Caravaggio e san Tommaso, la piaga testimonia il Risorto
Nel caravaggesco gioco di luci e ombre dell’“Incredulità di san Tommaso” c’è una fotografia del mondo contemporaneo, diviso tra chi crede e chi non crede. L’artista sa che non rappresenta una speculazione, bensì un avvenimento reale. Perciò mette in risalto l’elemento tattile della piaga. La cruda carne del Cristo “di ieri” è la stessa dei martiri cristiani “di oggi”.
Il dito nella piaga, quella piaga. Luci e ombre coabitano insieme all’interno della tela: le luci, espressione di una fede certa nel Cristo risorto; le ombre, l’oscurità, metafora del buio del non-credente. Se volessimo trovare una fotografia del nostro mondo contemporaneo - così immerso nel pensiero secolare dominante, figlio solamente dei Lumi e dimentico del trascendentale - potremmo trovare benissimo nell’“Incredulità di san Tommaso” del Caravaggio una più che giusta metafora.
Un mondo diviso, il nostro: la luce che vuole combattere le tenebre, mentre queste - potenti e forti - che vogliono oscurare, appunto, la luce stessa. Mi sia concesso il “gioco di parole”. Caravaggio è vissuto tra il finire del 1500 e gli inizi del 1600, ma - allo stesso tempo - sembra quasi avere nelle sue opere il dono profetico, visto che rappresenta - con alcuni tratti, a volte, anche crudi - una realtà umana così a noi contemporanea che ci dovrebbe scuotere e far riflettere. Caravaggio, infatti, ricorda molto “il pugno nello stomaco” che l’Arte dovrebbe dare: viene in mente Antonin Artaud nel suo “Le Théâtre et son Double” del 1938, quando l’attore e regista francese parlava della necessità dell’Arte di entrare nelle “viscere dello spettatore”.
Caravaggio, con “L’incredulità di san Tommaso”, ci pone un problema, non solo una semplice scena: la divisione tra chi crede e chi non crede, e ci fa comprendere - grazie all’apparato iconografico dell’opera - quanto sia profonda questa divisione. Analizzando l’opera, infatti, ci si rende conto di quanto la via della luce di Cristo possa dare un segno “tangibile” (credo sia proprio l’aggettivo più adeguato in questo caso) alla nostra vita.
Proprio come una moderna fotografia, la scena è dipinta su una grande tela orizzontale: i protagonisti sono presentati in primo piano - per usare un termine teatrale, potremmo dire, “in proscenio” - mentre la scena circostante, “lo sfondo delle quinte”, è totalmente immerso nell’oscurità, dandoci la possibilità di concentrarci direttamente sui personaggi. In fondo, proprio la “divisione” potrebbe essere considerato il tema principale dell’opera, ovviamente escludendo la stessa incredulità dell’apostolo Tommaso.
Cerchiamo, allora, di comprendere meglio questo tema, la divisione: sul lato destro troviamo san Tommaso e due apostoli, mentre, sul fronte opposto c’è Cristo, immerso nella sua luce di Verità. La scena è ricca di pathos: Caravaggio, con i suoi colori, riesce a far entrare nella scena lo spettatore, proiettandolo direttamente nelle parole del ventesimo capitolo del Vangelo di Giovanni: «Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”. Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”».
Focalizziamo l’attenzione su quel dito che molto ricorda quello di Adamo della Cappella Sistina, così ben illuminato. E poi, inevitabilmente, dobbiamo ritornare sul tema della luce, sia per l’aspetto artistico della tela, sia per quello teologico. Ci viene così in mente il messaggio Urbi et Orbi della Pasqua del 2011 di Papa Benedetto XVI che bene descrive cosa voglia dire credere nella Resurrezione: “La risurrezione di Cristo non è il frutto di una speculazione, di un’esperienza mistica: è un avvenimento, che certamente oltrepassa la storia, ma che avviene in un momento preciso della storia e lascia in essa un’impronta indelebile. La luce che abbagliò le guardie poste a vigilare il sepolcro di Gesù ha attraversato il tempo e lo spazio. È una luce diversa, divina, che ha squarciato le tenebre della morte e ha portato nel mondo lo splendore di Dio, lo splendore della Verità e del Bene. Come i raggi del sole, a primavera, fanno spuntare e schiudere le gemme sui rami degli alberi, così l’irradiazione che promana dalla Risurrezione di Cristo dà forza e significato a ogni speranza umana, a ogni attesa, desiderio, progetto”.
Questa poetica e così profonda descrizione non può che non essere valida anche per il capolavoro del Caravaggio. Anche nell’“Incredulità di san Tommaso” è raccontata una luce che “attraversa il tempo e lo spazio”: è una “luce diversa”. Ma, soprattutto, Caravaggio racconta un “avvenimento” - per usare le parole di Benedetto XVI - ben preciso nella storia: non si tratta di un’esperienza mistica. La concretezza di quella piaga ne è testimonianza, e Caravaggio comprende bene tutto ciò, tanto da mettere in risalto proprio l’elemento “tattile”: la cruda carne del Cristo “di ieri” è la stessa dei martiri cristiani “di oggi”. E l’eterna lotta tra la luce e l’oscurità continua ancora. Unico problema dell’oggi? Manca, forse, un Caravaggio a darne testimonianza nell’Arte.