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POLITICHE FAMIGLIARI

Carta famiglia, storia di un flop. «Ma ora va rilanciata»

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Nel triennio '19-'21 appena 300 negozi hanno aderito alla Carta famiglia, mentre non si sa dove sono stati impiegati i 3 milioni di euro stanziati. All'estero è uno strumento efficace per sostenere il potere d'acquisto delle famiglie. E ora l'Associazione Famiglie Numerose chiede al ministro Roccella di riattivarla: «Ministro ostaggio dei pregiudizi dei dirigenti. Ci ascolti e cambi idea».

Famiglia 10_07_2023

Uno dei motivi per cui l’Italia non esprime politiche famigliari all’altezza del compito che la situazione storica impone, è la superficialità nelle scelte. È facile parlare di massimi sistemi, più difficile calarsi nella realtà e cercare di offrire alle famiglie quegli strumenti per supportare ad esempio, il loro potere d’acquisto. È il caso della Carta famiglia, che è stata un vero flop e che andrebbe rilanciata invece seguendo nuovi e altri criteri di attivazione.  

Che sia stato un flop lo dicono i numeri: nel triennio 2019-2021 sono stati soltanto 300 gli esercizi commerciali che hanno aderito a questa possibilità da offrire alle famiglie e se si pensa che in Polonia gli erogatori di beni e servizi che vi aderiscono sono oltre 30mila si comprende come sia proprio il meccanismo che non funzioni, unito a un mix di incompetenza, interessi particolari e addirittura “fuoco amico” che hanno fatto naufragare l’iniziativa. Il fatto stesso che ad oggi il ministero della Famiglia non ne contempli il suo rilancio, giudicandolo sostanzialmente uno strumento che non funziona, rivela che quel che è andato storto non è la Carta famiglia, ma la sua errata applicazione che l’ha resa un contenitore vuoto. 

Lo sa bene Alfredo Caltabiano (in foto), presidente dell’Associazione Nazionale Famiglie Numerose, che ne chiede il rilancio da tempo e che ha più volte sollecitato un interesse del ministro Eugenia Roccella, che però al momento non è stato recepito.  

Eppure, stando ai dati in possesso dall’ANFN, la Carta famiglia sarebbe «un'opportunità eccezionale a costo quasi zero per lo Stato nel supportare il potere d’acquisto delle famiglie alle prese con un costo della vita ormai insostenibile, ma non solo non è stata capita: è stata anche osteggiata. In compenso, il ministro Roccella si è limitata a liquidare la cosa dicendo che i “suoi uffici” hanno detto che non funziona». 

Ma le cose stanno davvero così? È soltanto un problema di applicazione o c’è dell’altro?  

Prima di capire i termini della questione giova fare un po’ di storia.  

Il primo a parlare di Carta famiglia fu il deputato Mario Sberna, storico presidente dell’AFNN. Quando era parlamentare nelle file del Centro Democratico si batté per la sua introduzione tanto da minacciare di dimettersi. Venne approvata, ma la Sinistra radicale, da sempre nemica delle politiche sussidiarie a favore della famiglia, la subordinò all’Isee. E questo fu il peccato originale di partenza che ne ha segnato il destino fin dal 2015.  

A questo si aggiunsero le difficoltà nell’approvazione dei decreti attuativi. Si arriva così, dopo molti anni al ministro della Famiglia Lorenzo Fontana nel governo gialloverde che riuscì a realizzare i decreti attuativi, tolse l’Isee e destinò per il triennio ‘19-’21 un milione di euro all’anno per il suo sviluppo. Tutto sembrava finalmente pronto, ma il governo cadde e al ministero arrivò Elena Bonetti. 

Con il ministro già Pd e poi Iv le cose tornarono in un vicolo cieco. La Bonetti non si mostrò mai favorevole alla Carta famiglia, forse mal suggerita da qualche esponente di spicco del mondo pro-family italiano a lei molto vicino? 

Risultato: alla fine del triennio soltanto e-coop aveva aderito nel bacino della grande distribuzione e nemmeno per i generi alimentari. Con l’arrivo del governo Draghi le cose non andarono meglio. L’ex Bce disse alla Bonetti che non funzionava. Ma non funzionava e non ha funzionato perché i primi a non crederci è stato il governo tanto che l’unica comunicazione in merito fu un comunicato stampa. Difficile con questi mezzi raggiungere una platea potenzialmente vastissima di esercenti e di famiglie beneficiarie.  

Torniamo all’Associazione Famiglie Numerose: «La nostra idea è quella di replicare le buone pratiche che vediamo in Francia, Spagna e Polonia – prosegue Caltabiano alla Bussola – dove funziona ed è uno strumento efficientissimo per difendere il potere d’acquisto delle famiglie, grazie a sconti importanti su tutto, a cominciare dai servizi offerti dai ministeri, come ad esempio quello dei trasporti». 

Oltralpe, infatti, la prima Carta famiglia fu rilasciata nel dopoguerra dalle ferrovie dello Stato e prevedeva sconti del 30% per chi aveva tre figli, e del 70% per chi aveva sei o più figli. La grande distribuzione subodorò il business e così decollò fino ad oggi con numeri fondamentali per il sostegno alle famiglie.  

In Spagna, invece, è una carta associativa dell’associazione famiglie numerose con scontistiche impensabili da noi. Basti pensare che si ha lo sconto del 10% su tutti i voli Ryanair, mentre la Polonia è un vero eldorado con 30mila esercenti aderenti e benefici concreti per le famiglie.  

«Noi pensiamo a soluzioni simili, che coinvolgano anche i ministeri. Basti pensare a che cosa sarebbe per il Ministero della cultura se si attuassero delle convenzioni per musei ed eventi; o per il ministero del Turismo per soggiorni o comprensori sciistici». E che dire del ministero dell’Istruzione? La Carta potrebbe risolvere il problema del costo dei libri di testo che per le famiglie numerose rappresenta un salasso puntuale a agosto settembre.  

Il fallimento della Family card nasconde però anche un interrogativo: che fine hanno fatto i tre milioni stanziati per il triennio ‘19-’21? «Ho chiesto spiegazioni al dipartimento del Ministero, con una rendicontazione precisa. La risposta mi ha lasciato di sasso: mi hanno detto che sono serviti per sviluppare l’applicativo». Ma è una risposta che non convince perché un portale, neanche una app moderna, non può costare 3 milioni di euro. Delle due, una: «O c’è un problema di cattiva spesa del denaro pubblico e deve intervenire la Corte dei Conti oppure quei soldi sono stati dirottati su altre finalità. E mi piacerebbe sapere quali».  

E il ministro Roccella che ne pensa? «Credo che sia ostaggio dei pregiudizi e della dabbenaggine di certi dirigenti. Si è limitata a dirmi che i tecnici del dipartimento le hanno detto che non funziona, ma non è vero. Funzionerebbe eccome, come stiamo dimostrando da tempo sul nostro portale e come stanno dimostrando diverse esperienze in Italia», prosegue Caltabiano. Il riferimento è a province come Trento, dove le famiglie residenti possono andare a sciare con prezzi convenzionati o Cuneo dove, il Forumfamiglie locale ha creato la Carta Famiglia sei granda che applica una scontistica direttamente proporzionale al numero di figli: maggiore è il numero dei figli, maggiore lo sconto».  

Buone pratiche, si dirà, che però possono essere replicate su vasta scala se solo ci fosse la volontà politica di perseguirle e che un Governo che ha chiesto i voti proprio con l’ambizione di essere a favore delle politiche pro-family non può ignorare con una scrollata di spalla o delegando la partita solo ai dirigenti del dipartimento del ministero della Famiglia. Il quale, tra l’altro, secondo Caltabiano non dovrebbe nemmeno occuparsene: «Penso che il ministero deputato dovrebbe essere quello dello sviluppo economico perché l’obiettivo è quello di rilanciare l’economia». 

La partita, in soldoni, è una di quelle win win, in cui vincono tutti: le famiglie che aumentano il loro potere d’acquisto, gli esercenti che possono così targettizzare offerte e prodotti rivolgendosi pienamente a un mercato vastissimo e lo Stato che avrebbe una ricaduta di pil immediata. Purché qualcuno al ministero di creda e non disperda nel vuoto i milioni stanziati.  

«Le porte dell’ANFN - conclude Caltabiano - sono aperte per un confronto non solo con il ministro Roccella, ma anche con quei dirigenti che hanno manifestato criticità verso la Family card».  



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