Cardinal Puljić : «La vita mia e dei cattolici bosniaci è in pericolo»
La Messa celebrata dal cardinal Vinko Puljić in suffragio delle vittime degli eccidi compiuti dai partigiani di Tito ha scatenato roventi polemiche: Puljić è stato accusato di riabilitare il regime filonazista croato. Nonostante l'omelia toccante, le polemiche sono state così violente da fare affermare al cardinale di ritenere la sua vita e quella dei cattolici in Bosnia-Erzegovina in pericolo, accusando due membri della Presidenza della Bosnia-Erzegovina di essere gli ispiratori della campagna anticattolica volta ad oscurare una strage barbara di innocenti.
Nei Paesi che sono succeduti all’ex-Jugoslavia il comunismo è ancora vivo, lo dimostra il linciaggio mediatico del quale è stato vittima l’arcivescovo di Vrhbosna, cardinale Vinko Puljić, per la Santa Messa che egli ha celebrato sabato 16 maggio nella cattedrale del Sacro Cuore di Gesù a Sarajevo in suffragio e commemorazione delle vittime degli eccidi compiuti dai partigiani titini nella cosiddetta "Via Crucis del popolo croato", nel corso della quale, nel maggio 1945, tra le località di Macelj (Croazia), Celje e Maribor (Slovenia) e Bleiburg (Austria), furono falciati a mitragliate decine di migliaia di croati in fuga, militari ma anche civili inermi, mentre altre migliaia furono fatti prigionieri e costretti a compiere durissime marce forzate fino a luoghi di internamento.
Questa commemorazione avviene ogni anno a Bleiburg, dove a presiedere la Santa Messa è, a turno, un vescovo croato. A causa dell’emergenza del Coronavirus quest’anno gli organizzatori hanno suddiviso l’evento in tre località, Bleiburg appunto, Zagabria e Sarajevo, poiché a presiedere la Messa era stato scelto il cardinale Puljić.
L’annuncio della Messa del 16 maggio ha scatenato in Bosnia roventi polemiche, Puljić è stato accusato di volere riabilitare il regime filonazista croato dell’NDH (Stato Indipendente Croato) alleato delle potenze dell’Asse durante la Seconda Guerra Mondiale. Le polemiche sono state talmente violente da fare affermare al cardinale Puljić di ritenere la sua vita e quella dei cattolici in Bosnia-Erzegovina in pericolo. Inoltre, il cardinale ha esplicitamente accusato i due membri della Presidenza della Bosnia-Erzegovina filo-bosgnacchi, Komšić e Džaferović, di essere gli ispiratori di questa campagna di stampa anticattolica e anticroata. Nel corso di una manifestazione di protesta tenutasi a Sarajevo, e alla quale secondo il quotidiano Oslobođenje hanno partecipato circa cinquemila persone, sono state proferite esplicite minacce di morte e gravi offese nei confronti dell’Arcivescovo.
Non sorprende che in Croazia e negli altri Paesi dell’ex-Jugoslavia la sinistra giustifichi i crimini dei partigiani titini e consideri invece la preghiera per le vittime dei massacri di Bleiburg una riabilitazione del regime ustascia. Si tratta infatti delle stesse forze politiche e socio-culturali che considerano il cardinale Alojzije Stepinac un arcivescovo filonazista, che ancora oggi parlano di "liberazione di Trieste" da parte dei partigiani titini nel maggio 1945, e che affermano che le stragi compiute contro le minoranze italiana e tedesca - in pochi mesi furono massacrati anche 51.000 Volksdeutschen che vivevano in Croazia settentrionale e in Vojvodina – furono meritate in quanto questi popoli avrebbero aderito al fascismo.
Ma che cosa successe durante la "Via Crucis croata" del maggio 1945? Già verso la fine del 1944 e l’inizio del 1945 la città di Zagabria era diventata rifugio di moltissimi profughi in fuga dalle aree dell’NDH già occupate dai partigiani, i quali facevano strage di avversari ovunque arrivassero. Verso la fine di aprile 1945 l’arrivo dei partigiani a Zagabria fu considerato imminente, il panico prese il sopravvento, e lunghissime colonne di militari e di civili, soprattutto donne, vecchi e bambini, si diressero a piedi verso la Slovenia sperando di trovare rifugio in Austria o in Italia nei territori occupati dagli Alleati. Una volta giunti in Austria ed entrati in contatto con l’esercito britannico, i militari che avevano deposto le loro armi e i civili furono respinti verso l’esercito titino che stava ormai sopraggiungendo, sebbene i britannici sapessero cosa attendeva i croati una volta catturati dai partigiani, vale a dire schiavitù, tortura e morte.
Le truppe titine compirono massacri lungo tutto il percorso di fuga di questa grande massa di persone. Solo per citare alcuni di questi luoghi di sofferenza, si calcola che a Macelj furono uccise 13.000 persone, poi sepolte in fosse comuni o gettate nelle foibe della zona. Nella miniera di Huda Jama, non lontano da Celje, furono gettati i cadaveri di 2000 croati, 700 sloveni e 300 tedeschi. Come conferma il partigiano montenegrino Vlado Dapčević in un’intervista, «in tre giorni a Maribor fucilammo 30.000 ustascia»; nel campo di concentramento titino di Teharje a tutto il giugno 1945 furono passate per le armi 5.000 persone, sia civili sia militari, di nazionalità croata, slovena e tedesca. A Tezno invece furono uccise tra le 15.000 e le 20.000 persone.
Come testimoniato dal partigiano serbo Simo Dubajić, a Kočevši Rog furono liquidati 30.000 prigionieri di guerra. Ogni notte venivano trasportati dai campi di concentramento di Lubiana, Jesenice e Šentvid 5-6 vagoni pieni di persone. Dopo essere stati falciati a colpi di mitragliatrice, furono finiti con esplosivi affinché nessuno sopravvivesse. Dubajić si pentì del male commesso, si convertì alla fede ortodossa e prima di morire volle confessare quanto aveva fatto in un'intervista alla televisione slovena. Anche nella pianura di Bleiburg soldati croati e civili inermi furono investiti da scariche di mitragliatrice che lasciarono sul terreno diverse migliaia di morti.
Le ricerche avviate nel 1991 hanno permesso di scoprire 600 fosse comuni o foibe in Slovenia, un centinaio in Bosnia-Erzegovina - solo in Erzegovina si registrarono 20.000 vittime -, e 850 in Croazia. Tra le più note vi è quella di Jazovka, non lontano da Zagabria, dove furono trucidati e gettati nella foiba 450 persone, militari feriti, personale medico e suore dagli ospedali di Sveti Duh e delle Suore della carità di Zagabria.
Come riporta don Ante Baković nel suo libro Martirologio croato del XX secolo, durante la guerra e nel decennio tra il 1945 e il 1955 furono uccisi 660 sacerdoti cattolici: 53 sacerdoti persero la vita per le conseguenze dei bombardamenti angloamericani, a causa di mine, granate, attacchi a treni e ad autobus, 109 furono uccisi senza processo in luoghi di eccidi di massa, 338 bestialmente torturati e uccisi (bruciati vivi, massacrati, sgozzati, arrostiti sulle graticole, percossi a morte), 80 condannati a morte e giustiziati (da partigiani, da tribunali militari e civili, da giovani comunisti, da membri del Partito), 72 morirono per le conseguenze della tortura fisica e psichica, a causa di fame, indebolimento, malattia, in prigione, in campo di prigionia, nel carcere duro), 4 furono avvelenati, 7 uccisi in modo sconosciuto (uccisi o scomparsi durante la guerra e il dopoguerra).
Solo una minima parte delle vittime furono appartenenti alle milizie ustascia o responsabili politici dell’NDH, né si trattava, come affermano serbi ed esponenti di sinistra, delle guardie del campo di concentramento ustascia di Jasenovac, nel quale trovarono la morte decine di migliaia di ebrei, serbi e rom. Le vittime degli eccidi del maggio 1945 furono nella stragrande maggioranza civili inermi o semplici soldati o ufficiali croati che non si erano macchiati di delitti. La preghiera di suffragio per i morti di Bleiburg non rappresenta quindi una riabilitazione del regime ustascia, tanto più che la Chiesa cattolica ha verso di esso parole di ferma condanna – nella sua omelia del 2015 per il settantesimo anniversario dell’eccidio di Bleiburg, il cardinale Josip Bozanić, Arcivescovo di Zagabria, ha parlato di tre grandi mali che hanno funestato il ventesimo secolo, vale a dire fascismo, nazismo e comunismo - , bensì un atto di pietà verso le decine di migliaia di persone che morirono tragicamente, spesso in età giovanile, pur non essendosi macchiati di alcun delitto.
Nella sua toccante omelia della Messa del 16 maggio il cardinale Puljić ha dapprima citato le parole di san Giovanni Paolo II che il Papa avrebbe dovuto pronunciare in occasione della mancata visita a Sarajevo nel 1994: «Il destino della pace dipende soprattutto da una ritrovata solidarietà dei cuori, ed essa, dopo un tale spargimento di sangue e di odio, presuppone il coraggio del perdono». Il cardinale ha proseguito affermando che ogni cultura umana, cristiana o pagana, ha da sempre coltivato un particolare rispetto verso i morti e le loro tombe. Noi «non possiamo dimenticare i nostri morti…soprattutto quando li ha uccisi l'odio. Soprattutto non possiamo dimenticare chi ha concluso la sua vita terrena in condizioni così difficili, chi è stato torturato e chi ha perso la vita in un modo così disumano. Chi perde il rispetto verso tali vittime, quali valori porta in sé? Ho paura a vivere con uomini cui nulla è sacro e che sono capaci di calpestare ciò che per gli altri è sacro!».
Dopo avere ricordato le vittime di tutte le guerre che hanno insanguinato i Balcani nel XX secolo di ogni razza, religione e nazionalità, il cardinale Puljić ha sottolineato che non si può costruire un processo di pace e di riconciliazione se tale processo non è fondato sulla verità. Solamente accettando la verità, per quanto possa essere amara, essa libera lo spazio per la creazione di un clima di fiducia tra le persone. Ha aggiunto l’arcivescovo di Vrhbosna: «Chi non vuole la verità approva il male che egli difende e in questo modo favorisce un clima negativo tra gli uomini. Questi non è un costruttore di pace, bensì promuove il male. Nessun crimine può essere difeso e, chi non se ne dissocia, partecipa ed è corresponsabile del crimine».
Le parole del cardinale non sono state recepite dal membro della Presidenza della Bosnia-Erzegovina Željko Komšić il quale, dopo la Messa in cattedrale ha affermato in tono trionfalistico che «i nemici di questa città non hanno prevalso». I suoi “nemici” sono evidentemente i cattolici croati, quindi c’è da temere che quanto avvenuto in questi giorni abbia ulteriormente indebolito le già fragilissime basi sulle quali poggia la convivenza tra le varie etnie in Bosnia-Erzegovina.