Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Guido Maria Conforti a cura di Ermes Dovico
LA LETTERA

Cari studenti fragili, entrate per la porta stretta

Ascolta la versione audio dell'articolo

Una lettera aperta firmata dai rappresentanti degli studenti di molte scuole superiori chiede il «riconoscimento di una dignità della fragilità». Eppure la comfort zone non è la via per crescere. Per arrivare alla vetta, c’è solo la strada della croce.

Editoriali 19_05_2023
Foto d'archivio

Cari bambini,

cari bambini dei licei italiani. Sì, avete deciso di fare un passo indietro nel tempo e di presentarvi come fanciulli piagnucolosi e bisognosi di protezione. Non è una presa in giro. Voi stessi lo avete ammesso scrivendo a chiare lettere che la fragilità ha una sua dignità, ossia un suo valore: «Ciò su cui cerchiamo di porre l’attenzione è solo il necessario riconoscimento di una dignità della fragilità». Questo è ciò che si può leggere in una lettera aperta firmata dai rappresentanti degli studenti di molte scuole superiori. E dunque vi gloriate dell’impotenza, della gracilità esistenziale, della friabilità della vostra anima, del limite entro il quale volete rimanere al calduccio, ben protetti dagli adulti, della vostra delicata comfort zone.

Poi la lettera così continua: «La fragilità […] crediamo sia connaturata all’essere umano e non alla nostra generazione, ancora una volta chiamata a dimostrare la propria identità e le proprie risorse mentre è costretta a subire numerose crisi, a partire da quelle globali». Cari bambini, è vero che la fragilità è connaturata all’essere umano, ma non tutto ciò che è connaturato è da accettare o, addirittura come fate voi, da incensare. Anche la sopraffazione, la malvagità, l’invidia, la superbia sono connaturate all’uomo (connaturate alla natura umana ferita dal peccato originale). Ma non per questo devono essere accettate. La fragilità non va elogiata, ma superata.

Parlate della fatica di «dimostrare la propria identità». Benvenuti su questo pianeta dove la fatica è l’aria che respiriamo, insieme alle delusioni, alle amarezze e alla sofferenze: la trama e l’ordito di ogni esistenza. Volete essere voi stessi? L’unica strada per diventarlo ha un nome: patimento. Il pane amaro della sconfitta è il solo cibo che vi permetterà di vincere. Il disprezzo e l’umiliazione sono l’acqua che vi farà fiorire, non il sole che vi seccherà. Chi vuole diventare forte deve vincere le proprie debolezze. Banale a dirsi. Ci spiace per voi, cari bambini che non volete diventare adulti bensì macerare nel pappamollismo, ma siete capitati sul pianeta sbagliato: qui ogni successo è sempre preceduto da angustie, da ansie e da frustrazioni. Prima della resurrezione c’è sempre la croce. Questo è il menù che vi farà crescere. Troppo amaro per i vostri delicati palati? Allora siete condannati a rimanere imberbi e acerbi per sempre. Voi invece volete arrivare in vetta senza la fatica e il pericolo della scalata, ma con l’elicottero.

Vi lamentate poi del fatto che siete costretti a subire numerose crisi. Siete così ingenui che muovete a tenerezza. A voi, che vi presentate come studenti, una lettura veloce di un qualsiasi manuale di storia potrebbe giovare: i vostri colleghi delle epoche passate sono stati costretti a crisi che voi non potete nemmeno immaginare. Guerre, carestie, persecuzioni, epidemie ben più letali del Covid, deportazioni. E tutto questo accade ancora oggi in molti Paesi del mondo. Crisi, per usare un termine da voi adoperato, così terribili che spesso impedivano ai giovani di allora non solo di andare a scuola, ma solo di sognare di poterlo fare. Voi frignate perché i voti vi mettono ansia. Provate a vivere sotto un bombardamento o con niente nello stomaco. Vedrete che l’ansia per il voto vi sembrerà Gardaland.

Cari bambini, voi siete fragili perché spesso lo sono ancor di più i vostri genitori, calabraghisti pronti a darvi il ciuccio appena mettete il broncio. Al Liceo Manzoni di Milano, dopo un’occupazione durata ben due giorni e non venti, i professori, come sotto assedio, hanno alzato bandiera bianca, fornendo un plastico esempio di cosa significhi essere deboli. Infatti, la scuola ha deciso di «fornire agli allievi un commento in generale a tutti i voti numerici, con particolare necessità di esplicitare il significato in forma narrativa chiara ed esaustiva del voto in condotta» e per la «dismissione del voto 1 nelle verifiche, eccetto casi residuali». Dunque per regolamento si è deciso che nessuno sarà così ignorante da meritarsi 1. Gli studenti, dato che non riescono a saltare molto in alto, hanno chiesto di abbassare l’asticella. Così bassa che ormai solo chi striscia potrà passarci sotto.

Cari bambini, state lottando per rimanere fanciulli in eterno perché volete scansare il peso del fallimento, la responsabilità di non aver studiato o studiato male, lo sconforto per l’insuccesso. Vi state allenando, incoraggiati anche da qualche docente intenerito da tanta pavidità, a non essere coniugi, né padri né madri, né lavoratori. Perché, terminata la scuola che avrebbe dovuto irrobustirvi, finirete in pasto alla vita che ha le zanne acuminate e non ci sarà nessuna app sul vostro smartphone che vi potrà aiutare. E l’orsa JJ4 vi sembrerà un peluche della Trudi. O forse vorrete scrivere una lettera aperta chiedendo mitezza e indulgenza al coniuge che vi vuole mollare? Al figlio che vi snobba e non vi sopporta? Al capo che vi chiede di produrre?

Ora volete evitare le sfide, le prove, i voti. Ma i giorni che verranno a breve vi metteranno alla prova con tanto di voti, spesso impietosi e sicuramente poco empatici: prima o poi - speriamo più poi che prima - il dolore per la perdita di vostri genitori vi aggredirà. Chiederete di non soffrire, ma sarà impossibile. Che farete se vostro figlio si drogherà? E se vi diagnosticheranno un tumore? A quale gonnella vi aggrapperete se l’azienda che vi ha lasciato il papi fallirà? Tutti dagli psicologi? Tutti su un cornicione? Tutti a drogarsi? Tutti a marinare la vita?

Ultima nota: cari bambini non potete essere cristiani. Il nostro simbolo è una croce - non certo un divano - simbolo di sofferenza, di dolore, di prova, tutte cose che voi aborrite. Noi seguiamo Uno che non solo ci giudicherà l’ultimo giorno, ma che ci ha ordinato, non consigliato, ma ordinato di passare per la porta stretta, di prendere sulle spalle la propria croce, di cavarsi un occhio o amputarsi una mano se ci è di scandalo.

Cari bambini, come diceva Lao Tzu, un vincente trova sempre una strada, un perdente trova sempre una scusa.