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AMARCORD

Casadei e Zorba, quel che conta è la propaganda

La recente scomparsa di Raul Casadei ha scatenato in chi scrive un’ondata di ricordi. Il fenomeno musicale della sua Orchestra-Spettacolo ha le sue fondamenta nel mito del proletariato e su una propaganda politica che lo scelse quasi come simbolo. Un altro ricordo che ho di quella temperie è il film Zorba il greco.

Cultura 15_03_2021

La recente scomparsa di Raul Casadei ha scatenato in chi scrive un’ondata di ricordi. Il primo è questo: ero studente e, con gran sacrificio, avevo messo da parte la sommetta necessaria a comprarmi una chitarra Yamaha modello folk semiamplificata. Il sogno proibito di noi giovani strimpellatori era la Fender Stratocaster, l’ammiraglia delle chitarre elettriche, roba da Beatles e Rolling Stones. Grande fu la nostra frustrazione quando vedemmo, in tivù, che Raul Casadei guidava la sua Orchestra-Spettacolo (si chiamava così, mai capito perché) impugnandone una.

E per farci che? Per suonarci il lissio e Romagna mia, roba da sagre paesane. Sì, era folk, ma mica quello di Nashville. Gli stornelli fiorentini erano pur’essi folk, ma avevano ben altra linea melodica. Per non parlare della grandissima tradizione della canzone napoletana, che poteva vantare firme come Caruso, Gigli, Di Giacomo. Tuttavia, erano gli anni in cui il Pci completava la sua scalata all’egemonia culturale gramsciana e l’Emilia Romagna era la sua vetrina: una regione che doveva mostrare l’eccellenza del capital-comunismo al mondo. Intero. Peccato che la «tradizione» colà fosse ben rappresentata dal felliniano Amarcord (quelle zone erano state la culla del vecchio fascismo); andando ancora indietro si trovavano briganti, o lo Stato Pontificio.

Così, con un turismo fatto di discoteche e spiagge (ma anche la balneazione di massa era stata un’invenzione del fascismo), l’unica era puntare su un clima da Festa dell’Unità: le balere, il «ballo liscio», e appunto le Orchestre-Spettacolo. Così, Casadei si ritrovò circonfuso di una gloria che, altrimenti, difficilmente avrebbe avuto. Il mito del proletario era così pervasivo che anche il bolognese Lucio Dalla pagava dazio con Itaca, lacrimevole esaltazione dei rematori di Ulisse; mentre Gianni Morandi, più convintamente, si candidava sindaco a Monghidoro (Bo), indovinate per quale partito.

Poi venne Berlusconi, e Casadei, ritenendo ormai consolidata la sua posizione di icona culturale, credette di potersi permettere di dire in un’intervista che l’avrebbe votato. Apriti cielo, non l’avesse mai fatto, ancora glielo  rimproverano.

Un altro ricordo che ho di quella temperie è il film Zorba il greco. Di colpo ci trovammo sommersi di sirtaki (che anche Rita Pavone ballava in prima serata e nello show del sabato), suoni di santuri, Irene Papas, Melina Mercouri e soprattutto Mikis Theodorakis, il compositore le cui canzoni tutti si contendevano: Dalida, Iva Zanicchi, perfino Al Bano.

Anche qui, niente di speciale, musicalmente parlando. Nel film, l’unica cosa rimarchevole era l’interpretazione di Anthony Quinn, straordinario istrione di scuola vetero-hollywoodiana. Per il resto, una storia senza capo né coda, tratta da un romanzo di cui nessuno sapeva. Ma bastò a far venire di moda la Grecia e i suoi paesaggi, allora, da terzomondo. Già, ma la spiegazione del fenomeno stava nel fatto che a quel tempo in Grecia c’era il regime golpistico dei c.d. Colonnelli, e la propaganda mondiale ululava per lesa democrazia (a quel tempo c’era anche l’Urss, e in Grecia il partito comunista era stato messo fuorilegge).

Poi la Grecia tornò alla normalità democratica del partito socialista (e l’inizio della discesa che ha portato il Paese al disastro che sappiamo) e i balli e le canzoni, e pure Georges Moustaki, finirono d’incanto nel dimenticatoio. Ho provato di recente a rivedere il film Zorba il greco ma non sono riuscito ad arrivare in fondo, perciò non so dirvi se ha una morale o un apologo da comunicare. Quel che conta è la propaganda, invenzione giacobina che ormai ha prodotto l’immunità di gregge (alla verità) in tutto il mondo. E pensare che il termine era stato scippato alla Chiesa: Propaganda Fide (Gregorio XV, bolla Inscrutabili divinae, 1622, istituzione della congregazione “de propaganda fide”).