre 2020, quando Ciferri scriverebbe: «Buongiorno Francesca. Scrivimi per bene quella cosa che desiderano i magistrati». E Chaouqui risponderebbe: «il cardinale sta artatamente cercando di crearsi un ennesimo alibi, serve una prova definitiva della sua infedeltà. Una cena costruita bene su cui far “confessare” Sua Eminenza sarebbe preziosa per gli inquirenti». E in effetti pochi giorni dopo ci fu la cena tra l'ex sostituto e il suo ex sottoposto svoltasi al ristorante Lo Scarpone e di cui Perlasca informò la gendarmeria vaticana.
In un interrogatorio del 23 novembre 2020 il monsignore parlò esplicitamente di «registrazione su... dello Scarpone» ma la gendarmeria ha negato di aver commissionato alcuna intercettazione in quell'occasione. Se Perlasca registrò Becciu in quella cena, non si sa per conto di chi lo fece. Le conversazioni tra le due donne sarebbero continuate anche dopo la notizia pubblica dei messaggi omissati a Diddi.
Presumibilmente prima del 13 gennaio 2023, giorno in cui vennero entrambe sentite in aula, secondo quanto letto da Domani Chaouqui avrebbe scritto alla sua interlocutrice: «dobbiamo capire cosa devi dire. Per evitare che le chat siano considerate attendibili ove mai si decidesse di dissecretarle. Perché in questo caso avrebbe ragione Becciu. Va disinnescata la bomba. Per me vale ciò che ho detto al processo. Non conosco Diddi. Se viene fuori che eravamo tutti d'accordo è la fine». Parole sottolineate nella dichiarazione del cardinale arrivata dopo la pubblicazione dell'articolo di Riera. Per l'ex sostituto questa «frase da sola, è più che eloquente».
«Tali rivelazioni – ha scritto nella nota il porporato – confermano quanto da me denunciato sin dall'inizio e che, in gran parte, il processo ha già dimostrato. Solo scelte discutibili adottate dal tribunale, su sollecitazione dell'ufficio del promotore di giustizia, hanno consentito a queste conversazioni di rimanere segrete». Nel corso del suo volo di ritorno dal Giappone nel novembre del 2019, parlando delle fasi iniziali dello scandalo Sloane Avenue il Papa si era vantato che la pentola fosse stata scoperchiata da dentro.
Più che una pentola, l'inchiesta vaticana su quegli investimenti sembra sempre più rivelarsi un vaso di Pandora per la credibilità stessa della Santa Sede. I grossi dubbi che stanno emergendo sulle modalità delle indagini (e del processo) conducono a quella drammatica udienza del 24 settembre 2020, quando Francesco impose al suo ex fidatissimo collaboratore le dimissioni da prefetto dell'allora congregazione delle cause dei santi e venne comunicata la rinuncia ai diritti relativi al cardinalato. All'epoca contro Becciu c'erano solo le accuse che Perlasca aveva formulato nel suo memoriale non senza quelli che sembrerebbero essere stati input di terzi. In volo dal Giappone, Bergoglio evocò la garanzia della presunzione di innocenza ma poco meno di un anno dopo si comportò all'opposto con un suo collaboratore neppure ancora indagato.
Ad oggi il bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, nella pagina aggiornata al 6 aprile, continua ad includere Becciu tra i cardinali non elettori nonostante abbia meno di 80 anni e sulla base di quell'udienza di quasi cinque anni fa. Il cardinale Jean-Pierre Ricard, che nel 2022 ha ammesso di aver commesso un abuso su una ragazzina di 14 anni, è rimasto tra gli elettori fino al compimento dell'80esimo anno di età nel 2024 e il cardinale Angelo De Donatis, strenuo difensore di Marko Ivan Rupnik – cacciato dai gesuiti dopo aver ritenuto altamente credibili le accuse di abusi mosse contro di lui da diverse ex religiose – ne fa ancora parte. È evidente la sproporzionalità della pena inflitta su questo piano al cardinale Becciu per le accuse successivamente mossegli sul penale e sulle quali stanno emergendo in queste ore elementi davvero discutibili.
Si sarebbe quasi portati a chiedere se il processo contro di lui sia stato la causa o l'effetto di quella decisione presa dal Pontefice sulla base, a quanto contestò lui stesso al diretto interessato, dell'accusa di aver fatto mandare soldi dalla Segreteria di Stato alla cooperativa sociale legata al fratello (Londra spuntò solo dopo). Soldi su cui persino il tribunale vaticano, condannando Becciu per peculato in primo grado, ha dovuto ammettere la possibilità di una finalità di promozione umana e integrazione sociale, limitandosi a contestarne l'illiceità nella modalità di elargizione. Un motivo sufficiente per cacciare un prefetto, mandarlo a processo e negargli le prerogative cardinalizie?
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