Cari monsignori buonisti, andate a lezione da Biffi
Leggo che il direttore della Fondazione Migrantes, monsignor Perego, ha definito «vergognoso» il piano approvato dalla Ue sull’emergenza emigrazione. Perché? Perché detto piano pensa solo a contrastare i trafficanti anziché a tutelare i migranti. E monsignore condanna pure ll’idea di affondare i barconi.
Leggo (in un boxino sul Giornale del 23 u.s.) che il direttore della Fondazione Migrantes, monsignor Perego, ha definito «vergognoso» il piano approvato dalla Ue sull’emergenza emigrazione. Perché? Perché detto piano pensa solo a contrastare i trafficanti anziché a tutelare i migranti. Il capo dell’organismo emanazione della Conferenza episcopale italiana, ai microfoni di Radio InBlu, se l’è presa anche col ministro dell’interno Alfano, che vorrebbe affondare i barconi degli scafisti: «Parole come affondare, distruggere, respingere, senza che siano accompagnate da parole come tutelare, salvare, accogliere, non hanno prospettiva».
Qualunque cosa ciò voglia dire. Siamo l’unico Paese europeo rivierasco che non usa muri elettrificati (v. Spagna) o spara sui barconi (v. Grecia) ma a certuni (v. Boldrini) non basta ancora. Vabbe’, mons. Perego è pur sempre un prete e su certi temi i preti devono fare il loro mestiere. Ma forse i pope ortodossi sono meno caritatevoli dei preti cattolici, visto che in Grecia, per esempio, l’ortodossia è religione di Stato (a differenza dell’Italia) e l’appartenenza religiosa è obbligatoria pure sulla carta d’identità; ma non risulta che il clero greco faccia tante storie sulla politica statale di chiusura al migrante. Forse si rende conto che il Paese è alla canna del gas e non è il momento di pungolare l’asino stracarico in salita (traduco un antico proverbio siciliano). Pure la Spagna ha un clero nutrito, e il Paese sta economicamente meglio del nostro. Per giunta, ha un premier di centrodestra, mica di ultrasinistra come Tsipras. Ma, anche lì, prudenza e basso profilo.
Be’, non divaghiamo. Dicevamo che, in fondo, un prete è un prete e samaritaneggiare fa parte del suo ruolo. Va pur detto, en passant, che a volere essere puntigliosi il Samaritano evangelico scucì parecchio denaro per alloggiare, curare e assistere il poveraccio. Segno che ne aveva. Ma non sottilizziamo. Oggi come oggi una morale francescana sembra aver contagiato la dirigenza italiana, dai comunisti fino ai preti. Non era un prete il protagonista della commedia musicale Aggiungi un posto a tavola in cui Garinei&Giovannini cantavano «…se sposti un po’ la seggiola stai (s)comodo anche tu»? Chi sa qualcosa di storia direbbe che, tuttavia, anche Richelieu era un prete e che lo stesso san Francesco, che pur prete non era, incoraggiava i crociati. É vero, questa è acqua passata.
Ma c’è un prete, anzi un vescovo, anzi un cardinale, che è ancora tra noi, Giacomo Biffi. A suo tempo parlò da pastore e maestro dei cristiani, cioè con realismo, sul tema immigrazione e disse una cosa di assoluto buonsenso: l’immigrazione va governata. Cioè, niente barriere ma nemmeno oves et boves. La carità deve essere quella dei Santi, concreta e possibile, sennò è demagogia ideologica o stoltezza (quando non –Dio non voglia- furbizia interessata). E disse, il cardinale, che gli immigrati di cultura cristiana sono meglio integrabili dei musulmani. Fu subissato dalla canea dei farisei, buonisti o clericali, col solito argomento-fesseria di «quando i migranti eravamo noi». Fesseria perché, quando i migranti eravamo noi italiani, chi ci accoglieva usava proprio i criteri indicati da Biffi: contingentamento e selezione etnica.
Personalmente, provengo da una famiglia siciliana rimasta spaccata, metà qui e metà là, perché gli americani respinsero mia zia, una bambina a cui il viaggio aveva causato una congiuntivite che a Ellis Island scambiarono per tracoma. Risultato: mio nonno e i figli più grandi sì, mia nonna e i piccoli no. Mio padre conobbe i suoi fratelli “americani” solo a quarant’anni. Altri tempi? No, perché ancora oggi gli Usa usano criteri rigidissimi con chi vuole mettere piede nel loro territorio. Ma noi siamo cattocomunisti, perciò terzomondisti e filo-prolet, e ci indigniamo quando vediamo gli accolti disinfettati senza vestiti: lo sanno tutti che, secondo la convenzione di Ginevra, la disinfestazione va subita in smoking. Infatti, scabbia e tubercolosi sono tornati tra noi à la sans façon; anche qui potrei produrmi in esempi personali ma manca lo spazio.
Per quanto riguarda lo scandalo prodotto da Biffi sulla presunta «discriminazione religiosa» si potrebbero produrre tonnellate di esempi, visto che siamo tutti Charlie. Ma vogliamo rimanere sul piano strettamente economico. Ci sono Paesi islamici che traboccano di ricchezza: come mai non accolgono loro i fratelli di fede e nel bisogno? Anzi, come mai questi ultimi non ci pensano nemmeno a migrare verso quei lidi ma preferiscono il nostro? Siamo «crociati», «infedeli», «moralmente corrotti», eppure è qui che vengono. Tutti. Le monarchie del petrodollaro sono le maggiori acquirenti di armi al mondo, hanno tanti di quei soldi che non sanno, letteralmente, che farsene. Abbiamo visto tutti, a suo tempo, le immagini dei profughi kuwaitiani che fuggivano su lussuose Volvo dall’invasione di Saddam.
Sauditi, kuwaitiani, qatarini eccetera hanno redditi procapite da capogiro e davvero, anche se spostassero la seggiola per aggiungere un posto a tavola all’amico in più, starebbero comodi. Invece, costruiscono muri, mica ponti. Non vogliono poveri tra i piedi, nemmeno correligionari. E i poveri, anche se correligionari, da loro non ci vogliono andare. Preferiscono vivere tra gli atei post-cristiani che sotto la sharìa. La miglior prova che le «culture» non sono tutte uguali. Meditate, gente. Quando cadde la dittatura comunista di Menghistu, gli israeliani misero in piedi l’Operazione Mosè, un gigantesco ponte aereo per portarsi via i falashà, etiopi di religione ebraica. Lasciarono tutti gli altri nel caos politico e militare, ma almeno dei correligionari ebbero compassione.