Carriera alias per docenti, il governo avalla l'inganno trans
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Nell’ipotesi di contratto collettivo per i lavoratori della scuola, sottoscritta da Aran e sindacati, spunta la carriera alias. Proteste dall’associazionismo familiare. Le pretese trans accolte anche per bagni e spogliatoi.
Da un lato ci sono le interviste e la campagna elettorale, dall’altro la realtà. È questo il dato che emerge dalla notizia che nell’ipotesi per il nuovo contratto collettivo nazionale per il personale della scuola (periodo 2019-2021) è inclusa la previsione della carriera alias, all’articolo 21, intitolato «transizione di genere».
L’ipotesi di contratto, che adesso passerà al vaglio del Ministero dell’economia per valutarne la sostenibilità finanziaria, è stata firmata venerdì 14 luglio dai sindacati (Uil esclusa) e dall’Aran, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, che ha una sua relativa autonomia ma è comunque sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il nuovo contratto, a differenza del precedente, contiene quindi il richiamo alla carriera alias, cioè quell’escamotage - inventato dalle organizzazioni Lgbt e privo di fondamento giuridico - che consente a chi non si identifica con il proprio sesso biologico di adottare un nome diverso da quello presente all’anagrafe, anche quando si è appena iniziato il cosiddetto “percorso di transizione”.
L’art. 21 del CCNL recita: «Al fine di tutelare il benessere psicofisico di lavoratori transgender, di creare un ambiente di lavoro inclusivo, ispirato al valore fondante della pari dignità umana delle persone, eliminando situazioni di disagio per coloro che intendono modificare nome e identità nell’espressione della propria autodeterminazione di genere, le Amministrazioni riconoscono un’identità alias al dipendente che ha intrapreso il percorso di transizione di genere di cui alla legge n. 164/1982 e s.m.i. [successive modifiche e integrazioni] e ne faccia richiesta». La specificazione delle modalità è rimandata a una «regolamentazione interna». L’identità alias riguarderà, «a titolo esemplificativo, il cartellino di riconoscimento, le credenziali per la posta elettronica, la targhetta sulla porta d’ufficio, eventuali tabelle di turno orari esposte negli spazi comuni, nonché divise di lavoro corrispondenti al genere di elezione della persona».
E non è tutto, perché il contratto entra anche nel tema bagni e spogliatoi, visto che agli insegnanti e al personale ATA (amministrativo, tecnico, ausiliario), dalle scuole dell'infanzia alle superiori, si dà «la possibilità di utilizzare spogliatoio e servizi igienici neutri rispetto al genere, se presenti, o corrispondenti all’identità di genere del lavoratore».
Resteranno invece collegati all’identità reale «tutte le documentazioni e tutti i provvedimenti attinenti al dipendente in transizione di genere che hanno rilevanza strettamente personale (come ad esempio la busta paga, la matricola, i provvedimenti disciplinari)», un punto che contraddice le premesse del provvedimento, come già, per una situazione analoga, sottolineava a suo tempo Tommaso Scandroglio su questo quotidiano. Se infatti si sostiene che avallare la scissione tra corpo e psiche sia a tutela della dignità della persona, perché non condurre fino in fondo questa (ardita) “logica”? Evidentemente si è adottato un compromesso politico, mancando le coperture normative, già ampiamente bypassate dal suddetto escamotage.
Pur non soffermandosi sul tema della carriera alias, il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara (Lega), ha accolto il nuovo contratto come «un importante passo avanti verso una sempre maggiore valorizzazione di tutto il personale della scuola». Eppure, l’inserimento di uno dei punti-manifesto dell’agenda transessualista non può passare sottotraccia, tanto più se si pensa che, nella campagna elettorale del centrodestra e della Lega in particolare, si era parlato della carriera alias come «una palese forzatura giuridica». Essa di fatto fa rientrare dalla finestra il concetto dell’identità di genere così come era stato definito dal poi affossato Ddl Zan, laddove si parlava (all’art. 1, lettera d) di «identificazione percepita (…) indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione». Proprio l’assunto della carriera alias. Viene perciò spontaneo chiedersi a quale gioco stia giocando la maggioranza di centrodestra, che da nove mesi a questa parte, sui temi etici e in particolare sulle pretese Lgbt, dà un colpo al cerchio e qualcuno in più alla botte, facendo passare norme e prassi contrarie al bene della persona, sostenute da partiti come PD e Cinque Stelle.
Da qui la montante protesta dell’associazionismo familiare. Vedi il comunicato del presidente di Pro Vita & Famiglia, Antonio Brandi, secondo cui «è un atto profondamente ideologico e molto grave l’istituzionalizzazione della carriera alias per i professori nelle scuole, sancita dal recente CCNL, firmato dal Governo, ed elogiato dal Ministro Valditara. Centinaia di migliaia di genitori hanno votato questa maggioranza per l’impegno preso in campagna elettorale contro l’indottrinamento gender, mentre ora in ambito scolastico l’Esecutivo sta facendo delle aperture che ci saremmo aspettati solo da un Governo di sinistra radicale». Pro Vita chiede quindi che si ritiri la norma e sottolinea il vulnus alla libertà di quegli studenti e lavoratori della scuola che si troveranno a disagio con la menzogna altrui, cioè del genere percepito e dichiarato, contrario al sesso oggettivo, che non si può "cambiare": «Cosa succederà se un collega o alunno si rifiuterà di chiamare con l’alias un insegnante?».
Una tale menzogna non è intesa nemmeno a risparmiare i più piccoli: «Immaginiamo – dice alla Bussola Jacopo Coghe, vicepresidente di Pro Vita – se un maestro delle elementari o un bidello, da un giorno all’altro, si presenta vestito da donna, anche perché l’articolo parla pure di “divise di lavoro”... è una norma che ha delle ricadute negative sul benessere psicofisico innanzitutto dei bambini». Ed è poi chiaro che la sua previsione nei CCNL aprirà le porte alla sua istituzionalizzazione anche per gli studenti.
Rispetto alle derive della carriera alias, la risposta del Ministero dell’istruzione si è fin qui limitata a una nota in cui «si precisa che si tratta di una clausola già presente in tutti i contratti della Pubblica Amministrazione, da ultimi quelli sugli Enti locali, e sulla Sanità». In effetti, già a novembre 2022, a governo Meloni già insediato, sono stati sottoscritti i CCNL per il comparto sanità e per quello delle funzioni locali, per cui la contrattazione era già stata avviata dagli esecutivi precedenti. E in quei contratti si ritrova pari pari (all’art. 41 e all’art. 28, rispettivamente) il testo sulla carriera alias ora adottato per la scuola.
Ma non c’è certo l’automatismo sottinteso dal Ministero quando afferma che «la clausola trova fondamento in una legge del 1982 [la 164, ndr] e in alcune sentenze della Corte costituzionale sulla transizione di genere». La carriera alias va però oltre quella già problematica legge e la stessa Consulta, inserendosi piuttosto in un solco di autodeterminazione estrema (simile a quello tracciato in questi giorni dal Tribunale di Trapani).
Nel nostro ordinamento rimane vietata la doppia identità, anche se provvisoria. E tra l’altro, se la carriera alias fosse un atto dovuto come vorrebbe lasciar intendere oggi il Ministero dell’istruzione, non si capisce il perché dello scontro politico proprio sull’identità di genere ai tempi del Ddl Zan e l’abuso giuridico sottolineato, come visto, in campagna elettorale. E anche se quella clausola nasce da «un confronto tra i Sindacati e l’Aran», come precisa ancora la nota, è chiaro che l’esecutivo, se avesse la volontà politica, avrebbe potuto e potrebbe ancora stralciarla. In forza delle leggi e del buonsenso.