Carestia, siccità, nottue. Le piaghe dell'Africa
Dopo sei anni di assenza di carestie nel mondo, ora ne è scoppiata una nel Sud Sudan, causata soprattutto dalla guerra civile. Conflitti tribali, terrorismo e corruzione peggiorano i già gravi disastri naturali. Non solo la siccità ha colpito l'Africa orientale, ma anche un'invasione di nottue, falene che devastano i campi.
Per sei anni nel mondo non si sono verificate carestie. L’ultima aveva colpito l’Africa orientale nel 2011. Non che da allora la fame fosse stata sconfitta. Nonostante i progressi compiuti, oggi quasi 800 milioni di persone ancora non mangiano a sufficienza: una su nove, che diventano una su quattro in Africa.
Ma si parla di carestia quando in una regione almeno il 20% delle famiglie patiscono un’estrema scarsità di cibo, oltre il 30% soffrono di gravi stati di malnutrizione e, ogni 10.000 abitanti, due al giorno muoiono di stenti. È quello che sta succedendo nello stato di Unity e in altri territori del Sud Sudan. Il 20 febbraio il governo sud sudanese ha formalmente dichiarato lo stato di carestia e il giorno successivo le Nazioni Unite hanno fatto altrettanto. Secondo il Pam, il Programma alimentare mondiale dell’Onu, 100.000 sud-sudanesi sono al limite della sopravvivenza e un milione di persone rischiano di esserlo presto. In tutto 4,9 milioni di sud-sudanesi – il 40% della popolazione – hanno urgente bisogno di assistenza alimentare. “Molte famiglie hanno esaurito tutti i mezzi di sopravvivenza – spiega Serge Tissot, rappresentante del Pam in Sud Sudan – hanno perso bestiame e attrezzi agricoli. Da mesi sopravvivono mangiando erbe selvatiche di qualsiasi specie e poco altro”. Sono quasi tutte famiglie di agricoltori e pastori. A ridurle in queste condizioni è stata la guerra tuttora in corso tra le leadership Dinka e Nuer scoppiata nel 2013, degenerata in violentissimo scontro etnico. Da allora tanta gente non ha più potuto coltivare i campi, molto del bestiame è morto, l’inflazione è salita alle stelle – fino all’800% in un anno – provocando un enorme aumento del prezzo dei generi alimentari di base.
La situazione in Sud Sudan va affrontata subito, con fondi straordinari, è una lotta contro il tempo. Ma intanto pessime notizie arrivano anche da altri stati. Da un momento all’altro potrebbe essere dichiarato lo stato di carestia in Nigeria, Somalia e Yemen. Se così fosse, sarebbe una situazione senza precedenti almeno negli ultimi decenni, difficilissima da gestire.
Farvi fronte non è soltanto un problema di reperimento di risorse sufficienti. La difficoltà maggiore è far sì che le organizzazioni umanitarie riescano a raggiungere tutti, anche chi si trova in aree pericolose e non è in grado di lasciarle. In tutti e quattro i casi infatti l’emergenza umanitaria è causata dalla guerra: tra sciiti e sunniti in Yemen, dove anche prima del conflitto quasi il 90% dei generi alimentari dovevano essere importati, in Nigeria il jihad di Boko Haram, che per anni ha terrorizzato il nord est e ancora non è stato del tutto sconfitto, e quello di al Shabaab in Somalia, uno “stato fallito”, malgovernato e instabile ormai da 25 anni.
Le agenzie Onu si preparano a distribuire milioni di kit di sopravvivenza in Sud Sudan e stanno mettendo a punto un programma per vaccinare pecore e capre sperando di evitare così ulteriori perdite di bestiame. L’Unicef ha già 620 centri di assistenza per bambini gravemente malnutriti, ma non nelle aree insicure. I convogli umaniari vengono attaccati, i magazzini saccheggiati da milizie sia ribelli che governative. Si sospetta persino che il governo abbia impedito ai soccorsi di raggiungere certi territori abitati dalle etnie schierate con i ribelli. Il presidente Salva Kiir lo nega, assicura che d’ora in poi le organizzazioni umanitarie avranno libero accesso a tutto il territorio nazionale. Ma sarebbe essenziale che si deponessero le armi e di questo il presidente non ha fatto parola.
A peggiorare le prospettive è il fatto che in Africa altri 16 stati sono in condizioni critiche, alcuni con elevati livelli di insicurezza alimentare. In dieci vi sono in corso conflitti armati, otto sono governati da regimi autoritari. I profughi sono 18,5 milioni, soprattutto sfollati.
Ma non è tutto. I progressi in Africa sono fragili. Dove la fame è sconfitta, la stabilità raggiunta, incombe però sempre l’incognita dei fenomeni naturali avversi che incuria, corruzione, disinteresse governativo non consentono di mitigare. Una prolungata siccità, talmente grave che ne muoiono persino i dromedari, si è abbattuta su Africa orientale e Corno d’Africa. Si prevedono raccolti inferiori anche del 75% rispetto alla resa consueta. In Kenya il 14 febbraio il governo ha dichiarato lo stato di calamità naturale. La Croce Rossa distribuisce razioni alimentari e risarcisce per quanto possibile il bestiame morto. La siccità interessa 23 provincie su 47 e almeno 2,7 milioni di persone.
Più a sud la siccità è meno sentita, ma fa comunque danni. Il Mozambico ne è stato colpito. Adesso però, come sempre in questo periodo dell’anno, il monsone porta la pioggia, troppa. Già decine di migliaia di ettari di terreni agricoli sono stati allagati: altri preziosi, indispensabili raccolti perduti.
Danni ancora peggiori producono le nottue, falene, nei paesi dell’Africa australe che si stavano a malapena riprendendo dalla siccità dello scorso anno. Nel 2016 una nuova varietà di nottue ha invaso rapidamente gran parte della regione. Come le cavallette, le loro voracissime larve si spostano da un terreno all’altro divorando i raccolti, al loro passaggio non resta più niente. La situazione è fuori controllo se è vero che le nottue sono ormai arrivate in Ghana. La Fao teme che stiano infestando l’Africa Occidentale e possano presto raggiungere i paesi del Mediterraneo e l’Asia.